Da http://www.vesuviolive.it/wp-content/uploads/2015/12/pane2-600×485.jpg

«La nostra decisione, mia e di mio marito, è nata mentre stavamo leggendo le notizie locali pubblicate online sui richiedenti asilo che dormivano al freddo e che venivano ricoverati in ospedale a causa di febbri e polmoniti. Era gennaio.

Stavamo rientrando da una breve vacanza passata a Teramo da amici, dove la neve cadeva copiosa. Riflettendo sul fatto che piuttosto di dormire all’esterno a meno dieci gradi sarebbe stato meglio anche un garage decidemmo di contattare la Croce Rossa per offrire la nostra disponibilità ad ospitare qualcuno che ne avesse bisogno. Telefonammo il giorno successivo. Le domande degli operatori, che cercavano di testare quanto fossimo adeguati per accogliere dei migranti, non ci hanno minimamente fatto cambiare idea. La nostra scelta l’avevamo già fatta. Eravamo già sicuri di offrire ospitalità; già a conoscenza del fatto che avremmo condiviso i nostri spazi con persone in difficoltà; che questi nuovi inquilini avrebbero avuto esigenze diverse dalle nostre.

Ci siamo recati presso la Croce Rossa e abbiamo avuto un primo contatto con il responsabile. Ci ha portati nella caserma che ospita i richiedenti asilo e ci ha fatto conoscere il gruppo di ragazzi che dopo qualche giorno sarebbe stato escluso dal progetto di accoglienza. In totale erano 8. Solo 6 sarebbero stati seguiti ancora dalla Croce Rossa, 2, invece, potevano essere ospitati a casa nostra. Abbiamo, quindi, sistemato una stanza libera e inutilizzata al piano terra, allestendola come camera da letto, grazie anche all’aiuto di alcuni volontari della Croce Rossa.

Ragazzi pakistani (da http://www.vanillamagazine.it/wp-content/uploads/2014/11/6130.jpg)

Non siamo gli unici, c’è altra gente che accoglie migranti nelle proprie case, senza fare tanta pubblicità e senza avere incentivi economici. Nel silenzio del nostro Nord Est si opera fratellanza, quella vera, senza vetrine, quella che nasce dal cuore e non ha bisogno di essere esibita. Ho conosciuto coloro che ogni sera portano cibo, del thè caldo, le coperte e i vestiti pesanti o chi offre un supporto psicologico ai ragazzi costretti a dividere la notte con le intemperie. Sono molti i modi in cui possiamo porgere una mano, ognuno è legato alle proprie possibilità e capacità.

Mi farebbe piacere fosse chiaro che tutto ciò avviene nella più assoluta normalità. Rischio di diventare ridondante, ma ritengo sia necessario che venga sottolineato questo: siamo una famiglia normale, con lavori impiegatizi, non siamo impegnati politicamente e non lo siamo mai stati, nella nostra vita né io né mio marito abbiamo avuto fino ad ora esperienze nell’associazionismo, non siamo religiosi.

Da http://www.savonanews.it/fileadmin/archivio/savonanews/mani_giunte_06.jpg

Ci siamo mossi semplicemente perché lo abbiamo ritenuto necessario: se ci sono persone che soffrono, che stanno male e noi abbiamo la possibilità di fare qualcosa per aiutarle direttamente, senza aspettare che se ne occupino gli altri, facciamolo. Non nego che la nostra scelta abbia avuto qualche resistenza da parte delle nostre famiglie. Siamo andati avanti per la nostra strada, sicuri di quello che facevamo.

La grande rivelazione è stata, poi, quella di trovare il sostegno da parte di tanta gente che ci ha aiutato e ci sta aiutando per il vitto, per i vestiti dei ragazzi, anche persone che all’inizio avevano forti perplessità. Una sorpresa bella: condividere con amici e conoscenti questa esperienza di solidarietà e di umanità. In molti casi attraverso la conoscenza diretta dei nostri ospiti o grazie ai nostri racconti le persone hanno cambiato letteralmente opinione abbandonando ogni preconcetto. Le nostre abitudini quotidiane non sono state stravolte, se non per qualche piccola ristrettezza alimentare. La vita in comune, alla fine, è fondata su un mutuo soccorso e su un grandissimo e reciproco rispetto.

Ora ci stiamo impegnando per far imparare loro l’italiano grazie ai corsi di lingua per stranieri organizzati dal Comune. Devo ammettere che questo è stato anche il loro unico desiderio espresso. Vorrei ricordare che i due ragazzi provengono da famiglie piuttosto agiate e che sono stati costretti ad emigrare per aver subìto minacce e pressioni affinché lasciassero il loro Paese. Uno di loro conserverà per sempre le cicatrici anche sul corpo. Grazie alla connessione internet riescono a mantenere un contatto con le famiglie di origine e ad avere qualche notizia del loro Paese, che condividono con noi. Il nostro obiettivo è quello di aiutarli ad inserirsi nell’ambiente lavorativo qui in Italia, cercando di far acquisire loro una professione, seguendo passo per passo una burocrazia che non è sempre chiara, ma che non ci demotiva dall’aiuto. Non è facile, lo sappiamo bene, ma ce la mettiamo e ce la metteremo tutta per poter continuare nel nostro intento. Non vogliamo essere un esempio, ma ci auguriamo che altri seguano questi passi.»