Non è un problema di linguaggio, ma di scelta politica. Quando un ministro dell’Interno, mettiamo Matteo Salvini, esclama nelle più svariate circostanze “Noi tireremo dritto”, “Chi si ferma è perduto”, “Me ne frego”, cita consapevolmente Benito Mussolini. Quando scrive su Facebook il 29 luglio di quest’anno “Tanti nemici, tanto onore” non solo lo cita di nuovo, ma sceglie il giorno del suo compleanno.

È nota a tutti la crisi del sistema politico e la vittoria di forze, pur molto diverse fra loro, ma accomunate da una visione comunemente chiamata “populistica”. Tali forze sono poi, com’è noto, andate al governo attraverso un accordo di programma da loro denominato “contratto”. Le due forze – sia chiaro – sono distinte. Ma non stupisce che il rappresentante più autorevole di una di queste due forze manovri come un pesce nell’acqua nel mare magnum di una insoddisfazione popolare annunciata. Il punto è, però, che ha scelto consapevolmente di strizzare l’occhio al bassofondo più o meno fascisteggiante che serpeggia in parti della società, atteggiandosi ad “uomo forte” del momento e comportandosi di conseguenza: vedi il caso Diciotti, vedi il caso Riace. Vedi, in generale, il suo atteggiamento verso il fenomeno migratorio ed il suo comportamento – indipendentemente dal merito – permanentemente rissoso e competitivo nei confronti di altri Paesi dell’Ue e verso l’Ue stessa. Vedi il silenzio verso i ripetuti casi di aggressioni e violenze nei confronti di migranti, rom, gay perché tali. Insomma, è la cronaca di ogni giorno.

Il dato positivo è il grande movimento da tempo in corso nel composito mondo dell’associazionismo. Non si contano più le manifestazioni e le iniziative assunte per contrastare tale deriva, in particolare contro il razzismo, oramai diffuso anche in parte dei ceti popolari. Com’è ovvio l’Anpi fa parte integrante e propositiva di questo movimento: la lotta ad ogni forma di razzismo è infatti l’inevitabile risvolto di vari articoli della Costituzione, a cominciare dal 2 (diritti umani e doveri di solidarietà), 3 (eguaglianza dei cittadini), 10 (diritto d’asilo). Il tema andrebbe approfondito. Come in tempi non sospetti (1998) ha scritto Carlo Cuomo, un autorevole antifascista milanese purtroppo scomparso, “il problema non è solo quello di lavorare per creare solidarietà “verso” gli immigrati, i diversi, ma di cominciare a costruire solidarietà “tra lotte solidali comuni”. Interpreto questo pensiero con l’opportunità di operare proprio nei luoghi dei ceti sociali più disagiati per rompere – ove ci sia – il pregiudizio discriminatorio o razzista, e creare legami e alleanze fra fasce popolari italiane e comunità di migranti in base a comuni interessi. Si muove in questa direzione un recente documento di Magistratura democratica dove, a proposito del provvedimento di polizia contro il Comune di Riace, si afferma fra l’altro che “è un provvedimento che obiettivamente lede gli interessi degli italiani ed irresponsabilmente opera per rendere la convivenza più difficile e più problematica per l’ordine pubblico”.

E proprio Riace ci racconta che si può fare. In quel borgo calabrese, come in tanti altri luoghi della regione, si è promossa e organizzata questa comunanza di interessi fra residenti e cittadini stranieri, costruendo di fatto così un’alleanza sociale, forse un vero e proprio blocco sociale, che unisce ceti popolari italiani con ampie fasce di migranti. In alcuni casi la chiesa, in altri i sindaci, sono stati protagonisti di un risorgimento del Comune, di un ripopolamento e di una rivitalizzazione, grazie alla triade accoglienza/lavoro/socialità. L’esempio calabrese, diffuso in ampie parti della regione, in realtà vale per l’Italia: una serie di mansioni lavorative sono svolte prevalentemente da migranti (dai lavori domestici alle attività agricole). Ma la premessa è che sia ragionevolmente possibile la regolarizzazione dei lavoratori stranieri. La stretta prevista dai provvedimenti governativi non diminuirà il numero di migranti, ma aumenterà il numero di clandestini, rendendo sempre più difficile per loro trovare un lavoro “legale”, moltiplicando marginalità e disagio, alimentando il sottosuolo di piccola delinquenza, peggiorando l’economia, il benessere, la sicurezza di tutti gli italiani.

L’accoglienza è perciò nell’interesse dei migranti e degli italiani. Ce lo dice la geografia attuale, osservando ciò che è successo a Riace e in tanti altri comuni calabresi, ma anche la storia, la nostra storia del 900: quando negli anni 50/60 decine di migliaia di meridionali si trasferirono al nord per lavoro – Torino, Milano, Genova – era spesso presente una velata o esplicita discriminazione contro di loro, i “terroni”, da parte di altri lavoratori. Ma tale discriminazione si superò negli anni 70 riconoscendo i comuni interessi ed i comuni avversari, per arrivare poi agli anni dello slogan “Nord e sud uniti nella lotta”.

È nota la linea dell’Anpi contro la deriva discriminatoria e razzista ed i rischi di scivolamento autoritario: unità in tutte le forme, a cominciare dall’unità delle associazioni. Ma a bene vedere tale unità si declina anche dal punto di vista delle componenti sociali: l’unità da perseguire è anche l’unità fra i ceti popolari, e cioè italiani e migranti, nel comune obiettivo del lavoro, della crescita, della dignità umana, del rispetto dei diritti. Ecco, davanti ai provvedimenti di polizia, alle intimidazioni ed alle violenze, alle discriminazioni e ai razzismi, alle ostentate citazioni di Mussolini, questo può essere nei fatti il nostro antifascismo quotidiano.