Elezioni politiche. Il giudizio sul loro esito spetta, certo, ai partiti. Ma spetta poi – e forse in primo luogo – ai cittadini, ai lavoratori, alle persone, per usare le tre parole-chiave della seconda parte dell’articolo 3 della Costituzione. E spetta anche alle “formazioni sociali” di cui parla l’articolo 2. L’Anpi in primo luogo. E’ giusto quindi, con la prudenza del caso, esprimere un’opinione.

Se servisse a qualcosa, potremmo affermare oggi: l’avevamo detto. E in mille modi: occorre una riforma della politica, il lavoro è la più grave preoccupazione degli italiani, va ricostruita una rappresentanza degli interessi sociali, c’è una gigantesca questione morale che va risolta alla radice, bisogna che le forze politiche tornino sui territori, e così via. Ma non ci siamo mai limitati a segnalare i problemi; abbiamo sempre indicato la via maestra per trovare le soluzioni, e cioè l’attuazione della Costituzione in ogni sua parte. E abbiamo anche, negli ultimi mesi, segnalato un metodo, in particolare, per contrastare ogni forma di fascismo e razzismo; si tratta di quel metodo unitario che ci ha consentito di avviare una campagna nazionale di dimensioni mai viste prima per contrastare razzismi e fascismi. Certo, il metodo si limita ad affrontare questo specifico e spinosissimo tema; ma è anche una lezione di stile: da un lato il confronto e il dialogo portano a trovare punti di convergenza e di impegno, dall’altro lato il lavoro comune di forze politiche e sociali riduce la distanza fra la politica e il popolo.

Se servisse a qualcosa; ma non ci pare che ci sia stato l’ascolto necessario. Ecco perché l’esito delle elezioni politiche – un vero e proprio terremoto – non ci ha colto di sorpresa, ma ha semplicemente rappresentato il precipitare di una crisi (prevedibile e prevista) del sistema politico come lo abbiamo fino ad oggi conosciuto, prospettando un futuro, allo stato delle cose, del tutto imponderabile; è possibile un rilancio, sia pur su basi nuove, di una democrazia da tempo in sofferenza, come è possibile invece un suo ulteriore degrado in base allo slogan “I partiti non servono più”, o una pesantissima regressione, all’insegna della xenofobia, del razzismo, delle paure, della chiusura, del nazionalismo più becero e sfrenato.

Abbiamo assistito negli ultimi anni (meglio: decenni) ad una progressiva trasformazione della politica da progetto di cambiamento ad amministrazione dell’esistente, e di conseguenza allo spegnersi di passioni, entusiasmi, sentimenti ed emozioni che avevano consentito nel 900 la costruzione e la vita virtuosa dei partiti di massa.

Oggi in ogni caso siamo a una svolta, a un cambio del sistema politico. Piaccia o meno, questa è la volontà del corpo elettorale.

Convince meno la teoria della scomparsa della destra e della sinistra come categorie d’interpretazione della realtà e di costruzione di politiche. Immaginare forze politiche che rappresentano tutti, indipendentemente dagli interessi diversi e spesso contrapposti che esistono nella realtà, sembra velleitario, a maggior ragione nel tempo che viviamo, che è quello della estrema diseguaglianza. Si dice: non è più tempo di ideologie, ma di programmi. Come se i programmi fossero neutri, anonimi, e non fossero – come invece sono – figli di questa o quella visione delle cose, di questo o quel punto di vista. Bene i programmi, sia chiaro; e benissimo il buon senso, sia più chiaro; ed ancor meglio rispondere ai bisogni dei cittadini. Ma i programmi veri e realizzabili non sono indolori, perché mettono in discussione forti interessi e grandi rendite, perché bisogna decidere a chi dare e a chi togliere, e assieme fare i giusti compromessi, perché in fondo l’energia creatrice di un popolo è data proprio dai conflitti che lo animano al suo interno, conflitti di ceto, di appartenenza, di culture. E questo porta inevitabilmente a scegliere, cioè a decidere da che parte stare in base ad una determinata concezione del mondo. Occorre perciò attendere per vedere chi fa che cosa, e come.

Ci sono degli aspetti non chiari nelle proposte e nei programmi dei vincitori – fra l’altro molto differenziati – di queste elezioni politiche. E sono essenzialmente due. Primo: avete intenzione o no di operare per l’attuazione integrale, ancorché progressiva, della Costituzione repubblicana? Secondo: l’antifascismo vi sembra un residuo del passato e perciò oggi irrilevante, oppure ritenete che esso, essendo consustanziale ed inseparabile dalla lettera e dallo spirito della Costituzione, vada praticato e valorizzato?

Il primo punto – l’attuazione piena della Costituzione – è la condizione per cui il programma – qualsiasi programma – non sia più solo un elenco di buoni propositi, ma un processo reale di cambiamento dello stato di cose esistente in una determinata direzione. Un esempio: operare per la reale eguaglianza dei cittadini e rimuovere gli ostacoli che la impediscono vuol dire sostenere determinati interessi sociali contro altri interessi sociali, vuol dire un’economia che non lascia totalmente mano libera al mercato, ma lo orienta e lo condiziona mettendo (finalmente) al centro la persona e la sua dignità.

Il secondo punto – la modernità e il valore dell’antifascismo – è la condizione per vedere o non vedere. Certo, si può sostenere che fascismo e antifascismo siano superati. Ma questo vuol dire non vedere. Non vedere cosa succede in Europa e nel mondo, e nel nostro stesso Paese, vuol dire non cogliere i rischi sempre presenti, come dimostra l’esperienza storica, di una degenerazione autoritaria della democrazia. Rischi oggi più che mai incombenti, davanti all’inconfutabile rafforzamento di formazioni politiche che si richiamano direttamente o indirettamente al fascismo, al nazismo e al razzismo in tutta Europa, e in particolare all’est. E il tema delle posizioni sull’Europa, specificamente sull’Unione Europea, sarà un importante banco di prova dei vincitori delle elezioni.

Il risultato elettorale impone come non mai approfondimenti e riflessioni da parte di tutti. Non è tempo di banalizzazioni e semplificazioni. Ma una cosa è certa: come in passato, anche oggi l’Anpi misurerà i governi – qualsiasi essi siano – non in base agli schieramenti, ma in base a ciò che concretamente proporranno e realizzeranno in particolare su queste due questioni: la Costituzione come bussola per il cambiamento, l’antifascismo come guardia repubblicana della Costituzione e della democrazia.

E come in passato, anche oggi l’Anpi opererà, per quanto è nelle sue possibilità, per l’unione delle forze democratiche contro ogni fascismo e razzismo e per l’attuazione della Costituzione, senza alcuna preclusione né pregiudiziale, in modo pacifico. E abbiamo già un appuntamento unitario essenziale, tanto tradizionale quanto sempre nuovo: il 25 aprile. L’impegno dell’Anpi continua, come prima, più di prima. Non nascondiamoci la possibilità di un futuro oscuro. Ma – non dimentichiamolo mai – avevamo e abbiamo una luce, oggi davvero necessaria: la memoria della Resistenza.