Alberto Sordi, interpreta “Il marchese del Grillo, il film di Monicelli satira del potere (da http://www.film.it/fileadmin/mediafiles/ film/generici/201607/images/670×368/mdg4.jpg? n=0.008632295067411255)

Ultimi in ordine di tempo sono stati Roberto Garofali, magistrato, capo di gabinetto del Ministero dell’economia, e il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi, seguito a ruota da tre autorevoli componenti del Comitato scientifico dell’Istituto, Giuseppe Remuzzi, Armando Santoro e Francesco Vitale. Diverse, senza dubbio, le amministrazioni, e diverse anche le motivazioni: il professor Ricciardi ha manifestato l’intenzione di tornare all’attività didattica e scientifica, e altrettanto “istituzionali” sono state le motivazioni addotte dagli altri componenti del Comitato scientifico dell’ISS, non fino al punto, però, da fugare qualsiasi dubbio su taluni indirizzi del governo; esplicita, infine, la motivazione di Garofali, accusato dal Movimento 5stelle di essere, o di avere ispirato, la “manina” che avrebbe lavorato in contrasto con l’indirizzo di governo.

Prima ancora, il presidente della Consob, Mario Nava, si era dimesso in seguito alle sollecitazioni dei capigruppo di Camera e Senato dei due partiti di maggioranza in relazione a una ipotetica posizione di incompatibilità per gli incarichi ricoperti in seno alla Commissione europea.

Né si possono tralasciare gli inviti alle dimissioni rivolte al presidente dell’INPS, Tito Boeri, per le perplessità espresse sulle politiche dell’immigrazione e sui progetti di riforma pensionistica; tensioni e contrasti, più o meno espliciti, hanno indotto perfino un ministro della Repubblica ad auspicare (e forse surrettiziamente a praticare) l’inserimento nei curricula di annotazioni sui trascorsi politici dei candidati a ricoprire incarichi in enti pubblici, salvo poi smentite frettolose e non sempre convincenti.

Non è ancora una emorragia, ma non è più soltanto uno stillicidio casuale: polemiche e dimissioni sono il segno di una difficoltà che, ben oltre il merito delle singole dispute, investe direttamente la questione cruciale della formazione dell’indirizzo politico e della sua attuazione, e, in tale ambito del rapporto tra politica e amministrazione.

Preliminarmente, occorre dire che la dialettica tra vertici politici e amministrativi fa parte della fisiologia di ogni sistema democratico. Schematicamente, si può dire che la politica, con i suoi programmi e le sue proposte, costruisce gerarchie di interessi e stabilisce le relative priorità, mentre le amministrazioni, per le caratteristiche di imparzialità che la Costituzione attribuisce loro, sono chiamate alla ponderazione di tutti gli interessi, anche di quelli che la politica tende a subordinare ad altri, nel legittimo perseguimento dei propri fini; in molti casi, ponderare la pluralità degli interessi in campo, sempre ai fini dell’attuazione dell’indirizzo politico, significa fare emergere punti di attrito e criticità di un determinato progetto o di una determinata proposta, ad esempio, sotto il profilo della fattibilità finanziaria o amministrativa o della sostenibilità sociale.

Detto in altri termini, l’attività politica definisce obiettivi e programmi in base a una certa idea della società e delle istituzioni; l’amministrazione si muove nella sfera dei vincoli che sono suscettibili di ridimensionare i margini di attuabilità di quel programma e di quegli obiettivi, sia dal punto di vista della legittimità (i limiti posti dalle norme vigenti) sia del merito (i limiti posti dalla disponibilità di risorse umane e materiali adeguate), al netto, ovviamente, degli aspetti di consenso, decisivi per la politica, ma meno rilevanti per l’amministrazione.

Da http://www.sachabonetto.it/wp-content/uploads/2016/10/Business-Obstacles-e1471792294612.jpg

Dunque, la politica pone obiettivi e l’amministrazione, nel momento in cui è chiamata ad attuarli, si misura sulla sua fattibilità e sui relativi ostacoli. Certo, gli ostacoli possono essere superati: le regole possono essere modificate, le risorse possono essere reperite, ma pur sempre entro certi margini: le leggi sono modificabili nel limite della Costituzione e le risorse possono comunque risultare insufficienti. Il compito dell’amministrazione è di impegnarsi lealmente alla attuazione del l’indirizzo politico, ma è proprio questo principio di lealtà che impone di rendere palesi la natura e la dimensione delle difficoltà che insorgono in tale ambito. È appena il caso di ricordare che tali obblighi derivano direttamente dai primi due commi dell’articolo 97 del Testo fondamentale della Repubblica (“Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”), e che l’articolo 54 stabilisce, a carico dei cittadini ai quali sono affidate funzioni pubbliche, il dovere di adempierle con “disciplina e onore”: si tratta di due concetti molto ampi, ma ad essi è certamente riconducibile il diritto/dovere dell’amministrazione di rendere espliciti tutti gli elementi di diritto e di fatto che consentono o impediscono alla politica stessa di adottare decisioni congrue ed efficaci.

