Noi siamo tra quelli che la considerano una data importante, da ricordare, certo, anche per i suoi aspetti dolorosi, ma anche e soprattutto per aver consacrato la fine di una fase storica altamente deprecabile, rappresentando, al tempo stesso, l’inizio del riscatto.

È ben vero che le singolari modalità di comunicazione dell’armistizio, la secchezza del comunicato di Badoglio, la fuga verso il sud non solo del Re e della famiglia, ma anche dei vertici militari, determinarono il clamoroso naufragio delle istituzioni e di un’intera classe politica, rivelatasi assolutamente incapace di assumere decisioni responsabili.

Inevitabilmente tutto questo determinò uno “sbando” complessivo, in un vuoto colmato soltanto dalla velocità con cui i tedeschi presero in mano la situazione, occupando buona parte del suolo nazionale Per cui, venuti meno tutti i punti di riferimento istituzionali, ci fu disorientamento, sbandamento, desiderio di farla finita con tutto e ternare a casa.

Un quadro assolutamente spiegabile psicologicamente e di cui sono evidenti le responsabilità. Ma non è giusto parlare di “un’Italia ridotta al silenzio ed alla volontà di tornare a casa”, perché ci fu anche un’altra Italia, che non tacque e non fuggì; un’Italia “diversa”, che esisteva da tempo (quella degli antifascisti militanti, reclusi nelle carceri o al confino, o esiliati più o meno volontariamente) e in parte aveva subito in silenzio, ma non sopportava la barbarie dell’invasore tedesco e l’arroganza dei fascisti che cercavano la rivincita dopo il 25 luglio.

Questa Italia non aspettò ordini o proclami, maturò subito l’esigenza di avviare il riscatto e di reagire al crollo delle istituzioni ed alla violenza dei tedeschi.

Ci furono molte rivolte popolari contro i tedeschi, ci fu l’insurrezione di Piombino, sulla base di un’alleanza tra civili e militari; ci furono episodi importanti, a Porta san Paolo (Roma), a Gorizia, a Trieste, Cuneo, Savona, Viterbo e financo nel sud, in Sicilia e in Sardegna.

Ci fu lo straordinario comportamento dei militari italiani sorpresi dall’armistizio all’estero, e molti non vollero arrendersi ai tedeschi e pagarono la loro scelta con la vita, a Cefalonia, Kos, Leros; e ci furono comportamenti, prossimi all’eroismo, della Marina Militare. E poi ci furono gli “sbandati”, i giovani che non vollero andare con la Repubblica di Salò, affrontando un destino ignoto e avviando la prima fase della Resistenza.

E ancora, ci fu tutta la “resistenza non armata”, che si espresse da subito con una grande fiammata di solidarietà, aiutando gli ex prigionieri, i fuggiaschi, i militari che cercavano di tornare a casa, e in seguito – in molti casi – i partigiani.

Questa fu l’altra Italia, quella del non silenzio, dell’avvio verso il riscatto.

Calamandrei, nel suo linguaggio che sarebbe ingiusto definire retorico, parlò di una sorta di “adunata spontanea”, di una specie di “passaparola” cui aderirono fedi ed ideali diversi, accorsi alla chiamata di una voce “diffusa come l’aria che si respira”.

Le due Italie, quella dello sbando e quella del riscatto, si intersecarono in quei giorni; ma di questo intreccio è giusto cogliere soprattutto la parte attiva, quella che rifiutò il ritorno a casa ed avviò concretamente quella pagina meravigliosa che è stata la Resistenza. Questa è la parte che alla fine ha vinto, dopo molti mesi di impegno e di sacrificio, liberando – assieme agli Alleati – il nostro Paese dai tedeschi e dai fascisti di Salò.

Penso dunque che sia giusto rifiutare l’alternativa proposta da alcuni, lo sbando o l’avvio del riscatto. Registriamo correttamente il crollo delle istituzioni e di una classe politica, ma ricordiamo anche che ci fu una reazione, in alcuni casi, immediata, in altri progressiva; e fu questa – alla fine – a prevalere, contribuendo a restituire all’Italia la libertà ed a costruire sulle rovine del passato un Paese democratico ed una Costituzione ampiamente innovativa e destinata a durare nel tempo.

Questo è, dunque, il nostro ricordo dell’8 settembre; da tramandare ai giovani, perché ne traggano insegnamento: anche quando tutto sembra crollare, non bisogna mai arrendersi, ed anzi si deve lavorare per il riscatto e la rinascita. Questa è la condizione essenziale perché la democrazia, conquistata con l’impegno, il sacrificio e le lotte di tanti (donne, uomini, giovani e anziani), possa riuscire sempre a superare ogni tipo di difficoltà, ed imporsi come il fondamento della nostra vita, perfino nei momenti più difficili.

Carlo Smuraglia, Presidente nazionale dell’Anpi, da ANPInews n. 255, 5-12 settembre 2017