olivettim1Fra i grandi nomi che dominano il mondo delle tecnologie della comunicazione e dell’informazione – ICT – non figurano aziende italiane. Eppure era stato proprio un gruppo di ricercatori italiani a creare il primo calcolatore elettronico per uso commerciale mai introdotto sul mercato mondiale, il primo interamente transistorizzato. Un gioiello della tecnica nato nel Laboratorio Elettronico Olivetti di Barbaricina in collaborazione con l’Università di Pisa. L’8 novembre 1959, alla presentazione ufficiale del calcolatore ELEA 9003, Adriano Olivetti aveva sottolineato le potenzialità dalla nuova tecnologia che attraverso “la conoscenza sicura, istantanea e praticamente illimitata dei dati, l’immediata elaborazione degli stessi, la verifica delle più varie e complesse ipotesi” offriva la possibilità “di raggiungere obbiettivi teorici e pratici che” prima “sarebbe stato assurdo proporsi”. Olivetti aveva quindi evidenziato che “con la realizzazione dell’ELEA 9003” l’azienda di Ivrea non solo estendeva “la sua tradizionale produzione a un nuovo settore di vastissime possibilità” ma faceva sì che si inverasse “l’inalienabile, più alto fine che un’industria deve porsi, di operare cioè non soltanto per l’affermazione del proprio nome e del proprio lavoro, ma per il progresso comune – economico, sociale, etico – della collettività”. La conseguenza naturale di tale convincimento comunitario era stata “la decisione” di mettere il calcolatore a “completa disposizione degli istituti universitari” per “servirsene a fini di ricerca sperimentale”. Del gruppo che aveva prodotto quel successo tutto italiano faceva parte Simone Fubini, un giovane ingegnere torinese che nel Laboratorio Elettronico Olivetti era entrato nel 1956, e che oggi, a sessant’anni di distanza, ha dato alle stampe Oltre le occasioni perdute, Egea 2015. Attraverso la narrazione in prima persona, Fubini racconta la storia dell’informatica italiana cercando di spiegarne alcuni dei passaggi più significativi.

foto olivetti x artIngegner Fubini, in Olivetti, lei è passato per ogni grado di responsabilità da progettista fino a direttore generale. Come si spiega la scomparsa di una grande industria come quella di Ivrea?

Per comprendere quanto è successo è necessario analizzare le origini del gruppo Olivetti, leader indiscusso nella produzione e vendita delle macchine per ufficio. Prodotti, questi, che sviluppati con intuizioni e tecnologie geniali, potevano essere venduti con grandi margini di profitto. Una situazione positiva che però aveva generato l’errore dell’inerzia del prodotto di successo a cui ci si vuole ancorare senza prendere atto dei cambiamenti in corso.

Ma aver firmato un accordo con la Compagnie des Machines Bull, nel 1949, e aver aperto, a New Canaan, un laboratorio di monitoraggio sugli sviluppi dell’elettronica negli Stati Uniti, nel 1952, non significa tenere conto dei cambiamenti?

Adriano Olivetti, lo si desume chiaramente dal discorso di presentazione del calcolatore ELEA 9003, aveva una visione dell’informatica tale che già all’epoca prevedeva l’impatto globale che la sua introduzione avrebbe avuto non solo in termini di progresso industriale, ma anche sociale. Purtroppo, con la sua prematura scomparsa nel febbraio del ’60, e con la morte, pochi mesi dopo, di Mario Tchou, l’ingegnere responsabile del Laboratorio Elettronico, nel gruppo Olivetti restava solo il figlio, Roberto, a credere in un progetto che veniva ostacolato dal resto della famiglia.

underwood_1_pubblicita_1900In Olivetti era già nata però la Divisione Elettronica che operava nei laboratori di Pregnana Milanese?

