Il palazzo, lo “Justizpalast” è ancora lì. Non so se la strada si chiami sempre la Fürstenstrasse, ma è comunque nel centro di Norimberga, in Baviera, cuore economico e culturale della Franconia che il massiccio e orrendo palazzo di giustizia della città si impone sulle case dei dintorni con un’aria prepotente e cattiva. Credo che ora sia un museo, ma all’interno, in quella che era allora l’aula “600”, si svolse, dal 20 novembre 1945 al 1° ottobre 1946, il celeberrimo processo di Norimberga contro i criminali di guerra del Terzo Reich.

Perché Norimberga? Perché la città, per anni, era stata il cuore delle grandi manifestazioni naziste e qui, nel 1935, erano state emanate le leggi razziali per la “purezza del sangue germanico”. Proprio per questo, alla fine della guerra, gli alleati decisero che in quella città il mondo dovesse regolare i conti con le infamie hitleriane. Ed è sempre a Norimberga, nel cortile della prigione a fianco del palazzo di giustizia, che vennero eseguite le esecuzioni capitali stabilite dal tribunale internazionale. Fu così che il sergente americano John C. Wood, del Texas, passò il cappio intorno al collo dell’ex ministro degli esteri von Ribbentrop, di Keitel, Kaltenbrunnen, Rosemberg, Frank, Frick, Streicher, Saukel, Jodl, Seyss-Inquarte. Anche il braccio destro di Hitler, Hermann Göring, il drogato, capo dell’aviazione nazista e depredatore delle opere d’arte di tutta Europa, venne condannato all’impiccagione, ma si uccise con una fiala di veleno la notte prima di essere impiccato. Hitler, Goebbels, Himmler e Ley, come è noto, erano sfuggiti alla punizione internazionale, dandosi la morte. Martin Bormann, invece, era sparito. Hess, Funk, Raeder von Scirach e l’architetto Speer furono condannati a venti anni di reclusione. L’ammiraglio Doenitz ebbe dieci anni di reclusione. Tre le assoluzioni. Le sentenze, dopo 218 giorni di dibattimento, vennero lette dal magistrato inglese sir Norman Birkett. Le esecuzioni, invece, vennero eseguite il 16 ottobre.

Gli alleati avevano deciso il grande processo di Norimberga, nel 1942, creando a Londra la Commissione interalleata per i crimini di guerra. Poi, nel 1943, i rappresentanti della Gran Bretagna, degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica avevano dato vita al Tribunale internazionale che avrebbe giudicato i caporioni nazisti. Alla fine dell’immane lavoro di ricerca e di documentazione, i verbali ufficiali del processo, in lingua francese, riempivano 42 enormi volumi, ma gli allegati erano costituiti da centinaia di chilometri di pellicola cinematografica, migliaia e migliaia di fotografie, migliaia di verbali, dichiarazioni, testimonianze giurate, documenti, stenogrammi, messaggi militari, carte provenienti da tutti i ministeri nazisti e dagli uffici di documentazione degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, della Francia, dell’Unione Sovietica, della Jugoslavia e di tutti i Paesi che avevano subito l’occupazione nazista, dalle organizzazioni ebraiche e da quelle dei combattenti della libertà di tutta Europa.

C’è una cosa singolare da sottolineare: la maggior parte delle testimonianze cinematografiche e fotografiche, venivano proprio dagli archivi nazisti perché non c’era organizzazione del potere che non avesse documentato, in qualche modo, la propria “attività”. Comprese le stragi, le sofferenze o gli atroci esperimenti nei campi di sterminio. Persino il perfetto o l’imperfetto funzionamento delle camere a gas o dei forni crematori, era stato annotato, sottoscritto, giudicato e valutato, dai pignoli “amministratori della morte”.

