Il 2006 è l’anno della svolta per l’Anpi. Nel corso, infatti, del Congresso nazionale che si tenne a Chianciano Terme nei giorni 24, 25 e 26 febbraio, fu approvata la modifica statutaria che consente anche ai non combattenti di iscriversi all’Associazione.

Una decisione che con antico e ben meditato senso di responsabilità le partigiane e i partigiani hanno assunto per permettere all’Anpi di continuare a vivere, e quindi proseguire la sua missione di memoria attiva, anche in quel futuro ineluttabile che vedrà la scomparsa di tutti i combattenti per la libertà.

Protagonisti del lavoro di elaborazione del testo della modifica, oltreché motori del dibattito, furono tre illustri e infaticabili dirigenti nazionali: Tino Casali, Gianfranco Maris e Raimondo Ricci.

Proprio di quest’ultimo (che fu Presidente nazionale dal 2009 al 2011) riproduciamo di seguito, integralmente, la relazione che non solo illustrava le motivazioni e i passaggi da compiere per la svolta ma forniva anche un quadro dell’attualità politica comparato alla lotta partigiana e all’impegno costituente.

Gianfranco Maris

Ci è parso il modo più utile per far ben comprendere al lettore la portata storica della vicenda ma anche per rendere omaggio ad una figura di primo piano dell’Anpi. Il Congresso di Chianciano pose, dunque, le basi per un ingresso operativo nell’Associazione, in piena continuità con gli ideali e i principi della Resistenza, degli antifascisti.

Armando Cossutta

Il “battesimo” si realizzò di fatto nel giugno 2008 con la prima Festa nazionale a Casa Cervi che fu interamente organizzata da un gruppo di ragazze e ragazzi con la supervisione – mai invadente ma esclusivamente caratterizzata da suggerimenti di provatissima saggezza – dei componenti della Presidenza nazionale Anpi, in particolare di Armando Cossutta.

Uno straordinario successo di partecipazione e di visibilità di cui ancor oggi molti serbano un ricordo limpido ed emozionato.

Quindi, con la conferenza nazionale di organizzazione del 2009 (Chianciano Terme 26/28 giugno) che vide la preziosa e navigata regia del mai dimenticato Luciano Guerzoni, l’Associazione avviò una stagione – grazie all’apporto decisivo dei non partigiani – di radicamento in tutta Italia, in particolare nel sud. Oggi, grazie a quella vera e propria impresa, l’Anpi è presente e attiva in tutte le 110 province d’Italia.

Luciano Guerzoni

Una storia che continua con i piedi ben saldi nella propria identità, autonomia e autorevolezza e con strumenti sempre più adeguati alle tante sfide e provocazioni di oggi e dei giorni a venire.

Chianciano 2006: Congresso nazionale Anpi. La relazione di Raimondo Ricci, vicepresidente nazionale Anpi

 

“Cari compagni e compagne, cari amici e ospiti del nostro Congresso, il mio intervento – come ha preannunciato la nostra presidente Maria Cervi e anticipato lo stesso Tino Casali nella sua ampia relazione – si propone di illustrare e in qualche modo approfondire, rispetto alle enunciazioni fondamentali che sono contenute in quella relazione, aspetti particolari di alcuni problemi che riguardano in modo precipuo questo nostro 14° Congresso.

Lo farò con riferimenti che non pretendono di essere esaustivi ma intendono toccare soltanto alcuni punti fondamentali dell’impegno attuale della nostra associazione. E che, di conseguenza, costituiscono una premessa ai nuovi strumenti che l’Associazione deve darsi affinché lo sviluppo della nostra attività associativa nel presente e nel futuro non resti una vana parola ma possa diventare un’idea concreta con un contenuto effettivo.

Raimondo Ricci

Vorrei partire dall’argomento che sta diventando sempre più centrale nell’agenda politica dell’Italia. Molti compagni hanno richiamato l’estrema drammaticità del momento che il nostro Paese sta attraversando. E la necessità che l’Anpi sia all’altezza dei suoi compiti, della sua tradizione, della sua storia, del suo modo di vedere lo sviluppo della nostra comunità nazionale.

Sto parlando del tentativo che è stato posto in essere, e che è tuttora in atto, di modificare nel profondo la Costituzione della Repubblica. È un tentativo criticato e condannato con toni più o meno aspri e con argomentazioni di varia natura da tutto il mondo accademico. O da quasi tutto. Sicuramente dal mondo accademico più serio, dai costituzionalisti noti per la loro indipendenza e serietà, da coloro che hanno studiato e conoscono la nostra Costituzione.

