Massimiliano Santarossa
Massimiliano Santarossa

Si trovò davanti all’enorme porta d’acciaio dalla quale era entrato. C’erano due guardie. Si fissarono.

«Voglio abbandonare Metropoli, ora», disse l’uomo.

«Non esiste regola che lo impedisca, Metropoli concede ogni metodo di liberazione, dal corpo, dalla mente e da essa stessa. Cittadino numero 5.937.178 sai che là fuori c’è l’oblio, sai che la fine ti attende», dissero le guardie senza aggiungere altro, senza espressione alcuna.

La porta lentamente si aprì. L’uomo osservò la linea di calce tracciata sul suolo bagnato. Alzò gli occhi verso la vasta pianura, spoglia, buia, tagliata dal vento invernale. Fece un passo oltre il confine di Metropoli.

«La libertà inizia al principio del nulla».

E prese a camminare. Fuori. Libero.

(tratto da: Massimiliano Santarossa, Metropoli, Baldini&Castoldi, 2015)

 

CopertinaUn linguaggio immediato, secco, smaliziato, quello di Massimiliano Santarossa (http://www.massimilianosantarossa.com/), falegname e operaio in un’azienda di materie plastiche del Pordenonese nel passato, romanziere nel presente. Iniziato alla scrittura come “ritrattista” della vita di periferia del Nord Est, manifesta in principio un’esigenza catartica legata ad episodi autobiografici, che evolve poi nella narrazione di distopie fortemente critiche rispetto alla società contemporanea, all’omologazione, allo sfruttamento morale e fisico delle persone. Tra le pagine dei suoi romanzi trasuda la necessità politica di contribuire a un risveglio delle coscienze nella tutela della libertà e delle individualità, riscoprendo se stessi attraverso la consapevolezza delle scelte senza essere bloccati dall’incognita del futuro. Nonostante la cupezza delle immagini, ogni racconto ci trasmette la forza della speranza e un senso emotivo di reale quotidianità difficile da dimenticare.

Il passaggio da un tipo di scrittura realista a quella distopica può essere associato a un mutamento della tua personale visione del lavoro conseguente alla crisi del settore economico-produttivo che ancora stiamo attraversando?

Il mondo cambia repentinamente, come sappiamo. Mai nella storia dell’umanità ci sono stati cambiamenti epocali così veloci come dal dopoguerra a oggi, cambiamenti industriali, sociali, comunicativi, tecnologici. La domanda che mi pongo ogni giorno quando vedo il mondo esterno a casa mia, e così quando scrivo è: cosa di tutto ciò ha a che vedere con lo sviluppo economico e cosa invece ha a che fare con un effettivo progresso delle persone? La risposta che possiamo sinceramente darci è che la gran parte delle evoluzioni degli ultimi settant’anni sono state messe in atto unicamente per lo sviluppo produttivo/capitalistico/finanziario e quasi mai per il progresso umano. La scrittura è una forma di resistenza e di memoria, resistenza verso tale degrado e memoria nel salvare ciò che siamo, raccontando il mondo che dobbiamo attraversare. La letteratura è oggi più che mai un preciso atto politico, e nel suo stare nel mondo muta con il mondo stesso. Pertanto, la realtà di oggi la si racconta in maniera precisa con un linguaggio distopico, perché distopico è ormai tutto l’Occidente.

Quanto influisce l’ambiente in cui vivi nella creazione dei tuoi romanzi?

L’ambiente influisce moltissimo, è uno dei protagonisti di ciò che scrivo. Sono e rimango uno scrittore realista, anche quando i miei romanzi hanno tratti visionari. Tra le righe c’è sempre la società che viviamo, che soprattutto subiamo. Questa zona chiamata Nordest d’Italia, che per anni è stata trainante sotto gli aspetti produttivi e industriali, con l’arrivo della crisi economica del 2007 ha visto la propria disintegrazione, morale prima ancora che economica: gli industriali sono fuggiti all’estero, i politici hanno scaricato ogni responsabilità e i lavoratori sono finiti in ginocchio, quasi senza più alzare la voce. Tutto questo è di per sé una forma di letteratura. E i romanzi hanno il compito di memorizzare i cambiamenti sociali tanto quanto l’anima di un popolo, o ciò che ne resta dell’anima.

