targa lama dei PeligniLama dei Peligni è un paese arroccato sul versante orientale della Maiella, in quella parte d’Abruzzo dove, all’indomani dell’8 settembre, contro i tedeschi e la loro strategia della “terra bruciata”, nacquero numerose bande di combattenti che poi diedero vita alla Brigata Maiella, la formazione partigiana che risalì l’Italia per liberarla ricevendo anche la Medaglia d’Oro al valor militare. A uno di loro, Provino Angelucci, di recente è stata intitolata una strada che prima portava il nome di Luigi Razza, calabrese trapiantato a Milano, studioso dell’emigrazione meridionale, volontario della prima guerra mondiale, membro del Gran Consiglio del fascismo e del Consiglio nazionale delle corporazioni. Un cambio di toponomastica significativo in un paese che ha già intitolato due strade a partigiani caduti in battaglia: Donato Ricchiuti, colpito a morte non lontano dal paese dov’era tornato lasciando gli studi universitari a Firenze, e Domenico Madonna morto nella battaglia di Pizzoferrato. È stato il sindaco Antonino Amorosi a ricordare che la «la storia si scrive con la coscienza dei popoli». Adesso sulla targa al posto del nome di Razza c’è quello del diciassettenne combattente della libertà ferito nella battaglia su Monte Mauro, nell’Appennino Tosco-Emiliano, il 16 dicembre del 1944 e deceduto dopo una lunghissima degenza nell’ospedale civile di Bologna nel novembre del 1950. Il 26 aprile 1955 il ministero della Difesa, su impulso della Presidenza della Repubblica, gli conferì la Croce al valor militare con la seguente motivazione: “Arruolatosi volontario in giovanissima età in una formazione di patrioti, partecipava con slancio e ardore a numerosi combattimenti contro forti nuclei avversari distinguendosi per coraggio e noncuranza del pericolo. Nel corso di un vivace combattimento, benché ferito persisteva nella lotta, contribuendo efficacemente al successo finale”.

La piazza di Lama dei Peligni
La piazza di Lama dei Peligni

La toponomastica rappresenta uno strumento per rendere concreta e viva la memoria, spiega Lia Giancristofaro, studiosa di antropologia culturale e docente dell’Università D’Annunzio: «I nomi delle strade vogliono rappresentare un modo pratico per agevolare le persone a cogliere il senso ma anche le opportunità che l’appartenenza ad una società offre loro. In questo caso, parliamo di una società che, pur non essendo immune da difetti, è organizzata democraticamente, una società dove i nomi delle strade tendono ad arricchire la vita quotidiana delle persone, riportando alla memoria i fatti della storia e il valore delle persone. Ma gli effetti sociali delle ottime intenzioni che la toponomastica può avere, non sono certo garantiti. Purtroppo capita che tanti siano semplicemente “abitanti” delle città (anziché esserne “cittadini”), dunque sono prigionieri dell’abitudine sonora, non “riconoscono” le vicende e i personaggi menzionati dalle strade».

C’è un problema di comprensione e contestualizzazione storica da risolvere, aggiunge Giancristofaro facendo notare che «quello che manca in Italia, stante la persistenza di “analfabetismo funzionale”, stimato oggi al 45%, è una pedagogia sociale, uno stimolo continuo all’apprendimento, alla riflessione, all’aggiornamento. Cambiare i nomi non serve, se chi li legge comunque non riesce a “prendere coscienza” della forza e della dignità di ciò che questi nomi vogliono veicolare». È per questo che a chi governa i Comuni suggerisce un percorso di sensibilizzazione della cittadinanza ovvero «spiegare perché alcune strade sono intitolate ai martiri del fascismo, della guerra, della violenza, magari ricostruendo come una strada abbia cambiato nome dopo una guerra, dopo un attentato, a seconda delle emergenze della storia. Magari si potrebbero raccontare vizi e virtù di alcuni personaggi storici, proprio per insegnare le persone a ragionare, a contestualizzare le scelte che la cittadinanza ha fatto in passato. Oggi tutti si riempiono la bocca della parola “democrazia”, dunque bisognerebbe rinforzare la memoria in tal senso… che essere democratici significa essere antifascisti, senza tentennamenti né ambiguità».

Maria Rosaria La Morgia, giornalista