Un tentativo condannato anche dal sentimento profondo della gente che sente il valore di questa Costituzione. Ma forse – diciamolo francamente – questo valore non è ancora percepito universalmente nella nostra giovane Repubblica. Perché in fondo la nostra democrazia, la nostra Repubblica Costituzionale è giovane: compie appena sessant’anni.

Noi, invece, confidiamo che questo valore della Costituzione come conclusione della Lotta di Liberazione nazionale venga sempre di più avvertito dal popolo italiano. Siamo sulla buona strada affinché venga sempre più avvertito come una svolta fondamentale, un passaggio dal quale non è possibile tornare indietro nella storia d’Italia, oggi strettamente legata, fortunatamente, a quella d’Europa.

Tino Casali

Questo è il grande tema che domina il nostro Congresso. Non poteva essere altrimenti. L’Anpi si è impegnata fin da subito – Casali lo ha richiamato nella sua relazione in modo efficace – come una delle forze fondamentali del comitato “Salviamo la Costituzione” presieduto da Oscar Luigi Scalfaro. L’obiettivo è salvare la Costituzione dallo stravolgimento che ne viene proposto.

Non tornerò, se non per accenno, sulle ragioni del nostro impegno nella battaglia referendaria. Una data stabilita per la consultazione popolare ancora non c’è ma, in questa sorta di affollamento e ingorgo istituzionale, tutto fa pensare che l’appuntamento si terrà nella seconda metà di giugno. Probabilmente il 25.

La nostra associazione è consapevole del momento cruciale della storia d’Italia. Un momento in cui si può rischiare di tornare indietro rispetto alle conquiste di sessant’anni fa. Attraverso la Lotta di Liberazione nazionale abbiamo ottenuto una democrazia avanzata che ha garantito lo sviluppo di un Paese sostanzialmente moderno.

È su questo tema che vorrei soffermarmi. La Resistenza italiana è stata un’esperienza molto diversa dalla lotta che gli altri Paesi europei hanno combattuto contro il fascismo e il nazionalsocialismo. In Francia, in Norvegia, in Polonia, in Danimarca, in Belgio, nella stessa Jugoslavia, bisognava riconquistare una Patria e una realtà democratica provvisoriamente perdute. In Unione Sovietica la Resistenza diede l’impulso a reagire in una guerra che appariva perduta. In Italia la Resistenza è stata qualcosa di più. L’Italia era l’alleata del nazista tedesco, colonna del Patto d’Acciaio. Per ben quattro anni ha condiviso la politica di dominio e di sopraffazione dei totalitarismi moderni contro cui tutta l’Europa e tutto il mondo democratico si stavano battendo.

La nostra Resistenza è stata quella di un Paese che era stato fascista. Di più: aveva tirato la volata al totalitarismo nazista, fornendo la ricetta per trasferire legalmente il potere dello Stato democratico ad uno Stato totalitario. Nell’Italia pallidamente democratica dello Statuto Albertino, Mussolini ricevette l’incarico di formare il governo dal re (che poi pagò il fio perdendo la corona); in Germania, fu il Presidente della Repubblica di Weimar a conferire a Hitler l’incarico di Cancelliere. I tratti più spietati dei nuovi regimi si palesarono non appena il potere fu conquistato.

Non va poi dimenticato che questi totalitarismi furono pervasi da un consenso di massa che li caratterizzò come forme di dittatura profondamente diverse da quelle del passato. Dittature moderne, le hanno chiamate molti storici. Dittature che hanno avuto la capacità di porre al proprio servizio tutti gli strumenti della tecnica moderna utili all’aggregazione massiccia del consenso: la radio, il cinematografo, l’organizzazione sociale e così via. Di pari passo, veniva repressa violentemente ma scientificamente ogni forma di dissenso. Mentre in Europa la democrazia avanzava, nei regimi fascisti regrediva fino a scomparire. La Resistenza italiana occupò, di fatto, solo gli ultimi due anni di guerra ma con un duplice obiettivo. Non solo liberare il territorio nazionale dall’occupazione di un esercito ex alleato divenuto nemico (l’Italia legittima dichiarò guerra al Terzo Reich il 13 ottobre 1943) ma anche liberare l’Italia dall’eredità del fascismo per dotarla di una vera democrazia.