Da http://www.psicoglobal.com/img/ uploads/2016/empatia.jpg

In condizioni di normalità, i soggetti legittimati dall’investitura popolare ad assumere la decisione politica prendono in considerazione, valutano, accolgono, scartano, le obiezioni, le segnalazioni, le proposte che possono venire dall’amministrazione, nel presupposto che, in generale, esse vengano formulate in un contesto di neutralità rispetto alla decisione stessa e che, comunque, resti ferma la separazione delle reciproche sfere di competenza.

Peraltro, non mancano nell’ordinamento modelli organizzativi e procedurali finalizzati a rendere più fluido il raccordo tra politica e amministrazione. Solo due esempi, tra gli altri: nelle amministrazioni centrali, agli uffici definiti “di diretta collaborazione” del vertice politico, sono preposti funzionari designati sulla base di un rapporto fiduciario che, se non richiede un’identità di posizione politica, richiede però una sintonia con gli indirizzi di fondo, necessaria per un ordinato svolgimento del rapporto di collaborazione, così che esso risulti altrettanto necessariamente risolto, quando tale sintonia venga a mancare.

Sul versante procedurale, va sottolineata l’importanza che, nell’iter parlamentare di approvazione di leggi di particolare rilievo (a partire dalla legge di bilancio), hanno assunto le cosiddette procedure informative, durante le quali le Commissioni permanenti acquisiscono in sedi pubbliche il parere di diversi soggetti, pubblici e privati. Così che, in particolare in occasione delle discussioni sul bilancio dello Stato, i presidenti di enti come l’INPS, la Banca d’Italia, l’ISTAT, la Consob, e via dicendo, si esprimano anche in termini fortemente critici sulle misure proposte dall’Esecutivo.

La dialettica tra politica e amministrazione può certamente degenerare in situazioni patologiche: ciò avviene quando l’amministrazione persegue propri programmi e propri obiettivi eludendo la direzione di chi è legittimato a formulare e attuare l’indirizzo politico. È appena il caso di ricordare che la storia repubblicana offre diversi e gravissimi esempi di infedeltà delle amministrazioni, dalle deviazioni dei servizi di sicurezza negli anni della strategia della tensione, all’inquinamento piduista, per citare i casi più eclatanti.

I vicepresidenti del Consiglio Luigi Di Maio, anche ministro del Lavoro e Matteo Salvini, anche ministro dell’Interno (da https://images2.corriereobjects.it/methode_image/ 2018/08/25/Cultura/Foto%20Cultura%20-%20Trattate/27.0.573992098-kp1H-U3020161098368YJ-1224×916@Corriere-Web-Sezioni- 593×443.jpg?v=20180825101217)

Ma il problema può porsi anche sul versante della politica: quando cioè, le tensioni tra politica e amministrazione – oggi sempre più esplicite, al di là dei singoli casi di dimissioni – si producono in conseguenza delle incertezze e delle difficoltà che si registrano nella formulazione e nell’attuazione del programma di governo da parte delle forze politiche di maggioranza.

Andando oltre le dichiarazioni muscolari sull’ordine pubblico o sull’immigrazione, l’Esecutivo in carica e la maggioranza politica che lo sostiene danno segni sempre più evidenti di una intrinseca debolezza, legata a un programma evanescente, confuso e contraddittorio, nel quale alla denuncia di alcune emergenze reali, soprattutto in ambito sociale, non ha fatto seguito l’adozione di misure realistiche ed efficaci, ma un continuo susseguirsi di promesse e rinvii. Né poteva essere diversamente, se si considera che l’attuale governo è sorto da una (legittima) combinazione parlamentare, determinatasi però non su una base programmatica comune elaborata prima delle elezioni, ma da un “contratto” in cui le parti stipulanti hanno assunto impegni diversi e in molti casi contrastanti con gli intenti formulati da ciascuna di esse prima del voto del 4 marzo dello scorso anno.