Sì, ma bisogna considerare che il business sviluppato dalla Divisione Elettronica era complementare ed aggiuntivo a quello tradizionale. In quegli anni sull’azienda gravavano le enormi risorse finanziarie che erano state impegnate nella ristrutturazione di Underwood (il colosso americano delle macchine da scrivere acquisito nel 1959, ndr) e Guido Carli, da direttore della Banca d’Italia, aveva imposto una forte restrizione al credito. Quando nel 1964 le azioni crollarono passando a 1.500 lire dalle 4.000 che valevano l’anno precedente, fu chiaro che era necessario il sostegno di un “gruppo di intervento” che garantisse nuovi finanziamenti.  Del “gruppo”, coordinato da Enrico Cuccia, Vittorio Valletta e Bruno Visentini, facevano parte nomi come Mediobanca, Fiat, IMI, Pirelli, Centrale. Olivetti ottenne una linea di credito di 20 miliardi, ma per contro fu decisa la cessione della Divisione Elettronica che passò a General Electric Information System per 8,5 miliardi di lire.

Crede che sulla cessione avesse pesato la posizione del presidente della Fiat, Vittorio Valletta, che aveva dichiarato: La società di Ivrea è strutturalmente solida, sul suo futuro pende però una minaccia, un neo da estirpare: l’essersi inserita nel settore elettronico”. Si trattava di incapacità di vedere lontano o di altri interessi?

Vittorio Valletta ragionava sul corto termine; in effetti Olivetti Elettromeccanica si sostenne bene per almeno altri 5 anni, ma non si preparò in tempo alla rivoluzione elettronica. Certamente l’interesse di Valletta e Fiat era quello di favorire General Electric con cui avevano molti rapporti industriali. Però quell’accordo, malgrado le tante critiche sulle conseguenze per Olivetti e l’Information Technology italiana, era il migliore in quel momento anche per la DEO.

P101 italia pubblicitaPochi mesi dopo la cessione, Olivetti lanciava Programma 101, la calcolatrice usata alla Nasa per la spedizione spaziale che portò gli uomini sulla luna…

Dalla cessione della DEO, Roberto Olivetti era riuscito a tener fuori il piccolo gruppo di Piergiorgio Perotti che nei laboratori di Pregnana Milanese stava progettando la calcolatrice elettronica Programma 101. Purtroppo, fu solo in parte colto il valore di quel prodotto rivoluzionario, ma la scelta di Roberto Olivetti si era rivelata strategica perché il gruppo di Perotti sarà il nucleo che negli anni successivi permetterà a Olivetti di reintrodurre l’elettronica e l’informatica distribuita nei suoi prodotti.

Anche lei era passato a General Electric?

Sì, e da direttore dell’Ufficio Sistemi, insieme ai miei collaboratori, nel 1965, avevamo creato e messo in produzione, a Caluso, vicino ad Ivrea, la linea GE100 che introduceva il concetto di “calcolatori dal software compatibile”, ovvero ogni modello poteva funzionare anche con il software del modello che sostituiva. In seguito a quel successo General Electric incaricò la controllata italiana dello sviluppo degli elaboratori di fascia medio-piccola per l’intero gruppo.

 

E lei ebbe l’incarico di direttore di General Electric Information System Italia?

Nella mia lunga storia lavorativa, questa esperienza è stata importantissima per la mia evoluzione professionale: da progettista a manager capace di gestire grandi strutture prima di progettazione e poi industriali.

Il personal computer M24 (da https://it.wikipedia.org/wiki/Olivetti_M24#/media/File:Olivetti_M24_by_Moehre1992.jpg)
Il personal computer M24 (da https://it.wikipedia.org/wiki/Olivetti_M24#/media/ File:Olivetti_M24_by_Moehre1992.jpg)

È per questo che nel 1982 Carlo De Benedetti la chiamerà alla direzione generale del gruppo Olivetti?

