Ilaria Moroni

«La strage di Ustica per i ministeri dei Trasporti, della Difesa, della Marina è come non fosse avvenuta. Negli archivi di queste istituzioni non c’è quasi nulla di coevo. In quei vuoti, in quei documenti che ci dovrebbero essere e che pure non ci sono, c’è comunque un pezzo di verità, perché a volte quello che manca dice molto di più di quello che c’è». Il paradosso inquietante lo solleva Ilaria Moroni, direttrice dell’Archivio Flamigni e coordinatrice della “Rete degli archivi per non dimenticare”, con cui Patria Indipendente prova a ragionare sui risultati della cosiddetta Direttiva Renzi che, nell’aprile 2014, ha disposto la declassifica e il versamento, da parte delle amministrazioni pubbliche, all’Archivio Centrale dello Stato di tutti i documenti che riguardano le stragi tra il 1969 e il 1984. Parliamo delle pagine più nere della storia italiana: piazza Fontana a Milano, Gioia Tauro, Peteano, la strage alla questura di Milano del 1973. E poi, ancora, piazza della Loggia a Brescia, l’Italicus, Ustica, l’attentato terroristico alla stazione di Bologna, quello sul Rapido 904. Ebbene, a 4 anni esatti da quella Direttiva molte aspettative sono andate deluse. Al punto che diverse associazioni, presa carta e penna, hanno redatto un documento contenente 10 proposte «per rendere realmente efficace l’attuazione della Direttiva, utili al prossimo Governo per arrivare a garantirne la più ampia e trasparente applicazione, a oggi lacunosa e omissiva».

Dottoressa Moroni, cosa è mancato per la reale applicazione di quella Direttiva, che pure era stata presentata ai media e all’opinione pubblica come un momento essenziale per voltare pagina e aprire gli archivi delle amministrazioni dello Stato? Non è che ci si aspettasse dalle carte una qualche “pistola fumante”, ma una ricostruzione più precisa della storia di questo Paese, sì. Invece?

Invece, mi dispiace dirlo, è mancata in primo luogo una concreta volontà politica. Se si è arrivati alla Direttiva è perché negli anni le associazioni dei familiari hanno agito instancabilmente da pungolo perché la documentazione fosse trovata. Sono nati archivi privati e centri di documentazione che hanno svolto un ruolo fondamentale. Stessa determinazione non c’è stata purtroppo in chi, istituzionalmente, doveva averla. A oggi constatiamo l’oggettiva carenza se non addirittura, come nel caso del ministero dei Trasporti, la totale mancanza di documentazione. Cito non a caso il ministero dei Trasporti, perché nella vicenda delle stragi che hanno insanguinato il Paese quel dicastero è centrale. Basti pensare che molti di quegli attentati sono stati compiuti nelle stazioni ferroviarie e sui treni o hanno coinvolto aeromobili civili, come nel caso di Ustica.

In assenza di controlli stringenti, l’obbligo a consegnare la documentazione di per sé non è garanzia sufficiente che ciò sia fatto. Sono stati previsti questi controlli?

Questo tema è uno dei tanti nei della Direttiva che le associazioni hanno evidenziato da subito. Non si può obbligare un’amministrazione dello Stato a versare della documentazione senza prevedere, al contempo, un controllo puntuale su questa operazione. Se del materiale non era stato versato per tanti anni non si poteva pensare che, di punto in bianco, tutti versassero. E perché non si erano versate prima le carte, come stabilito dalla legge? Non ci sarebbe stato bisogno neanche della Direttiva se la legge fosse stata rispettata. A queste difficoltà va aggiunto che in questi ultimi anni è intervenuto un massiccio processo di privatizzazioni che ha riguardato anche i ministeri, un elemento, questo, che ha ulteriormente complicato il recupero della documentazione.

Lo stemma della Gladio, organizzazione paramilitare clandestina italiana promossa dalla NATO (da https://it.wikipedia.org/wiki /Organizzazione_ Gladio# /media/File:Operazione_Gladio.png

La Direttiva Renzi disponeva il versamento all’Archivio Centrale dello Stato di tutta la documentazione afferente alle stragi. Ma l’aver precisato che bisognava versare il materiale su quelle stragi e solo quelle e non, invece, come sarebbe stato logico, tutto il materiale riguardante il periodo che va dal 1969 al 1984 non ha inficiato, sin dall’inizio, l’efficacia della direttiva medesima?

La prima cosa che è stata fatta è stata quella di versare “per stragi”: cioè sono andati a cercare negli archivi quello che afferiva la singola strage, come se su un faldone di un fatto ci fosse scritto “strage di…”. Solo chi non ha la minima idea di cosa sia un archivio, e come è organizzato e concepito, può pensare questo. Così facendo, si è disarticolato e decontestualizzato quel materiale dal contesto storico. Vede, non esistono le date in cui sono maturate le stragi, esiste un prima, un dopo e un durante. Il fenomeno del terrorismo non è avulso dal resto della storia del Paese, si è intrecciato, in più di un caso, con la criminalità comune e mafiosa e con strutture massoniche coperte quali la loggia P2. Insomma, la ricostruzione storica non dovrebbe prescindere dalla generalità della documentazione relativa a diverse tipologie di reati e all’ordine pubblico in generale per il periodo che interessa. Ecco perché una operazione così complessa come la declassificazione e il versamento andava fatta in stretto rapporto con il ministero dei Beni culturali, che doveva essere l’organo prioritario chiamato a vigilare sul corretto versamento; ministero che, infatti, in una sua circolare aveva detto chiaramente che i versamenti sarebbero dovuti avvenire per serie archivistiche, proprio per salvaguardare il contesto storico in cui quei fatti drammatici si erano verificati. La Direttiva poteva essere una opportunità, si è invece risolta in una vicenda dove hanno prevalso sciatteria e disattenzione politica.

