Chiuso per lutto, vien da dire. Dopo Dacca. O dopo l’ultima, mostruosa strage di Baghdad. Si interrompa, per un momento, il rito delle parole, come avviene sempre, peraltro, davanti allo stupore della morte, specie quando questa giunge efferata, inattesa, predatrice. Solo lacrime.

Certo, davanti all’orrore ci dev’essere la risposta politica, culturale, militare. Certo, occorre contrastare in ogni modo il rischio di un impetuoso ritorno in occidente di un’estrema destra che cavalca le ombre della paura che, spiegabilmente, si diffonde davanti alla incontenibile ferocia degli apostoli del massacro. Certo, va indagato il tempo in cui viviamo, liberandoci dall’illusione per cui il terrorismo che viviamo sia una sorta di ritorno al medioevo prendendo atto, invece, che si tratta esattamente di una manifestazione di questa modernità, che svela quotidianamente ed in mille modi la sua natura barbara e atroce. Ma ci saranno altri luoghi ed altri momenti per approfondire.

Oggi, davanti ai fiumi di sangue innocente che vediamo scorrere, a noi, agli antifascisti, assieme a un sentimento di travolgente pietà, spetta il rispetto della irreversibile promessa a difesa della civiltà universale e della umana convivenza. La peste nera del 900 – il nazifascismo – fu contrastata da quelle generazioni, che si incarnarono nella Resistenza e nel movimento partigiano. Fu peste nera perché negava la vita e la libertà. Da quell’aspra e sanguinosa lotta, dall’oceano di valori di umana fratellanza a cui si ispirava, si può attingere oggi l’acqua del contrasto alla moderna barbarie e della lotta per la conquista della felicità, che mai come in questi anni viene irrisa, ostacolata, impedita, negata. Questo terrorismo è il trionfo della morte. L’antifascismo è l’affermazione della vita. Perché anche le lacrime possano fecondare la terra.