Avevo conosciuto De Benedetti nel 1976. Era stato lui a volermi nel gruppo Fiat come amministratore delegato di Telettra. Poi, nel 1977, Cesare Romiti mi chiese di valutare la situazione di Olivetti che aveva continuato ad espandersi, si direbbe quasi per inerzia. A mio giudizio sarebbe stato necessario che l’azienda sviluppasse un piano di trasformazione globale, quello che, a partire dal 1978, provò a fare De Bendetti. Col ritorno in Olivetti, per me si chiudeva la breve parentesi Fiat che era stata anche l’unica mia esperienza fuori dalle ICT. In pochi mesi, accettando lo standard di mercato IBM, sviluppammo il personal computer M24. Il bilancio del 1983 fu largamente positivo. Col computer M24, Olivetti sarebbe ritornata, ed accadde per un breve periodo, leader mondiale di uno dei prodotti chiave per l’ufficio. Nell’aprile del 1984, quando De Benedetti, in seguito all’accordo col colosso americano della telefonia AT&T, volle ridistribuire le cariche di primo livello, concludevo la mia esperienza che era però valsa a creare il PC M24.

Quali conseguenze ebbe quell’accordo?

L’accordo, che diede importanti risorse finanziarie a Olivetti, fu però disastroso per la totale incompatibilità di obiettivi e cultura tra AT&T e Olivetti. Difatti impedì al gruppo di Ivrea di partecipare con successo alla rivoluzione creata nel mondo dell’informatica dal personal computer. Il vantaggio iniziale del computer M24, che aveva le migliori prestazioni nel mercato mondiale, fu sperperato per ritardi e scelte errate successive all’alleanza con AT&T. Le conseguenze furono il fallimento dell’accordo nel 1988 e la successiva disgregazione del gruppo Olivetti.

L’impressione è che la potenzialità dell’ICT italiana sia sfuggita di mano sia al mondo dell’impresa sia a quello della politica. È forse mancanza di spirito nazionale, o altro?

Credo che la realizzazione di prodotti come ELEA 9003, GEO100, Programma 101, prima, e di M24, poi, avrebbero dovuto dare, al mondo dell’imprenditoria e a quello della politica, un moto d’orgoglio e la spinta ad un impegno concreto in un settore dove il know-how di matrice Olivetti era fra i più avanzati al mondo. Così non fu ed è evidente che il caso ICT non è stato l’unico ad essere sacrificato, ciò per la diffusa cultura anti scientifica e anti industriale del Paese, i cui politici fin dagli anni 60 – si può discutere se correttamente o meno – diedero la precedenza a soddisfare i diritti costituzionali di welfare senza preoccuparsi degli effetti sul debito pubblico e sulla conseguente carenza di risorse per attività di ricerca e sviluppo e sostegno all’innovazione industriale.

Ingegner Fubini, dopo le dimissioni da Olivetti lei si mise, diciamo così, in proprio, creando Projecta, una società che ha lavorato con Nokia, Siemens, Iveco, Vodafone e altri grandi gruppi. Dal 1999 è impegnato in Ubiquity, una startup che si occupa di progetti digitali e di messaging su rete e su web; crede che in Italia, malgrado i ritardi, ci sia ancora modo per recuperare nell’ICT?

Sono convinto che in Italia esista la disponibilità delle tecnologie hardware e software per rimodernare la struttura industriale e della Pubblica Amministrazione, rilanciando la competitività del Paese e liberando anche risorse per iniziative innovative nel campo dell’informatica e delle TLC. Credo che l’insieme delle risorse informatiche, rese disponibili attraverso internet, possano essere la base per sviluppare l’intelligenza creativa necessaria a rilanciare la produttività, ridurre le spese della pubblica amministrazione, migliorare i servizi ai cittadini, la qualità della vita e la sicurezza nelle città, creare un efficiente controllo dell’ambiente e del territorio e favorire lo sviluppo di una vera industria per il turismo ludico e culturale. Nel nostro Paese gli elementi di ottimismo necessari a realizzare tutto questo oggi esistono, si tratta solo di saperli utilizzare.