Da https://st.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2018/05/18/Contratto-675.jpg

Dopo la grottesca vicenda di una legge di bilancio riscritta, sotto dettatura dei vertici della Commissione europea, dal governo più antieuropeista della storia italiana e imposta a un Parlamento umiliato e spogliato delle sue più elementari prerogative, risulta sempre più evidente la difficoltà di attuare i punti qualificanti del programma di governo: ridimensionata la flat tax a una serie di privilegi fiscali per alcune categorie, reddito di cittadinanza e riforma della legge Fornero, se attuati, si rivolgeranno a una platea presumibilmente sempre più ridotta di beneficiari e saranno soggetti a condizioni e vincoli tali da vanificarne il carattere universalistico che avrebbe dovuto caratterizzarli, stando alle promesse elettorali. Tutto ciò mentre i principali indicatori economici indicano il rafforzamento delle tendenze recessive, che invece richiederebbero interventi seri e realistici di contrasto alla povertà e al precariato, di sostegno alle fasce deboli del mercato del lavoro e di trasformazione del sistema previdenziale nel senso di una maggiore flessibilità, per non parlare di misure improcrastinabili per la crescita, che non possono derivare dalla moltiplicazione delle rendite, ma richiedono interventi per il rilancio del sistema pubblico della formazione, per il rafforzamento della dotazione infrastrutturale, per il risanamento e la messa in sicurezza del territorio, per la tutela del patrimonio culturale.

Da https://i.ytimg.com/vi/BYesPQgq6GA/hqdefault.jpg

Traendo ispirazione anche da un recente passato, a fronte di tale debolezza programmatica e del conseguente stallo operativo, il governo in carica è impegnato attivamente non a correggere il tiro, indicando priorità e risorse, ma a cercare soggetti terzi sui quali scaricare la responsabilità dei propri fallimenti, e a denunciare qualsiasi condotta o presa di posizione non perfettamente allineata come resistenza al “cambiamento” e, pertanto, alla volontà del popolo. Ecco allora le “manine” che cambiano i provvedimenti all’insaputa del ministro responsabile, i dirigenti invitati alle dimissioni non appena esprimano un’opinione critica, il ricorso all’armamentario propagandistico populista (peraltro non ignoto anche a precedenti governi) per denigrare i dissenzienti, siano essi persone in posizione di responsabilità (e in tal caso diventano di volta in volta, agenti dei “poteri forti” o di non meglio precisate élites) ma anche rappresentanti della cultura e semplici cittadini (e allora, di volta in volta, si diventa “professoroni”, “gufi”, “sfascisti” o, peggio ancora, “buonisti”, “radical chic” e “figli di papà”).

Salvo poi, quando si palesa l’impossibilità di comporre le antinomie tra alcune clausole del contratto di governo, ricorrere alla pronuncia dei tecnici, nella vana speranza che questa possa sostituirsi di fatto a decisioni che la politica non è in grado di prendere. Da questo punto di vista, la vicenda della linea ferroviaria Torino-Lione è emblematica di una situazione speculare rispetto a quella fino a qui descritta: il vertice politico non è in grado di motivare adeguatamente le proprie scelte, e aggirando la propria responsabilità, invoca la valutazione tecnica che, in questo caso, non supporta la decisione politica, ma ne giustifica il rinvio.

Le cause delle tensioni tra politica e amministrazioni, dunque, nel momento presente, vanno ricondotte a una difficoltà reale, non derivante da volontà occulte e ostili al “cambiamento”, come spesso si insinua da parte degli ambienti della maggioranza, ma dal dato oggettivo di un programma costruito per sovrapposizioni di proposte tra loro contrastanti, e la cui attuazione si riduce a una competizione nella quale ognuna delle due forze politiche di maggioranza contrappone le proprie proposte a quelle dell’alleato (o forse, del socio, vista l’origine pattizia dell’esecutivo) in una gara concitata, che fino a oggi ha prodotto per lo più effetti di veto reciproco e, in ultima analisi, l’immobilismo di cui l’elettorato inizia a percepire gli effetti.

Cercare all’esterno la responsabilità dei propri fallimenti è una politica di corto respiro, tanto più perché l’abilità propagandistica non può supplire all’infinito l’assenza di una vera progettualità. Come spesso accade in questi casi, l’esasperazione polemica, la costruzione di un avversario più o meno immaginario, la dietrologia complottistica si sostituiscono alla normale dialettica politica e non resta che la maschera dell’autoritarismo per coprire il vuoto della proposta programmatica e la sua intrinseca e strutturale debolezza.