Umberto Lorenzoni, il partigiano Eros, presidente del Comitato provinciale di Treviso dell’Anpi, è mancato a 92 anni il 18 novembre scorso.

La sua morte ha lasciato certamente un vuoto, ma soprattutto una forte eredità di impegno nelle lotte per la giustizia, l’uguaglianza, l’umanità. Eredità ampiamente condivisa, tanto da riunire al suo commiato molte diverse anime: militanti, associazioni, sindacati, partiti, alla ricerca di un nucleo forte intorno al quale riconoscersi e unirsi.

Il partigiano Eros ha ancora una volta indicato questo nucleo nell’antifascismo; non un antifascismo retorico, di maniera, rivolto al passato, ma radicato nel presente, nella necessità vitale di opporsi alla barbarie crescente del razzismo, della xenofobia, delle molte forme di discriminazione, dei nazionalismi autoritari e soprattutto alla crisi profonda della democrazia in Italia ed in Europa.

La forza di questa eredità derivava – e deriva – dal rapporto con l’esperienza partigiana che Eros non ha mai considerato come un passato chiuso, da usare come legittimazione di un presente senza conflitti.

Certo, i valori della guerra partigiana, il loro concretizzarsi nei principi della Costituzione repubblicana, sono sempre stati al centro delle sue battaglie e dei suoi interventi, perché gli era chiaro che la realizzazione di quella Costituzione era un processo aperto, e sempre a rischio; ma quel che più conta è che Eros trasmetteva nei suoi interventi la forza di quella scelta del ’43, il coraggio (e anche un po’ l’incoscienza, e il senso di avventura) della banda partigiana che non vuole sottrarsi al compito imposto dalle circostanze storiche: scegliere, tra accettare la sopraffazione e la violenza brutale del nazifascismo, dei repubblichini di Salò, e insieme l’oppressione e la miseria delle classi popolari; o invece opporsi, e battersi per un mondo libero e più giusto, con la consapevolezza di poter determinare il futuro proprio e di tutti.

Il 90° compleanno di Berto Lorenzoni

Questo trasmetteva nei molti incontri con i giovani e i ragazzi, nelle scuole del trevigiano ma anche altrove in Italia (lo scorso anno financo in alcune scuole in Germania, ad Essen, dove aveva conosciuto con la consueta curiosità le modalità di integrazione dei giovani migranti).

Aveva aderito subito, dal settembre ’43, a diciassette anni, al movimento antifascista e partecipato alla costituzione dei primi gruppi di combattenti tra Montello e Cansiglio, ricoprendo poi il ruolo di Commissario del battaglione Castelli della brigata Piave, inquadrata nella divisione Nannetti e impegnata nella zona tra Valdobbiadene e il Cansiglio, fino alla liberazione di Conegliano.

Parlava della sua guerra partigiana senza pesantezza retorica, anche con ironia per il gusto dell’avventura del ragazzo diciassettenne di allora, per quel nome di battaglia scelto con la ragazza che sarebbe poi diventata sua moglie. Senza retorica ma con passione, sempre profondamente seria quando parlava dei giovani compagni morti.

Passione e impegno erano continuati nel dopoguerra, prima con la battaglia politica per la Repubblica nel referendum istituzionale del 2 giugno ’46, in cui non aveva potuto votare avendo solo vent’anni, poi con la militanza nel partito socialista, negli anni dell’opposizione al governo Tambroni e poi delle riforme: la scuola dell’obbligo, il sistema sanitario nazionale, la pianificazione economica. Battaglie sempre affrontate senza riserve, anche a costo di delusioni e sconfitte politiche.

La curiosità del mondo, l’apertura ad esperienze nuove le portava in politica ed anche nel suo lavoro: direttore delle vendite prima in alcune aziende grandi e medie del settore tessile e calzaturiero del trevigiano, da ultimo nella riorganizzazione di alcune aziende del gruppo Lanerossi nel Sud.

Un sindacalista intervenuto alla cerimonia di commiato ha ricordato che mai, pur sedendo dall’altra parte del tavolo durante contrattazioni non facili, l’avesse percepito come nemico e alla richiesta di una spiegazione a questa sensazione d’intesa si era visto mostrare con un sorriso la mano mutilata in un’azione di sabotaggio nel ’44.

Certo limiti, contraddizioni, sconfitte non sono mancate nella sua lunga e complessa esperienza di vita; aveva però mantenuto la vivacità nel confronto, il gusto della discussione che portava soprattutto nel rapporto con i giovani, ai quali si impegnava a trasmettere memoria ma soprattutto voglia di partecipare, di conoscere, di indignarsi di fronte alle ingiustizie, all’imbarbarimento della società in cui vivono, alla mancanza di prospettive di futuro e di speranza.

Il suo impegno nell’Anpi, costante ed articolato anche nella partecipazione e nel contributo ad iniziative, manifestazioni, convegni, organismi regionali e nazionali, si era concentrato da parecchi anni sul tema della difesa della Costituzione e sulla battaglia per la sua piena attuazione, collegata inevitabilmente anche al contrastare proposte di riforma elettorale che potevano stravolgere i principi costituzionali della rappresentanza democratica.

Berto col Presidente Emerito dell’Anpi Carlo Smuraglia (foto Roberto Solari)

Sentiva la Costituzione come il nucleo più solido, la conquista più duratura della guerra di Liberazione nelle alterne vicende politiche che portavano sempre più il Paese lontano dalla realizzazione di una effettiva democrazia progressiva, sostenuta dalla partecipazione consapevole dei cittadini, messa ora in discussione dalla personalizzazione, dalla spettacolarizzazione della politica, dall’aggressività potenzialmente antidemocratica dei nuovi populismi.

Ripartire dalla Costituzione, rimettere in moto quella “rivoluzione promessa” di cui aveva parlato Calamandrei, non poteva che passare da un impegno incondizionato nella battaglia contro una riforma costituzionale ambigua, che apriva la strada a forme autoritarie di governo in nome della governabilità, respingendo ai margini la prospettiva del graduale, pacifico e democratico rinnovamento sociale.

In questo impegno lo ha guidato l’idea che la crisi della politica nasce proprio dal suo allontanarsi dal dettato così chiaramente delineato dalla seconda parte dell’articolo 3: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Tanto più quando la politica non riesce a contrastare la prevaricazione del potere economico resa più drammatica dallo stato di crisi, a scapito della tutela dei diritti. E per quei diritti i partigiani si erano battuti.

La battaglia per il NO al referendum del dicembre 2016 lo ha visto impegnato senza risparmio di energie, di entusiasmo e di fatica.

La sua difesa appassionata della Costituzione è sempre partita da quello che ne costituisce il fondamento: il lavoro e la sua dignità, su cui si regge il principio dell’uguaglianza.

All’inumazione delle sue ceneri, una delegazione di rappresentanti degli operai della Electrolux, deponendo un mazzo di fiori rossi, ha ricordato come lo avessero sempre avuto al loro fianco nella difesa del loro diritto al lavoro e alla salute; come nelle fasi critiche delle lotte degli ultimi anni, rese più difficili dagli effetti della crisi economica, avessero sempre avuto la sua solidarietà e la sua presenza con l’invito a non arrendersi, a non mollare.

Ancora una volta la sua scelta fu di battersi in prima persona per una causa giusta, per la conquista e il rispetto della dignità e dei diritti; ancora con l’entusiasmo e la forza dei giovani combattenti partigiani.

Antonella Lorenzoni, figlia del partigiano “Eros”