Zdzisław BeksińskiDue notizie del tutto diverse: l’attribuzione di una scorta alla senatrice a vita Liliana Segre, il rogo (doloso) della libreria “La pecora elettrica” a Centocelle a Roma. Certo, succede di molto peggio. Eppure questi due episodi ci rappresentano simbolicamente la metamorfosi che è avvenuta nel Paese. A proposito di metamorfosi, “Gregorio Samsa, svegliatosi una mattina da sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo”: così comincia l’omonimo romanzo di Franz Kafka. Diversamente dal destino del signor Samsa, che mai scoprì la ragione della sua orribile mutazione, sono sufficientemente chiare le origini dal caso italiano. La metamorfosi si è avviata a ben vedere dalla fine degli anni 80, si è strutturata negli anni 90 con la penetrazione di nuovi modelli culturali, stili di vita, riferimenti ideali, si è consolidata nei primi anni del nuovo millennio per poi accelerare dall’avvio della grande crisi ed esplodere, compiendosi pienamente, nei tempi in cui viviamo. Per alcuni aspetti si tratta di un fenomeno indotto da trasformazioni, se non mondiali, quanto meno occidentali.

Quale metamorfosi? Si possono usare molte parole: odio, rancore, imbarbarimento, cattiveria, degrado. Nella sostanza si tratta di un cambiamento profondo dei “sentimenti sociali” di una parte rilevante del popolo, maturato attraverso una lunga gestazione pilotata dai gruppi dirigenti ai quali però, come apprendisti stregoni, è in parte sfuggito il governo di questa trasformazione.

Cosa c’entra Liliana Segre? Si tratta di una signora uscita per caso dall’inferno della Shoah, oggi quasi novantenne, lontana dalla politica fino alla sua nomina a senatrice a vita, prima firmataria di una mozione per la costituzione di una Commissione straordinaria contro razzismi e violenze. La cifra della sua identità non è solo l’innocenza come “mancanza assoluta di colpa o responsabilità, morale o giuridica, per cosciente volontà di rettitudine e di rispetto della giustizia e delle norme morali” (Treccani), ma anche l’essere un’ebrea sopravvissuta al più grande sterminio della storia contemporanea. Innocenza e sopravvivenza divengono, nella metamorfosi del Paese, una colpa che richiede una punizione, un castigo che potrebbe arrivare alla persecuzione fisica. Da ciò, la scorta.

Cosa c’entra “La pecora elettrica”? Si tratta di una libreria, come si dice, progressista, luogo di ritrovo di antifascisti, per la seconda volta data alle fiamme da ignoti. Ignoti chi? Forse fascisti, dato che il primo incendio avvenne nella notte del 25 aprile. Forse il racket della droga, dato il recente incendio di un locale nei pressi della libreria. Forse entrambe le cose. Non cambia la sostanza. La sua colpa è essere aperta la sera, e cioè in qualche modo aggregare in un territorio disgregato, e proporre una cultura opposta a quella dell’estrema destra trionfante. Da ciò, punizione e castigo: la distruzione materiale, il rogo dei libri.

Entrambi – una anziana signora ed una piccola libreria – sono sotto tiro perché identificati come stranieri nel tempo dell’esaurimento della coesione sociale; non è solo illegittimo ciò che fanno; è illegittimo il fatto che esistano, e con la loro stessa esistenza incrinano la simmetria del mondo ad una dimensione rivendicato dalle destre radicali. Andiamo in fondo al gorgo della quotidianità proposta e sollecitata dal mainstream fascistoide; cos’è a ben vedere Liliana Segre se non una giudea? E come si permette di alzare la cresta in parlamento? Cos’è la libreria “La pecora elettrica” se non un covo di comunisti? E perché è aperta la sera come luogo di vita, disturbando pusher e traffici oscuri, che prosperano nei non-luoghi, cioè in luoghi dove non deve esserci vita sociale?

È il mondo di mezzo fra Orwell di 1984 (“La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”) e Comma 22 (“Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”): chi è innocente è colpevole, e se è colpevole deve subire un castigo.

Questa, sia chiaro, non è l’Italia di oggi, ma è una sua parte. Poi ce n’è un’altra, quei cittadini che hanno manifestato e manifestano vicinanza e affetto a Liliana Segre, quei cittadini sfilati in migliaia a Centocelle in solidarietà con la libreria, per rivendicare l’agibilità e la socialità del quartiere. In generale, quella buona metà di italiani che non si riconoscono nella metamorfosi dell’enorme insetto immondo, apparso dal buio della notte. E la luce è la soluzione: una luce che illumini nomi e cognomi di chi minaccia Liliana Segre, una luce che illumini le piazze devastate dallo spaccio e dalla solitudine sociale, una luce che illumini i volti delle bande fasciste.

Perché, se siamo arrivati al punto di assegnare la scorta a Liliana Segre, c’è poco da scherzare.