Sabato 20 ottobre una delle piazze auliche di Torino, davanti alla Casa del Comune, era gremita come da tempo non si vedeva per rispondere all’appello “Mai più fascismi-Restiamo umani”, lanciato da decine di organizzazioni: striscioni e vessilli dell’Anpi, bandiere di partiti diversi, di sindacati, di associazioni coloravano la giornata.

Qualche giorno prima, interpellando i soggetti promotori del coordinamento “Mai più fascismi” per costruire iniziative unitarie, avevamo colto – come anche nelle nostre file – un senso di scoramento di fronte all’assalto così violento di chi fa del razzismo la sua bandiera, prima contro i cittadini del Sud Italia, ora contro gli immigrati e di chi “in nome del popolo” devasta istituzioni e democrazia.

La tolleranza verso le scorrerie di CasaPound in diversi centri abitati della nostra provincia, le aggressioni a stranieri o cittadini italiani di colore, l’arroganza e la martellante propaganda degli esponenti del governo, per seppellire diritti e elaborazioni di civiltà, producono non solo sbalordimento, ma anche un senso di impotenza.

Torino, 20 ottobre. Foto di Grazia Gianotti

Si resta intimoriti dalla consapevolezza che è necessaria un’azione di lungo respiro (e lo confermano anche i risultati elettorali del Trentino), che grandi sono le difficoltà per riuscire a spezzare la relazione – insediata nel sentire diffuso di troppi cittadini – tra disagio, disuguaglianza, insicurezza del futuro e la carica di odio, rancore, verso l’altro: verso le istituzioni, i poteri politici, l’Europa, la “burocrazia” e verso chi accanto a noi è fuggito dalla fame e dalle guerre e che vediamo come una minaccia di quel poco che abbiamo.

Avvertiamo tutti la necessità di giungere a parlare a quanti hanno affidato le loro speranze ai dispensatori di odio, a coloro che ogni giorno indicano un nemico, promettono vendette e dichiarano guerra al mondo. Non basta difendere le “casematte”, scorgiamo l’urgenza di andare oltre l’area di riferimento, di definire nuove modalità di intervento, di misurarsi con i motivi di chi ha scelto di affidarsi alla destra estrema e a populismi che passano da “uno vale uno” alla demagogia autoritaria.

Foto di Grazia Gianotti

Oltre la convinzione maturata che più che mai serve capire, ragionare, tentare nuove strade e nuove forme di comunicazione, è emersa però tra tutti una prima urgenza: rompere il muro di assuefazione e di indifferenza alla xenofobia, al linguaggio politico dei tempi bui, alla demolizione dei diritti conquistati in decenni di lotte popolari, alla propaganda quotidiana. S’è visto che non ci sono solo i tweet degli imbonitori, c’è anche e sempre più visibile chi chiede la parola e vuole parlare: le forme sono diverse, ognuno trova la sua strada per esserci, per sentirsi cittadino e non popolo totalizzante.

Ad esempio non sono episodiche le richieste di aderire all’Anpi, c’è un flusso quotidiano e costante che le nostre sedi registrano di domande di iscrizione; noi arriviamo preparati a questa situazione, perché siamo un’associazione in grado di accogliere, oltre ogni differenza, il bisogno di dichiararsi in primo luogo antifascisti e rappresentiamo l’eredità di quella storia grandiosa che è stata la Resistenza, fucina di democrazia e di unità.

Abbiamo quindi raccolto, a conclusione delle prime esitazioni, parecchie sollecitazioni, disponibilità e abbiamo avvertito un nuovo clima: di fronte all’onda nera comincia a farsi sentire quella cultura che trova i suoi valori nella lontana origine della nostra democrazia.

Foto di Grazia Gianotti

Il richiamo è partito da un appello lanciato in rete da alcuni nostri partigiani e che ha visto in pochi giorni crescere migliaia di adesioni e sottoscrizioni, come se rispondesse ad una attesa: “Tutti noi siamo richiamati ad una rinnovata scelta di fondo: tra civiltà e inciviltà, tra egoismo e solidarismo, tra il coraggio di ricercare lucidamente le ragioni di disagio, ribellione e rabbia contro lo stato delle cose e le degenerazioni della politica che ne sono state fertile terreno di coltura”. A questo richiamo così rispondeva una giovane donna che dal palco rinnovava l’appello: “Spetta a tutti noi non accettare passivamente ciò che la situazione attuale presenta; neanche lamentarsi e inveire può essere la soluzione giusta. Io non conosco la risposta migliore su come dovremmo reagire a questo presente storto e talvolta terribile, forse ciascuno di noi deve trovare i mezzi per agire secondo le proprie possibilità e attitudini. Io ho trovato molte risposte e una casa nel mondo del volontariato e dell’associazionismo”.

La manifestazione, animata di entusiasmo e di calore, è servita a rimettere in campo l’impegno, a ricomporre accanto alle vecchie generazioni, la presenza di tanti giovani, di Libera, di Emergency, dell’Unione degli Universitari, di Arci, della Cgil, di Cisl e Uil, dei partiti della sinistra che hanno trovato (non senza difficoltà) nell’antifascismo il terreno d’impegno unitario.

Il senso del ritrovarsi, del riconoscersi, vecchi e nuovi antifascisti, è stato accompagnato dai canti popolari di due gruppi musicali composti da rifugiati e immigrati: il CoroMoro e One Blood Family. Anche in tal modo si segnavano quelli che sono per noi i confini della cittadinanza.

In pochi giorni, prevalentemente col passa parola, ha preso corpo l’appuntamento perché il dissenso si facesse pubblico e l’indignazione quotidiana di ciascuno di noi diventasse parola collettiva.

Ora occorrerà costruire altre occasioni, parlare a chi si è fatto incantare dalla semplicità dell’invettiva, dell’individuazione di un nemico, e provare a ricostruire domande che chiedono delle soluzione ai problemi; l’Anpi non può fare tutto ciò, ma può essere un riferimento, può esprimere una sollecitazione ad altri, alla politica in primo luogo, e se costruisce reti unitarie tra altri, in questo momento fa molto.

Maria Grazia Sestero, presidente dell’Anpi provinciale di Torino, componente del Comitato Nazionale Anpi