Il fatto che emerge con tutta evidenza è che l’Italia ha avuto una Resistenza capace di motivazione ed elaborazione politica molto più profonde di quanto avvenuto altrove. In Italia la Resistenza non fu solo lotta militare e cospirativa ma costruzione delle fondamenta di una nuova democrazia. Nacque così la Repubblica di cui celebriamo quest’anno il 60° anniversario. Nacque così la nostra Carta costituzionale entrata in vigore il 1° gennaio del 1948. Un’elaborazione politica faticosa ma particolarmente approfondita, affidata alla parte migliore del popolo italiano. Quella che aveva saputo impugnare le armi, quella che aveva visto schierati gli operai delle fabbriche al fianco della gioventù studiosa delle università italiane. Dalla Toscana al Veneto, dall’Università di Pisa a quella di Padova i giovani lasciarono momentaneamente i libri per guadagnare sui monti la libertà del nostro Paese.

Un processo difficile e sofferto perché in Italia il fascismo non era stato male transitorio della nazione. No, il fascismo era riuscito a permeare profondamente la società italiana. Fu il prodotto di antichi vizi, di antichi retaggi reazionari e conservatori. Un prodotto politico di cui l’aspetto combattentistico e nazionalistico fu solo il volto esteriore.

Il giovane Piero Gobetti, aveva solo 25 anni, proprio come i giovani che noi vogliamo iscrivere alla nostra associazione, affermò che “… il fascismo è un’autobiografia della Nazione”. In questo senso il fascismo non è stato sconfitto neppure il 25 aprile del 1945. Sarebbe un errore considerare la Liberazione un momento culminante in cui il nodo gordiano del fascismo viene spezzato con la spada. No. Ha rappresentato l’avanzata del popolo italiano verso la libertà. Un’avanzata cui si sono contrapposte sin da subito tendenze contrarie.

Non per nulla, noi, protagonisti ed anche eredi di quella battaglia per la libertà, abbiamo ritenuto necessario che la lotta continuasse. A questo ci portava la nostra coerenza e la nuova coscienza della storia italiana (Casali lo ha sottolineato bene nella sua relazione). Abbiamo continuato per tutti gli anni e i decenni successivi la lotta contro ogni rigurgito del fascismo. Contro il terrorismo di estrema destra e contro lo stragismo, che divenne in qualche misura stragismo di Stato. E contro il terrorismo di sinistra che a quello di destra si allineò per demolire gli istituti della democrazia.

Lotte per fortuna non sempre così tragiche. Contro il tentativo di rendere la Costituzione inattuata in alcune parti, noi ci siamo impegnati per il suo pieno sviluppo. Solo dopo una lunga battaglia la Corte Costituzionale entrò in funzione; per far decollare le Regioni si dovette attendere il 1976. E senza il nostro contributo norme fondamentali della Costituzione sarebbero rimaste lettera morta per chissà quanto tempo.

In altre occasioni abbiamo dovuto difendere la democrazia. Contro tentativi di colpo di Stato, come quello del generale De Lorenzo, che miravano a liquidare le forze protagoniste della Resistenza col pretesto di salvare lo Stato. Che invece anche da queste forze era stato costruito: le forze della sinistra socialista e della sinistra comunista, le forze che difendevano gli interessi dei lavoratori.

Se provate a percorrere la storia, non della Resistenza ma del periodo successivo alla Resistenza, vi accorgerete che gli antichi vizi della società italiana sono sopravvissuti. Ed oggi hanno una reviviscenza nuova. Io non penso che si debba temere una rinascita del fascismo in quanto tale: i fenomeni storici non si riproducono mai nello stesso modo e negli stessi termini. Oggi il popolo e la società italiana devono fare i conti col berlusconismo.

Oggi noi riaffermiamo la grande svolta della Lotta di Liberazione, la grande forza con cui l’Anpi ha condotto la battaglia per la libertà e per la democrazia, anche contro la criminalità organizzata e lo stragismo. Dal momento della sua fondazione il 6 giugno 1944 (non appena liberata Roma) e per tutti questi decenni sotto la guida del Comandante Bulow, il mio amico Arrigo Boldrini, è questo il bagaglio morale, spirituale e pratico della nostra associazione.

