Poiché non si può mai essere del tutto sicuri circa la conoscenza diffusa delle pagine più significative della storia del nostro Paese, riporto qui di seguito le brevi notizie che l’Enciclopedia Treccani fornisce sulla “marcia su Roma” e sui suoi effetti immediati.

Marcia su Roma in “Dizionario di Storia” (Enciclopedia Treccani): “Manifestazione di carattere eversivo, organizzata dal Partito nazionale fascista, il 28 ottobre 1922, volta al colpo di Stato o quanto meno all’esibizione di una pressione paramilitare che favorisse l’ascesa al potere di B. Mussolini. Seguendo la politica del «doppio binario», ossia combinando la pratica squadrista con il compromesso politico, Mussolini mise in atto efficacemente una nuova tattica di conquista del potere per mezzo di una «rivoluzione conservatrice» dalle forme semilegali. Dopo una prima adunata di squadristi svoltasi a Napoli il 24 ottobre, e mentre i gruppi dirigenti liberali si confermavano esitanti e divisi, il 27 ebbe inizio l’attacco delle milizie fasciste in varie province, con la presa di una serie di prefetture. Nella notte tra il 27 e il 28 gli squadristi iniziarono ad affluire a Roma, sebbene la resistenza degli Arditi del popolo li bloccasse a Civitavecchia e l’esercito a Orte. Alle cinque del mattino del 28 il governo Facta decise di proclamare lo stato d’assedio, ma il re rifiutò di firmare il decreto. Dimessosi L. Facta, l’incarico di formare il nuovo governo fu dunque affidato ad A. Salandra, e si delineò l’ipotesi di un governo Salandra-Mussolini, cui peraltro guardavano con favore anche settori del grande capitale; il quadrumvirato che reggeva il Pnf, tuttavia, dichiarò che la «sola soluzione politica accettabile» era un governo Mussolini. Nelle stesse ore i fascisti occupavano Roma, attuando la loro marcia armata all’interno della città. Il 29, mentre la manovra eversiva si allargava ad altre città del Paese, Vittorio Emanuele III affidò l’incarico a Mussolini. Questi, partito da Milano la sera stessa, giunse a Roma il 30 mattina per ricevere formalmente l’incarico. Con la formazione del suo governo – di cui facevano parte, con i fascisti, esponenti liberali, popolari, democratici e nazionalisti – iniziava il lungo ventennio della dittatura fascista”.

Questa la sommaria rievocazione della “marcia su Roma”, che ho voluto riportare per quanti non conoscono, non ricordano o sottovalutano. E si badi bene che questa è solo la cronistoria dell’ultima fase o la prima della occupazione del potere. Ad essa bisognerebbe aggiungere, per completezza, le centinaia di Case del popolo date alle fiamme, le bastonature, l’olio di ricino agli “antifascisti”, le migliaia di vittime di quegli anni, di cui ricordiamo solo i nomi più noti. Ma furono tanti; e tanta fu la violenza dispiegata in quel dopoguerra. Per cui la marcia su Roma è in qualche modo il culmine di un periodo di violenze ed orrori e l’inizio della nuova “era”, apparentemente “legale”, ma già ricca di vittime note (Matteotti fu ucciso il 10 giugno 1924 e Don Minzoni il 23 agosto 1923, tanto per far solo due nomi, mentre è accertato che, prima di arrivare formalmente e definitivamente al potere assoluto, il fascismo aveva fatto contare più di 3.000 morti).

Dunque, per tornare al punto di partenza, la marcia su Roma fu qualcosa di più della corrente definizione di “eversiva”; ed è necessario che questa parte della storia venga ben ricordata, per capire fino in fondo che, oggi, le ragioni della scelta di quella data sono – di per sé – ancor più eversive.

