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Sovranismo, populismo, neonazionalismo ma anche identitarismo e fondamentalismo, sono fenomeni dei tempi correnti che ci interrogano su dove stiano andando non solo la politica corrente ma anche e soprattutto le società contemporanee. Quella italiana, quelle europee, quelle del resto del mondo. Piuttosto che rifugiarci in una sorta di inconsolabile lamento sulla decadenza del nostro presente, ovvero sul declino della democrazia e della Costituzione, occorre invece interrogarci su quale sia lo spirito predominante in società nelle quali il passaggio dalla dimensione industriale a quella della globalizzazione, dominata da economie della conoscenza e dell’informazione, invece di superare le diseguaglianze ne intensificano la polarizzazione. Qualsiasi riflessione sulla rilevanza del “fascismo di ritorno” deve quindi partire da questo presupposto. Proseguendo in una riflessione che già da tempo si è aperta per identificare non solo quello che del passato si ripresenta come tale, rivendicando quindi apertamente la sua continuità, ma anche su ciò che, mascherandosi con i caratteri del “nuovo”, dell’“inedito”, in realtà nasconde una risposta regressiva ai dilemmi delle nostre democrazie.

  1. Non ha alcun fondamento storico, ed ancor meno politico, preconizzare e richiamarsi al “ritorno del fascismo”. Ciò almeno per due ordini di motivi: un fenomeno storico non si ripete mai nel medesimo modo; soprattutto, non si può parlare del ritorno di qualcosa che non se ne è mai andato via del tutto dalla società italiana, neanche con la frattura epocale del 1945. Infatti, non ritorna ciò che non si mai esaurito: piuttosto, si manifesta in nuove forme, che vanno indagate e identificate. Mussolini e i suoi hanno lasciato un lungo calco nella società italiana, una fenditura mai cicatrizzata, da dove i loro apologeti di oggi cercano di riconquistare spazio e forza.
  2. Semmai ha quindi senso parlare di rigenerazione di motivi e atteggiamenti La soglia più pericolosa, superata la quale il rischio collettivo si fa stringente, è quella dell’assimilazione e dell’utilizzo di tali motivi nell’azione di governo o comunque di gruppi, partiti e organizzazioni che aspirano ad influenzare le istituzioni e le loro scelte di lungo periodo.
Un noto fotogramma dal film “Il grande dittatore”
  1. I conflitti sociali del presente hanno una natura e delle dinamiche molte diverse da quelle di cent’anni fa. Oggi, la grande frattura che attraversa le nostre società, è tra quella parte della popolazione che gode delle garanzie offerte dal lavoro regolare, e quindi da un sistema di tutele collettive e, chi, invece, ne è escluso o se ne sente tale. L’azione del neofascismo è volta a cercare di raccogliere questi ultimi, ancora una volta – come già era accaduto dopo la fine della Prima guerra mondiale – assumendo le false vesti di rappresentante del disagio dei tanti. Sovranismo, populismo, identitarismo ed altri fenomeni politici, tra di loro anche molto diversi, non sempre riconducibili ad un’unica radice, condividono tuttavia una comune matrice fascistoide, che cerca di avvantaggiarsi della situazione corrente.
  2. Questa matrice è legata essenzialmente a pochi aspetti, come tali però fondamentali: la teorizzazione dell’idea di nazione come di un’identità etnica rigida e immodificabile; l’accusa, rivolta a chiunque non sia riconosciuto come parte di questa “identità” comune, di costituire una minaccia per il fatto stesso di esistere; la visione dei rapporti di potere come del risultato non delle diseguaglianze sociali ed economiche, contro le quali lottare, bensì dell’azione di un “complotto” da parte di oscure élite che, dietro le quinte, si adopererebbero contro il “popolo”; un stile di comunicazione demagogico che, fingendo di volere fare gli interessi collettivi, in realtà tutela solo piccoli gruppi di interesse; l’avversione per ogni forma di pluralismo – non solo politico ma anche sociale, culturale, civile, sessuale e di genere – e la diffidenza, che si fa quindi rifiuto, contro la democrazia rappresentativa, alla quale viene contrapposta una falsa “democrazia diretta”. Più in generale, la sintesi di tutti questi motivi si trova nella rivendicazione della legittimità dell’essere disumani, ossia ferocemente intolleranti, contro coloro e quanto, di volta in volta, sono additati come un pericolo per la sopravvivenza del proprio gruppo.
  1. La funzione principale dei gruppi neofascisti, oltre a motivare i propri militanti e aderenti, è quella di legittimare, nel linguaggio di senso comune così come nella condotta dei molti, atteggiamenti, pensieri, parole e gesti che altrimenti rimarrebbero censurati o comunque consegnati a piccoli e ininfluenti gruppi di nicchia. Si tratta del cosiddetto “sdoganamento” dell’impensabile. Il ricorso al razzismo ha quindi questa funzione: attaccare le minoranze, additandole come una minaccia integrale verso la collettività, per rendere quest’ultima più disponibile e malleabile nell’accettare le imposizioni che, di volta in volta, le vengono e le verranno dettate. Parlare di “sicurezza”, così come avviene nella destra populista e sovranista, ha come posta la secca limitazione delle libertà collettive, imponendo la paura come strumento di governo delle società.
  2. Il vero conflitto, al giorno d’oggi, tuttavia non si gioca tanto (o solo) sul piano politico: lo scontro è semmai tra una concezione della società che sia e rimanga aperta e pluralista, come tale in grado anche di soddisfare concretamente i bisogni dei suoi componenti – tornando a porre in discussione le crescenti diseguaglianze materiali e culturali – e una pratica neoautoritaria, destinata a ridurre sempre di più gli spazi di autonomia, di emancipazione, di liberazione delle persone.
  1. La riduzione delle democrazie sociali a pure finzioni può benissimo coesistere con un mercato in ampia espansione, che non conosce nessun limite ed alcun confine. L’autoritarismo non necessità, al giorno d’oggi, di governi “forti” bensì di società fragili. Queste ultime, sfiancate dagli effetti dei cambiamenti in atto, cercano allora una tutela, anche a rischio di perdere in parte o per tutto la loro libertà.
  2. Il fascismo storico e i neofascismi condividono con ogni forma di autoritarismo la cancellazione della politica come luogo e sfera di conflitto mediato, di dibattito articolato, di confronto legittimo, sostituendo a tutto ciò l’imposizione, per via di fatto (ossia per rapporto di forza), della propria volontà. Storicamente, i fascismi del passato, al pari di quelli del presente, si manifestano come espressione di una non meglio identificata “volontà popolare”; parlano di “rivoluzione”, richiamando improbabili o impossibili cambiamenti; stuzzicano il bisogno di protezione dinanzi a quelle stesse paure che hanno alimentato. I fascismi di sempre non sono un “di più di politica” bensì la sua cancellazione davanti alla potente violenza dell’imposizione di alcuni interessi di gruppo, mascherati come bisogni collettivi. Il loro appello è sempre ad un “senso comune”, ovvero ad un identico sentire fondato sull’angoscia da “invasione”, sul timore di essere espropriati di qualcosa, sulla paura di essere liberi, laddove ciò comporta anche e soprattutto il senso della responsabilità che ognuno di noi ha nei confronti dei suoi simili.

