Non era vero. La guerra continuava.

Con l’armistizio firmato a Cassibile il 3 settembre e reso noto l’8 si avviava una guerra nuova, quella contro i nazifascisti. Nel tardo pomeriggio dell’8 il maresciallo Badoglio, nominato capo del governo dopo il 25 luglio, leggeva alla radio queste parole: «Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare la impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza».

Il giorno successivo, assieme al re, alla regina e ad altre autorità, fuggiva a Pescara, lasciando la Capitale (e l’Italia) senza difesa. Nasce simbolicamente allora la Resistenza, mentre i tedeschi risalivano la penisola, mentre nasceva l’effimera e cruenta repubblica di Salò, al servizio di Hitler, e mentre le truppe naziste occupavano l’alto litorale adriatico. La una guerra terribile quella dei partigiani, una guerra prevalentemente di guerriglia contro un nemico che condusse invece una vera e propria guerra ai civili. Tutto terminò in Italia il 25 aprile 1945, la Liberazione.

Con l’8 settembre del 1943, intanto, nella confusione e nella disperazione di uno Stato – lo Stato fascista – che si dissolveva, si avviava la rinascita della Patria. Perché furono quei mesi, grazie al sacrificio di decine di migliaia di partigiani e partigiane, di centinaia di migliaia di militari deportati in Germania o uccisi dai tedeschi, come a Cefalonia, a riscattare l’immagine del Paese e a consentire la ricostruzione, la Repubblica, la conquista della Costituzione.