Ma non dobbiamo guardare solo ai consensi di cui godiamo nella società italiana. Ci sono anche i dissensi, ci sono le assenze, le indifferenze, c’è il qualunquismo. C’è l’opportunismo di ceti, classi e persone che vedono di buon occhio il progredire di forze che intendono bloccare la democrazia nel nostro Paese.

Ecco perché dobbiamo essere pronti ad una nuova lunga lotta che non può essere condotta soltanto da noi anziani. Superata la soglia degli ottant’anni, non abbiamo più le forze di un tempo. Ma la volontà non ci manca. Perché ci sorregge il sentimento che portiamo dentro: la memoria dei nostri caduti, dei compagni che ci hanno lasciato lungo la strada.

Vogliamo trasferire ai giovani, alle generazioni che alla Resistenza non hanno potuto partecipare, questi sentimenti e questi impegni. In parte questo è già avvenuto. Nell’Anpi già ci sono tanti giovani che in nome dell’antifascismo, ai sensi dell’articolo 2 del nostro Statuto, continuano a battersi per l’attuazione della Costituzione e per la piena realizzazione della democrazia nel nostro Paese. Ma oggi vogliamo fare qualcosa di più per aprire le porte alle nuove generazioni. E tra poco vi spiegherò le forme precise della nostra proposta al Congresso affinché possa prendere una decisione in merito.

Prima però vorrei riflettere su un aspetto che corre parallelamente all’assalto alla Costituzione. L’aspetto più significativo, secondo me, del proposito di alterare nel profondo la storia del nostro Paese e la storia della Resistenza: voler riconoscere ai militari di Salò la qualifica di “belligeranti”. Con un disegno di legge che si pretendeva di approvare poche settimane or sono, sul finire della presente legislatura.

Nel titolo del disegno di legge si affermava di voler parificare i militari dell’esercito di Salò a tutti gli altri militari belligeranti nel corso della seconda guerra mondiale. Nel testo, invece, c’era qualcosa di diverso dalla premessa e dall’intitolazione. Non si parlava più di “militari dell’esercito di Salò”, ma semplicemente e genericamente di “militari di Salò”. Di conseguenza anche degli appartenenti alla Guardia Nazionale Repubblicana, fondata solo a fine novembre del ’43, o addirittura alle squadre d’azione delle Brigate Nere, messe in piedi soltanto nel giugno del ’44 con compiti di polizia, lotta contro i banditi – che saremmo stati noi – e contro i corpi di paracadutisti alleati sganciati nel nostro territorio.

Io credo che voler equiparare e parificare i militari di Salò o dell’esercito di Salò ai combattenti delle libertà, riassunti tutti nel Corpo Volontari della Libertà, non sia solo scandaloso e antistorico. Affermo che questo disegno di legge sia un vero e proprio schiaffo alla verità, alla storia e al diritto nazionale e internazionale. Qualcosa di inammissibile sotto molteplici profili, tutti i profili possibili.

Perché? Perché l’Italia ha avuto un unico Stato legittimo, prima monarchico e poi, dopo il referendum del 2 giugno ’46, repubblicano. Un unico Stato legittimo che fin dal 6 giugno ’44, dopo la liberazione di Roma, ha promulgato un decreto legge luogotenenziale che, confermando un precedente decreto legge governativo, stabiliva che tutti i militari italiani che si erano posti al servizio dei tedeschi e che avevano compiuto azioni di collaborazionismo con gli invasori erano traditori della Patria e, come tali, perseguiti e puniti ai sensi del Codice penale militare di guerra.

Il governo italiano legittimo non aveva mai perso la sua potestà e giurisdizione, nemmeno sulla parte del Paese occupata dal nemico nazista, divenuto nemico anche formalmente dopo la dichiarazione di guerra dell’Italia alla Germania.

Nel dopoguerra, con l’amnistia voluta da Togliatti ed i provvedimenti successivi, le condanne furono decurtate e amnistiate in nome della pacificazione nazionale. Le persone oggetto delle procedure giudiziarie – tranne le poche condannate e fucilate tra il ’45 e il ’46 – erano praticamente libere di partecipare alla vita politica italiana, a condizione di non ricostituire il partito fascista. Norma stabilita da una delle disposizioni transitorie della nostra Costituzione. Questa è la realtà.