Il grande processo di Norimberga fu seguito con il fiato sospeso da milioni di persone in tutto il mondo, attraverso le cronache in diretta delle radio, attraverso i giornali e i grandi servizi fotografici pubblicati dalle riviste. In aula, le udienze erano seguite, giorno per giorno, da centinaia di giornalisti che scoprirono, con orrore, che le voci, che per anni erano circolate sulle atrocità naziste, erano tutte vere. Anzi c’era di più, molto di più. Nessuno avrebbe mai pensato di vedere nell’aula di Norimberga, paralumi fatti di pelle umana, nessuno avrebbe mai pensato che, nelle camere a gas, erano passati sei milioni di ebrei e che intere città e interi paesi erano stati distrutti, fatti a pezzi per vendetta e incendiati. E nessuno avrebbe mai creduto possibile che qualcuno dai poveri corpi martoriati – i nazisti dei campi di sterminio – avesse recuperato denti d’oro, capelli, scarpe e oggetti di valore, per poi versare il tutto nei forzieri della banca centrale tedesca. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare i tremendi esperimenti sui bambini gemelli, sulle donne, sui prigionieri sovietici immersi nel ghiaccio per controllare, al secondo, quanto tempo passava prima che fossero morti.

Norimberga fu dunque la scoperta totale dell’orrore nazista. C’erano giorni nei quali, i giornalisti e i non addetti ai lavori, dovevano uscire dall’aula perché non riuscivano più a reggere alla documentazione di tanta infamità.

Le testimonianze di alcuni superstiti dei campi di sterminio sono, ancora oggi, terrificanti e andrebbero rilette ovunque. Per esempio quella di Severina Scmaglevskaya, superstite di Auschwitz, che entrò in aula e guardò il banco degli imputati. Poi si mise a raccontare come i bambini venivano strappati alle madri per essere bruciati nei forni dei campi. La donna non reggerà a lungo e ad un certo punto lancerà un grido: “In nome di tutte le donne d’Europa vorrei chiedere ai tedeschi dove sono i nostri figli?”. Göring, dal banco degli imputati, non guarderà mai la donna e si toglierà gli auricolari per non ascoltare. Altri imputati guarderanno il soffitto. Molti, fra il pubblico e i giornalisti si metteranno a piangere senza ritegno.

Un altro giorno, l’avvocato generale sovietico Lev Smirnov legge la deposizione di Sigmund Mazur, preparatore dell’istituto di anatomia di Danzica che racconta del sapone ottenuto con il grasso umano. Smirnov tirerà via un telo bianco che copriva una specie di attrezzo ed ecco apparire, agli occhi di tutti, gli stampi per il sapone ottenuto con il grasso umano. Negli stampi portati in aula, c’erano ancora alcuni pezzi di “sapone”. L’accusatore sovietico mostrerà poi ancora qualcosa: pelle non conciata, pelle umana. Altre pelli fatte vedere in aula, invece, sono già messe in tiro su alcune cornici. Ancora Smirnov mostra, infine, alcune grandi fotografie di strani macchinari: sono i cosiddetti “mulini mobili”, macchine per triturare le ossa umane.

Un altro giorno il fotografo spagnolo Francescon Boix, da poco liberato da Mauthausen, viene chiamato a testimoniare e porta in aula centinaia di fotografie su impiccagioni e torture. Erano state scattate dai guardiani del campo appassionati di fotografia che le avevano consegnate a lui per la stampa.

La testimone Marie Claude Vaillant-Couturier, una antifascista francese, racconta come si uccidevano i bambini nelle camere a gas. Poi aggiunge di aver conosciuto, mentre andavano alla camera a gas, due connazionali, una giovane e una anziana che camminavano abbracciate e che non avevano smesso un attimo, fino alla fine, di cantare la “Marsigliese”.

Il grande e terribile processo andrà avanti così per mesi. E i caporioni nazisti sul banco degli imputati a volte si coprivano la faccia: non volevano vedere niente. Sono cose fatte dalle SS, continuavano a ripetere. Altri giorni si accusavano tra loro. Oppure protestavano con le guardie americane perché erano costretti a spazzare le proprie celle. Tutti si ritenevano non colpevoli: non sapevano, non immaginavano tanto orrore. Insomma erano altri ad avere tutte le colpe.

Dopo una giornata drammatica, tornando in cella, Göring, con un mezzo sorriso, tentò anche di fare dello spirito e disse al medico del carcere: “Certo, noi tedeschi siamo strani. Un tedesco da solo è un uomo bravo e gentile, due insieme sono già una banda. In tre, fanno subito la guerra”.

 Wladimiro Settimelli, giornalista, già direttore di Patria Indipendente

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