Per analizzare ed esplorare nel dettaglio i recenti attentati di Bruxelles nonché le loro conseguenze a livello internazionale, abbiamo intervistato Ludovico Carlino, analista della IHS Jane’s ed esperto di terrorismo internazionale.

Miliziani dell’ISIS in addestramento (da http://www.globalist.it/QFC/NEWS_125402.jpg)
Miliziani dell’ISIS in addestramento (da http://www.globalist.it/QFC/NEWS_125402.jpg)

Possiamo considerare le falle dell’intelligence belga come dimostrazione, o conseguenza, della crisi politica che da anni attraversa il Belgio? Come la dimostrazione effettiva di uno “Stato fallito”?

Definire il Belgio come uno “Stato fallito” è forse eccessivo, eppure non possiamo negare che le disfunzioni strutturali governative con annesse instabilità non hanno favorito un’azione concertata delle istituzioni. Va inoltre riconosciuto come a livello sociale il Belgio risulti frammentato, diviso, poco coeso. Le varie comunità presenti (a partire da quella musulmana) non sono del tutto integrate e spesso vivono in una realtà parallela. Molenbeek ne è forse la migliore rappresentazione: un quartiere i cui abitanti vivono psicologicamente segregati, separati dagli “altri”.

Quegli “altri” che poi sono stati oggetto dell’ultimo attentato.

Sì, certo. I responsabili sono tutti appartenenti a cellule ben addestrate che, solo per citare un dato, hanno utilizzato esplosivi persino più potenti di quelli fatti detonare a Parigi. Cellule legate a “foreign fighters” (in Belgio ce ne sarebbero circa 500) o che comunque hanno ricevuto una qualche forme di addestramento che li ha resi capaci di gestire, ad esempio, un sistema di telecomunicazioni criptato durante la latitanza di Salah Abdeslam. Tuttavia non dobbiamo fare l’errore di pensare che questi piccoli nuclei armati prendano ordini direttamente da al-Baghdadi quanto piuttosto, pur agendo in linea con gli obiettivi generali dell’ISIS, risultano perlopiù autogestite. Lo dimostra il fatto che al momento non abbiamo alcun evidenza in merito alla presenza di un processo di affiliazione formale all’ISIS.

Una delle prime versioni del fucile d’assalto AK47 Kalashnikov (da https://it.wikipedia.org/wiki/AK-47#/media/File:AK-47_type_II_Part_DM-ST-89-01131.jpg)
Una delle prime versioni del fucile d’assalto AK47 Kalashnikov (da https://it.wikipedia.org/wiki/AK-47#/media/File:AK-47_type_II_Part_DM-ST-89-01131.jpg)

Diviene allora ancora più sorprendente capire da dove ricevano le armi o i soldi per portare a termine le loro azioni terroristiche.

La risposta è relativamente semplice. Queste cellule autogestite si finanziano tramite attività illecite (ad esempio lo spaccio di droga) e si rivolgono alla criminalità comune (ad esempio il ben sviluppato mercato nero delle armi in Europa) per acquistare pistole, kalashnikov ed esplosivi. A volte qualche foreign fighters di rientro dalla Siria può portare “in dono” alcune migliaia di euro, ma il grosso dei finanziamenti, ripeto, proviene da attività illegali e dalle connivenze in essere con la criminalità comune.

Un aspetto che complica ancora di più la questione.

Si tratta di cellule piccole che tratteggiano l’esistenza di un fenomeno parcellizzato cui l’intelligence europea non riesce ancora a far fronte.

Il fallimento degli 007 belgi sembra essere clamoroso.

Certamente il loro Paese ha subito un duro colpo, ma la questione va affrontata sotto un altro punto di vista.

Ossia?

In Europa non esiste al momento un database centralizzato che raccolga i nominativi dei terroristi o delle potenziali minacce. Esiste un deficit nella cooperazione fra gli Stati che non permette la rapida identificazione dei sospettati. Le faccio un esempio molto pratico. Non esistendo un accordo sulle modalità di trascrizione dei nomi e cognomi dall’arabo un tale di nome Mustafa può essere registrato sotto le seguenti voci: Mustapha, Mostafa, Mostapha, Mustafà e via discorrendo tante quante sono le interpretazioni delle traslitterazioni dalla lingua araba. Quindi, piuttosto che paventare un’irrealistica quanto a mio parere inutile chiusura delle frontiere, sarebbe meglio che gli Stati si adoperassero per una maggiore collaborazione in tal senso.

Anche i media non sembrano dare particolarmente risalto a questo aspetto preferendo concentrarsi sulla ricerca di immagini e video talvolta, per così dire “indecenti”, per quanto espliciti. Non c’è il rischio di alimentare il terrore e fare quindi il gioco dei terroristi?

Chiaramente. E del resto non è una strategia che ha inventato l’ISIS o che l’ISIS sfrutta per la prima volta. In questo momento, presenti in prima pagina su tutti i media, gli attentati di Bruxelles hanno moltiplicato all’infinito il loro effetto terroristico. Concordo che l’obiettivo andrebbe a volte, se non spostato, quanto meno allargato. Le notizie non mancano.

Un carro armato siriano mentre entra a Palmira (http://nena-news.it/wp-content/uploads/2016/03/Palmira.jpg)
Un carro armato siriano mentre entra a Palmira (http://nena-news.it/wp-content/uploads/2016/03/Palmira.jpg)

Ad esempio?

Non ho letto in nessuna testata italiana i dati relativi alla perdita di terreno che l’ISIS sta subendo in questi ultimi mesi. La liberazione di Palmira è solo l’ultimo di una serie di successi militari ai danni del Califfato. Dal gennaio 2015 al marzo 2016 l’ISIS ha perduto il 22% dei territori sotto il suo controllo con una conseguente riduzione delle proprie capacità di autofinanziamento. E’ certamente un processo lento, graduale, ma sta accadendo e va tenuto sotto controllo. Le dirò di più. In alcune aree l’ISIS è presente solo perché manca un’alternativa politica reale. Se Palmira è caduta, anche Mosul non tarderà a tornare nel lungo periodo nelle mani dell’esercito iracheno.

Ma le sconfitte dell’ISIS nel Vicino Oriente contribuiranno a debellarlo definitivamente o, di contro, porteranno ad una intensificazione delle attività in Europa determinato una variazione negli obiettivi a lungo termine del Califfato?

Si tratta di una domanda alla quale non posso rispondere poiché sussistono troppe variabili in essere. Ad esempio molto dipenderà dal futuro dell’ISIS in Libia, dai rapporti con al-Qaeda (un riavvicinamento fra le parti in seguito ad un indebolimento dell’ISIS non è infatti da escludersi), dalle azioni delle forze militari attualmente sul campo in Siria ed Iraq. Certo l’Europa, in ogni scenario futuribile, rimane nelle mire del Califfato.

Ritiene che ci siano Paesi maggiormente a rischio rispetto ad altri?

La Francia ed il Belgio sono due scenari altamente interconnessi e dunque ad alto rischio. Da una serie di informazioni cui ho accesso posso dirle che certamente uno degli obiettivi preferiti dai terroristi sarebbe il Regno Unito, ma si tratta di un’operazione non semplice ed apparentemente non immediata.

Marco Di Donato, ricercatore Centro Studi UNIMED