Abbiamo dedicato la copertina di questo numero alla giornata delle magliette rosse: ce ne parla Andrea Liparoto con la consueta passione e partecipazione. Centinaia di migliaia di persone hanno raccolto l’invito di don Ciotti, Presidente nazionale Libera e Gruppo Abele, e con lui di Francesco Viviano, giornalista, Francesca Chiavacci, presidente nazionale Arci, Stefano Ciafani, presidente nazionale Legambiente, Carla Nespolo, presidente nazionale Anpi, indossando una maglietta rossa, come quei tanti bambini migranti che attraversano i mari, spesso vi affogano, e così sono vestiti dalle madri affinché in caso di pericolo possano essere notati.

Mentre scrivo è stata resa pubblica la denuncia della ong Open Arms, e cioè che la Libia ha lasciato morire in mare una donna e un bambino. Se venisse confermata questa notizia, ad orrore si aggiungerebbe orrore, e crescerebbe il carico di responsabilità di chi, con raro cinismo, parla di “crociere” a proposito dei viaggi della disperazione e si affida alla marina libica per recuperare i naufraghi. Tanto più la giornata delle magliette rosse si caricherebbe di un senso tragico di necessità e urgenza, perché la vita delle persone è più importante di qualsiasi discorso di qualsiasi ministro dell’Interno.

L’esito della giornata è stato sorprendente, perché ha aderito un numero davvero incalcolabile di persone e perché noi, le donne e gli uomini dell’Anpi, siamo stati in prima fila.

Come mai questo importante successo? Senz’altro perché l’iniziativa si concretizzava con un simbolo, come una bandiera, o un grido, o una luce; questa era la maglietta rossa. Molto più efficace, in questa specifica circostanza, di un comizio, un presidio, un dibattito. Perché parlava al cuore ed alla coscienza senza bisogno di parole. Perché rappresentava visivamente una comunità ed un sentimento comune che in queste settimane di arrembaggio xenofobo sembrava annaspasse sotto i colpi di un’offensiva violenta e volgare. Perché in modo nuovo faceva sentire alta e forte la silenziosa voce di un messaggio di solidarietà e di prossimità di un’Italia ancora grande e combattiva: l’Italia del volontariato, dell’associazionismo e della democrazia. Perché era un’iniziativa di coesione civile e di prossimità verso i più sfortunati. Partita da quattro grandi associazioni, è subito diventata patrimonio di un popolo che aspira a ritrovare la sua identità nella sua unità e nei suoi valori fondamentali, che sono in sostanza quelli della Costituzione.

La giornata delle magliette rosse è stata senz’altro un esempio è può essere un’anticipazione di una mobilitazione diffusa. Al saldo di ogni polemica giuridica sugli sbarchi, ciò che prevale non può che essere l’articolo 2 della Costituzione che recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Non basta sottolineare che questo articolo ha anticipato di un anno un analogo testo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Va rimarcato che non si parla di diritti del cittadino, ma dell’uomo, dunque della persona, che, in quanto tale, è titolare di diritti inalienabili, e che si richiedono “doveri inderogabili di solidarietà”. Sembra che questo principio costituzionale sia stato in queste settimane di arrembaggio xenofobo semplicemente oscurato. Una cosa è il discorso di buon senso per dare ordine, regole e criteri di equità al fenomeno migratorio. Altra cosa è il desolante spettacolo a cui il nostro Paese ha dato vita in queste settimane, quando è sembrato e sembra che il problema principale dell’Italia di oggi siano i migranti, che questi in qualche modo rappresentino il nemico, l’invasore, il barbaro, l’alieno, e chi più ne ha più ne metta. Non solo: a questa rappresentazione si aggiunge costantemente una nota intollerabile di disprezzo da parte del ministro dell’Interno: la “crociera” appunto, la “pacchia”, e sempre più giù, verso il buio popolato da quei mostri della coscienza che abbiamo spaventosamente conosciuto durante il 900. Ma stiamo scherzando? Lavoro, disoccupazione sottocupazione, condizione giovanile, dignità umana: questi sono i drammi quotidiani del nostro Paese. Con uno spettacolare gioco di specchi si è capovolta la realtà, spostando su gruppi di disgraziati che attraversano il Mediterraneo spesso lasciandoci la pelle la responsabilità di una condizione sociale in rapidissimo declino. Impressiona che in questa deriva siano trascinati altri, a cominciare dall’acquiescenza, più o meno imbellettata di bon ton, dell’attuale Presidente del Consiglio. E qui, sempre a proposito di Costituzione, c’è una realtà palesemente incongruente: recita la prima parte dell’articolo 95 (“Il Presidente del Consiglio dei Ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile”); è del tutto evidente che l’attuale Presidente del Consiglio non diriga la politica generale ma operi e agisca, per usare un eufemismo, sotto tutela dei due ministri, il che è un unicum nella storia della Repubblica ed è sicuramente incoerente col disposto costituzionale.

Non solo: ad Abbiategrasso si è svolta un’iniziativa politica di una formazione nazista e antisemita come Lealtà e Azione, a cui hanno partecipato parlamentari della Lega e di Fratelli d’Italia. Questo ambiguo legame non è un mistero, ma con la Lega al governo suona un campanello d’allarme.

Tutto ciò può essere un’avvisaglia per il futuro, ma già ci dispone ad una difesa continua e rigorosa della Costituzione repubblicana.

È molto grave che la carta d’identità di questi primi mesi di governo sia quella del respingimento. È molto grave che il M5Stelle non prenda le distanza in modo chiaro e limpido contro questa linea politica di destra radicale à la Marine Le Pen. Certo, non è mai troppo tardi per un ripensamento. Ma preoccupa ancor più che questa politica trovi ascolto e consenso in un Paese che proprio 80 anni fa approvava le leggi razziali. C’è una grande battaglia culturale da avviare subito, coinvolgendo associazioni e partiti, intellettuali e istituzioni, ragazzi e anziani. E c’è una battaglia ideale e politica, che deve vedere in primo piano i partiti democratici, ma poi l’insieme della società organizzata, per fermare un degrado razzisteggiante e fascistoide che può travolgere in breve l’intero Paese. Certo, l’Anpi non basta. Certo, occorre che si moltiplichino le iniziative unitarie e le manifestazioni simboliche come quella delle magliette rosse. Ma si sappia che in ogni caso l’Anpi c’era, c’è e ci sarà.