Sembra che alcune vicende siano finite in un cono d’ombra. Non trova singolare che di Gladio e dei rapporti tra pezzi dello Stato e lo stragismo non siparli più?

Sì, ed è il segno che ancora oggi non c’è la capacità di isolare quei germi malati dello Stato. Di Gladio e P2 non si parla. Si parla del caso Moro, è vero, ma con una certa schizofrenia: da una parte, si ragiona come se quella pagina triste fosse alle nostre spalle e non ancora davanti a noi ad interrogarci; dall’altra, intorno all’affaire Moro si alza un tale rumore che poco ha che fare con la ricerca della verità. Quanto lo Stato non ha fatto per salvare Aldo Moro? È ancora una volta l’assenza delle carte a dirci molte cose. Quando la signora Moro si chiede come facevano i terroristi a sapere che suo marito e la sua scorta quella mattina sarebbero passati in via Fani pone una domanda centrale. Ebbene, se si va a chiedere il brogliaccio della Centrale operativa del 16 marzo si scopre che mancano proprio le ore in cui avvenne la strage. Così come sono scomparsi i verbali dei Comitati di crisi del Viminale durante il sequestro.

Avete stimato quanti sono i documenti che potrebbero arrivare all’Archivio Centrale dello Stato in forza della direttiva Renzi?

Si tratta probabilmente di chilometri di documentazione. Il potere più grande di una democrazia sono i documenti e sottrarli alla consultazione dei cittadini rende un paese più fragile. Nessuno può stimare quanta carta, o digitale, produce una amministrazione; posso dire però che quello che è stato consegnato fino ad oggi non è reale. Vedere enti pubblici che hanno consegnato cinque, dieci o venti fascicoli ha dell’incredibile. Su Ustica, come dicevo, non c’è nulla di coevo. La strage è del 1980 e i documenti versati partono dal 1986. Eppure, nell’immediatezza della strage, le amministrazioni devono aver prodotto una quantità ragguardevole di documenti.

Sciatteria od omissione?

Sciatteria senza dubbio. Ma da sola non basta a spiegare certi comportamenti. Sa quante amministrazioni hanno accampato la giustificazione che non trovano le carte, perché i loro archivi versano in pessime condizioni? Il punto è che tenerli in perfette condizioni non è una questione di buona volontà, ma un preciso dovere di legge. E della violazione di legge qualcuno, in un Paese normale, dovrebbe pure essere chiamato a rispondere. Le carte non si muovono da sole. Non è ammissibile che un ministero non sia in grado di ricostruire qual è il funzionario che seguiva un determinato archivio. È evidente allora che la sciatteria sia funzionale a un comportamento omissivo di alcuni apparati pubblici. Ecco perché riteniamo, come associazioni, che i ministeri debbano indicare con precisione i nominativi di chi opera nell’individuazione dei documenti da versare.

Quanto si parla di archivi uno pensa a quelli dei servizi segreti. Hanno versato del nuovo materiale?

L’elenco della documentazione che possiedono i servizi segreti ce l’hanno solo loro. Noi non possiamo sapere quello che hanno davvero nei loro archivi. Dovrà pur esistere un organo delle Stato, magari interno all’amministrazione archivistica, che vigili sui documenti che producono. I servizi segreti hanno versato molto (devo dire che io ho visto anche tanta rassegna stampa!) e ci sarà modo di vedere davvero cosa, quando i documenti all’Archivio Centrale dello Stato saranno disponibili per tutti. Certo è che un rifiuto netto c’è stato in relazione al deposito dei fascicoli personali degli esecutori delle stragi. Nelle 10 proposte delle associazioni chiediamo di procedere al versamento, se non altro in copia cartacea e /o digitale, degli atti che riguardano l’esistenza e l’operatività delle strutture di guerra non ortodossa, atti che possono aiutare i cittadini e gli storici a meglio comprendere cosa è stata la strategia stragista.

Come associazioni al nuovo governo che verrà avete chiesto l’istituzione di un Osservatorio sull’applicazione della Direttiva. Con quali compiti?

Immaginiamo un organismo che abbia effettivi poteri di coordinamento, indirizzo e controllo e ampie possibilità operative che garantiscano la rilevazione, informazione, osservazione-indicazione su tutto il materiale depositato.

Un’ultima domanda. Una volta che dovesse arrivare tutta la documentazione che vi aspettate, dove metterla? Sembrerà banale, ma l’Archivio dello Stato non naviga in buone acque: mancanza di spazi e di risorse per sintetizzare.

Non è affatto banale. Possiamo stare a dibattere quanto vogliamo, ma se poi non ci sono le condizioni materiali affinché questa documentazione possa essere trovata, conservata, tutelata e messa in luoghi che ne rendano possibile la consultazione, è ovvio che il meccanismo della trasparenza non può realizzarsi e che restiamo in qualche modo prigionieri degli arcana impèrii. È vero che a latere della Direttiva Renzi sono stati stanziati più di 600 mila euro per rendere fruibile la documentazione versata, ma se non si investe in nuove sedi di deposito per gli Archivi di Stato e sul personale, credo che tutto resterà immobile.

Giampiero Cazzato, giornalista professionista, ha lavorato a Liberazione e alla Rinascita della Sinistra, ha collaborato anche col Venerdì di Repubblica