Come si può oggi sostenere che sono belligeranti coloro per i quali lo stesso Stato che dovrebbe riconoscerne la legittimità, ha emanato le leggi in forza delle quali sono stati processati come traditori? E come si fa a conciliare una tale pretesa con il preambolo al Trattato di pace di Parigi del 1948?  Fiore all’occhiello di Alcide De Gasperi, il trattato riconosce l’Italia come Paese cobelligerante delle forze alleate in quanto dichiarò guerra al Terzo Reich e, contemporaneamente, riconosce il contributo apportato dalle formazioni armate irregolari costituite dal movimento partigiano alla liberazione del nostro Paese e alla guerra alleata.

Come si fa ad allineare i combattenti di Salò coi combattenti e i militari alleati che si impegnarono nella lotta in difesa dello Stato italiano legittimo? In nessuno Stato dell’Unione Europea si sognerebbero di parificare analoghe formazioni collaborazionistiche come gli ustascia della Croazia – qui è presente una delegazione croata – o le Croci di ferro e le Croci di acciaio ungheresi e rumene, o le formazioni della Norvegia, o quelle della Repubblica di Vichy. Come dare torto a chi in Europa pensasse che in Italia esiste ancora un sentimento fascistoide per il quale si vuol riconoscere il valore di coloro che combatterono contro gli Stati legittimi per perpetrare il dominio del totalitarismo nazifascista?

Io credo che sia questo il massimo del revisionismo storico. E noi lo dobbiamo combattere. Per questa lotta abbiamo bisogno di un’Anpi che non demorda, di un’Anpi che porti avanti, in termini sempre nuovi, la battaglia a tutela della democrazia nel nostro Paese e in difesa dei princìpi fondamentali della Costituzione. Ciò non esclude l’aggiornamento di alcuni suoi punti ove questo si renda necessario. Ma non per rendere inefficaci i princìpi codificati sessant’anni or sono, bensì per renderli ancora più efficaci. L’obiettivo esattamente contrario a quello che anima i cosiddetti “nuovi” codificatori della Costituzione che, in realtà, intendono ricondurci al passato.

Noi abbiamo voluto che in questo 14° Congresso venisse votata e deliberata una modifica allo Statuto per consentire l’iscrizione dei giovani. Per portare avanti con maggiore intensità, con maggiori energie la battaglia della nostra Associazione. Ora vi sottoporrò le modifiche che ha deliberato un’apposita Commissione nominata dal Comitato nazionale che è ancora in carica e si presenta dimissionario in questo Congresso. Tali modifiche sono state approvate all’unanimità dal Comitato nazionale uscente.

Voglio specificare che citeremo prima l’Articolo 23 perché è l’articolo fondamentale delle modifiche. Poi sarà la volta degli Articoli 24 e 27 che contengono piccole modifiche consequenziali alla nuova norma inserita come secondo comma nell’Articolo 23. Infine verranno lette le modifiche agli Articoli 5 e 12 che, pur venendo prima nella redazione dello Statuto, costituiscono la logica conseguenza delle modifiche relative all’iscrizione. Il concetto della cooptazione, infatti, diventa strumento necessario per consentire il rinnovamento dell’ANPI anche medio tempore, nel periodo intercorrente tra un Congresso e l’altro”.

(N.d.r. Di seguito il testo dell’art. 23 dello Statuto ANPI con, in grassetto, l’integrazione approvata dal Congresso Nazionale del 2006):

Articolo 23

Possono essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta:

a) coloro che hanno avuto il riconoscimento della qualifica di partigiano o patriota o di benemerito dalle competenti commissioni;

b) coloro che nelle formazioni delle Forze Armate hanno combattuto contro i tedeschi dopo l’armistizio;

c) coloro che, durante la Guerra di Liberazione siano stati incarcerati o deportati per attività politiche o per motivi razziali o perché militari internati e che non abbiano aderito alla Repubblica Sociale Italiana o a formazioni armate tedesche.

Possono altresì essere ammessi come soci con diritto al voto, qualora ne facciano domanda scritta, coloro che, condividendo il patrimonio ideale, i valori e le finalità dell’A.N.P.I., intendono contribuire, in qualità di antifascisti, ai sensi dell’art. 2, lettera b), del presente Statuto, con il proprio impegno concreto alla realizzazione e alla continuità nel tempo degli scopi associativi, con il fine di conservare, tutelare e diffondere la conoscenza delle vicende e dei valori che la Resistenza, con la lotta e con l’impegno civile e democratico, ha consegnato alle nuove generazioni, come elemento fondante della Repubblica, della Costituzione e della Unione Europea e come patrimonio essenziale della memoria del Paese.