11666212_1007264892625880_880572781182021103_nDescrivi la schiavitù umana nei “gesti ripetuti” e nella “fatica soffocata”, quali potrebbero essere, secondo te, le scelte che aiutano a superare questo tipo di prigionia?

Non credo ci siano possibilità di superamento del sistema fabbrica, inteso ancora come fordista, perché lì siamo rimasti: alla fine dell’Ottocento. Credo piuttosto sia superabile la schiavitù del lavoro considerato come artefice di dignità. “Il lavoro dona dignità all’essere umano”, ecco, sta in questa frase l’errore. Il lavoro non dona alcuna dignità, esempio il lavoro produttivo in catena di montaggio è solo produzione di materia. L’essere umano non ha dignità in quanto costruisce metallo, ferro, lamiera, vetro, legno, plastica, oggetti insomma. L’essere umano ha dignità in quanto Essere Umano, in quanto abitante di un luogo, in quanto persona con un cuore, dei sentimenti, delle paure, delle gioie. Oggi abbiamo la possibilità di fare questo salto di qualità di pensiero, che è anche qualità di vita.

Come definiresti nell’attualità la parola “Resistenza”?

Importantissima tanto quando nel 1943/45. Siamo alla fine del sistema occidentale per come l’abbiamo conosciuto: basato sulla produzione senza limiti, sulla crescita senza limiti, sulla finanza senza limiti. Tutto ciò, come vediamo, ha imboccato una via di implosione. Resistenza oggi significa Resistere a ciò che sta finendo e immaginare qualcosa di nuovo, di altro. Esempio una società di nuove regole e di coraggiosa redistribuzione della ricchezza. Questa è la Resistenza a cui siamo chiamati.

Non pensi che la tua scelta coraggiosa di lasciare un lavoro che può essere definito tradizionale per iniziare una carriera artistica, strada non certo facile, possa essere un esempio?

Non voglio essere da esempio a nessuno, non ho mai creduto agli esempi, piuttosto credo nell’impegno di ognuno. E a ben vedere l’arte non è una scelta vera e propria, non lo si fa quasi mai consapevolmente, in modo lucido e freddo; è piuttosto un richiamo, una strada inconsapevole, quasi una forma di destino. Non si cerca. Avviene.

In veste di lettore, ci consiglieresti qualche libro, motivando la selezione proposta?

Consiglio tre romanzi di epoche diverse, tre Capolavori che oggi più che mai hanno la forza di formare le persone: Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline, per il suo racconto dei conflitti mondiali e dell’essere uomo nell’Europa che andava a fuoco; Ragazzi di vita di Pier Paolo Pasolini, perché è un romanzo rivoluzionario nel linguaggio e nella visione che porta tra le pagine, il primo e più grande a narrare le periferie dell’anima; La possibilità di un’isola di Michel Houellebecq perché è il romanzo della nostra epoca, delle paure e del futuro che probabilmente ci attende, e perché Houellebecq è oggi il più importante scrittore vivente.

Il tuo ultimo romanzo “Metropoli” è uscito all’inizio del 2015, siamo nel 2016, stai già lavorando a una nuova storia? Ci potresti anticipare qualcosa?

Ho finito la prima stesura di quello che si preannuncia come il mio romanzo più impegnato e scandaloso, tornerò a raccontare l’Italia di questi anni, senza usare visioni né distopie, un ritorno al realismo puro dopo diversi anni. Perché l’Italia, in Occidente, è la nazione dove tutto nasce e tutto muore prima. Siamo avanguardia della fine. Racconterò ciò che potremmo diventare da qui a breve.