È questo il vero motivo per cui quella scelta, da parte di un’organizzazione fascista, non poteva e non può lasciarci indifferenti, ed anzi ci ha provocato un forte senso di ripulsa. Tanto che non ci siamo arresi per il fatto che una richiesta formale di autorizzazione non sia stata presentata, anche perché di qui al 28 ottobre possono accadere molte cose e noi pensiamo che bisogna essere pronti non solo a fronteggiare, ma anche a prevenire qualunque forma di reale eversione, perché è questa la parola che si addice e va richiamata ogni volta che si cerca di tornare su fatti del tragico ventennio.

Sono soddisfatto della presa di posizione, corretta, del Capo della Polizia e del Ministro degli Interni; ma non stiamo a guardare e ad aspettare gli eventi, anche perché la sola idea di aver pensato ad una manifestazione da fare proprio il 28 ottobre ha un carattere, di per sé, altamente eversivo (segnalo comunque, per ulteriori approfondimenti, l’articolo della Prof.ssa Albanese “I giorni della minaccia e della violenza”, apparso su Patria Indipendente online). 

Noi, come ho già detto, terremo una manifestazione di alto valore simbolico, in quella data, a Roma, ma altrettanto deve avvenire ed avverrà in tutta Italia. Non saremo soli, perché abbiamo chiamato a raccolta tante organizzazioni politiche e sociali perché concorrano, con noi, a respingere queste manifestazioni di esasperato fascismo e si attrezzino anche a controbattere i pericoli che derivano dalle nuove forme di fascismo, di razzismo, di egoismi nazionalistici e così via.

Insomma, non solo reagiremo, ma diffonderemo conoscenza e informazioni storiche, e notizie circa i “nuovi fascismi” e ciò che circola sul Web. Ormai non bisogna lasciar passare più nulla, perché la sfida si fa più aspra, la tentazione dei fascisti di ieri e di sempre di spostare più in alto l’asticella della provocazione si fa sempre più forte. Deve dirsi che non sempre le Istituzioni, lo Stato nel suo complesso, mostrano altrettanto impegno ed altrettanta comprensione dei fenomeni e dei fatti che avvengono.

Ho già riferito della richiesta di archiviazione, a Milano, di una vicenda avvenuta al Cimitero monumentale, di schietto connotato fascista, ma anche con una forte dose di provocazione e di sfida.

Adesso, dobbiamo registrare un altro fatto che non può che colpire e produrre sdegno in ogni cittadino antifascista: per la vicenda del gestore di un “bagno fascista” a Chioggia, che tanto ci ha colpito per la sua banale e brutale arroganza, la Procura della Repubblica di Venezia ha chiesto l’archiviazione del procedimento. C’è da chiedersi come ragionino certi giudici, e quanto conoscano la storia del nostro Paese e perfino le leggi che già da tempo sanzionano ogni forma di apologia del fascismo. Ci chiediamo se ci sia, davvero, in una parte della Magistratura, quella “cultura antifascista” che dovrebbe nascere anche solo dalla piena conoscenza della nostra Costituzione.

Abbiamo insistito presso la Scuola Superiore della Magistratura perché ai tradizionali corsi di carattere strettamente giuridico, se ne aggiungessero alcuni dedicati alle leggi Scelba e Mancino ed alla stessa Carta costituzionale, nei suoi principali valori. C’è stato assicurato che si sarebbe provveduto. Tuttavia dopo alcune recenti pronunce, che non tengono conto neppure degli orientamenti della Suprema Corte di Cassazione, c’è da essere sbalorditi, ma anche preoccupati. Noi siamo per una Magistratura indipendente, come vuole la Costituzione e siamo anche per il rispetto verso questo importantissimo Organo dello Stato ed i suoi componenti. Ma se ci sono aree scoperte e lacune culturali-storiche, occorre colmarle, non solo nell’interesse stesso della giustizia, ma anche perché oggettivamente, certe richieste di archiviazione finiscono per rendere più sicuri di sé e più arroganti coloro che hanno il fascismo nella mente e nel cuore e non hanno capito (e non vogliono capire) che questa è una Repubblica democratica e antifascista.

Carlo Smuraglia, Presidente dell’ANPI nazionale