    Da https://comune-info.net/2017/03/liberta-giustizia-versus-autoritarismo/
  3. L’antifascismo non è mai stato né ha mai costituito un soggetto politico autonomo; semmai è una cultura trasversale, in sé libertaria così come a forte radice etica, della politica. Ciò implica che per esistere esso sia e rimanga pluralista, ossia composto da una pluralità di idee, di pensieri, di opinioni. Tra di loro, a volte, anche in tensione e conflitto, poiché non esiste pluralismo se non vi è anche differenziazione e quindi mediazione. Non a caso, il suo riferimento rimane la Costituzione repubblicana, dentro la quale ogni differenza trova il suo punto di riconoscimento attraverso lo scambio democratico. Non è invece accettabile ciò che per sua stessa intima natura nega il diritto alla differenza, ossia il fascismo medesimo. Anche e soprattutto per questo la Costituzione è antifascista. Non si tratta di adottare misure punitive o coercitive ma di condurre una lunga lotta politica per rinnovare la radice sociale delle democrazie, di quella italiana come di quelle europee.
  4. Essere antifascisti, oggi, implica più che mai la capacità di non avere bisogno di nutrire paura per il pluralismo. Non è un fatto ovvio e certo, quindi come tale precostituito. È piuttosto una conquista sociale. Al pari di ogni diritto, che è tale non perché concesso, regalato (e quindi, come tale, anche revocabile) da parte di chi ha più potere. I diritti, e gli obblighi che ne derivano per il loro rispetto, storicamente sono infatti il risultato delle rivendicazioni che arrivano dalla collettività. Affinché ciò possa accadere, necessita però che questa non sia attraversata dalla paura del futuro, come invece oggi accade. Altrimenti, il tempo a venire, oltre ad essere dominato da autoritarismi fascistizzanti, sarà anche un’epoca di esclusione e marginalità per molti. Non solo per gli “stranieri”, tanto per intenderci.

Claudio Vercelli, storico, Università cattolica del Sacro Cuore