Il Tribunale di Bari

Deve restare chiusa la sede di CasaPound a Bari, perché “la strategia violenta di repressione di gruppi portatori di una diversa ideologia politica richiama indubbiamente il metodo fascista”. Lo hanno scritto i giudici del Tribunale del Riesame motivando il diniego al dissequestro richiesto dalle tartarughe frecciate della città pugliese.

I sigilli alla sede in via Eritrea, nel quartiere Libertà, erano stati apposti lo scorso dicembre dalla magistratura nell’ambito delle indagini sui fatti del 21 settembre 2018, quando i militanti di CP aggredirono un gruppo di manifestanti antifascisti di ritorno dal corteo ‘Mai con Salvini’, organizzato in occasione della visita del ministro dell’Interno.

Nel pestaggio vennero ferite tre persone, tra loro l’assistente dell’eurodeputata Eleonora Forenza, colpite con “sfollagente, manubri, manganelli”, ricostruirono gli agenti della Digos. “Comportamenti usuali del disciolto partito fascista”, afferma il collegio del Riesame presieduto dal giudice Giuseppe Battista.

Le motivazioni hanno ricostruito la dinamica delle violenze, ricordando che nella sede “solitamente frequentata da pochi soggetti, erano presenti 30 militanti, 14 dei quali provenienti da altre province pugliesi, ben consapevoli della circostanza che per quella stessa sera era prevista una manifestazione di impronta chiaramente antifascista”. Dunque ci fu premeditazione, e desumibile anche dai rilievi fotografici il “ricorso al metodo squadrista – scrive il Riesame –. Metodo che viene indicato ‘squadrismo’, vale a dire un’organizzazione, impiego e attività di piccole formazioni di armati non regolari (squadre d’azione) che a fini intimidatori e/o repressivi veniva utilizzato dal fascismo nei confronti degli avversari politici per affermare la propria supremazia”. Non solo. Prendendo atto che nel corso delle perquisizioni delle abitazioni di alcuni indagati vennero ritrovati busti di Benito Mussolini, copie del Mein Kampf e una bandiera della X Mas, per i giudici “nessun dubbio sussiste sulla capacità della ritualità adottata a suscitare o rafforzare nei presenti sentimenti nostalgici nei confronti del partito fascista ed operare, oggettivamente, come veicolo di proselitismo, di adesione e di consenso, concorrendo alla diffusione di concezioni favorevoli alla ricostituzione del partito fascista”. E “non si esclude – dicono ancora i giudici – che la stessa sede, in differenti occasioni, sia stata e possa continuare ad essere sede di manifestazioni del disciolto partito fascista”. Per di più, i riscontri investigativi dimostrano inoltre che c’è un “pericolo concreto e attuale” di riproposizione “del partito fascista e del suo modus operandi”.

I sigilli della magistratura sulla sede neofascista

In sostanza i giudici del Riesame hanno confermato in pieno l’ipotesi del procuratore aggiunto Roberto Rossi. A tutti i trenta indagati della tartaruga frecciata il pm ha contestato l’apologia del fascismo e a dieci anche l’accusa di lesioni.

Sulla vicenda barese, il 25 ottobre, si era espresso anche il Parlamento europeo con una Risoluzione. Nel testo approvato si ricordavano inoltre la strage di Utoya, l’assassinio di Jo Cox e gli spari di Luca Traini a Macerata, e si invitano gli Stati membri a mettere al bando i gruppi neofascisti e neonazisti, compresa CasaPound.

Per un’altra sede di CP, anzi la madre di tutte le sezioni dei fascisti del terzo millennio, c’è da più parti una richiesta di chiusura. In particolare di sgombero. È quella, al centro di Roma, dell’edificio al numero 8 di via Napoleone III, di proprietà del Demanio. Occupato dal dicembre 2003, in una ventina di appartamenti vi vivono parenti e amici dei dirigenti nazionali di CP. A chiedere lo sgombero dello stabile (da tempo nella lista della prefettura) anche il Comune di Roma ma di recente, allineandosi al vicepremier e ministro dell’Interno Matteo Salvini, il Ministero delle Economia e delle Finanze aveva fatto sapere che non ne farà nulla. Almeno non subito, perché il palazzo non è a rischio crollo e non presenta neppure problemi igienici.

La sede di CasaPound nel centro di Roma

“Un vero scandalo e un affronto all’Italia democratica – aveva commentato la presidente nazionale Anpi, Carla Nespolo –. Un’offesa a Roma, la cui Sindaca da tempo aveva richiesto lo sgombero della sede. Ed è un oltraggio alla storia di questa città, Medaglia d’oro della Resistenza”. La presidente dei partigiani, puntando il dito sul dicastero guidato da Giovanni Tria, aveva continuato: “Le ragioni ‘tecniche’ addotte dal ministero sono la foglia di fico per coprire l’evidente protezione che questo governo sta dando ad un’organizzazione dichiaratamente neofascista che, in quanto tale, dovrebbe essere sciolta in base alla XII Disposizione finale della Costituzione”. E questo, concludeva Nespolo, mentre “il Governo ha buttato in mezzo alla strada centinaia di poveretti senza lavoro, senza reddito, senza assistenza e senza tetto”.