Suor Giuseppina De Muru

A seguito dei Patti Lateranensi del 1923 e al giudizio di Papa Pio XI su Benito Mussolini, definito “l’uomo della Provvidenza”, la maggioranza del clero italiano aderiva con slancio e convinzione al regime fascista. Naturalmente non tutti gli appartenenti alle alte gerarchie ecclesiastiche fecero proprie le rocciose considerazioni sostenute vigorosamente dal Pontefice e così anche tanti parroci, sacerdoti e suore furono avversi alla dittatura imperante. Tra questi spicca la figura straordinaria della sarda suor Giuseppina De Muru, al secolo Rosina, (Lanusei 1903, Torino 1965). Appartenente alla congregazione “Figlie della Carità” e responsabile della sezione femminile del carcere giudiziario “Le Nuove” di Torino, suor Giuseppina si distinse nella meritoria assistenza ai detenuti e ai condannati a morte sottoposti a ferree e disumane condizioni. “Esistono numerose testimonianze – ricorda Tonino Loddo, biografo della Superiora – da parte di partigiane e delle donne ebree racchiuse alle Nuove, tutte concordi nel rilevare come la sua condotta abbia salvato dai campi di concentramento e dalla morte decine di ebrei con tecniche geniali, la cui messa in atto se scoperta, avrebbe messo seriamente a rischio la sua propria esistenza”.

Tra questi “sistemi geniali” ricordiamo la sostituzione di referti e lastre mediche, che permisero il trasferimento in ospedale di numerosi detenuti politici oppure “l’evasione” di un neonato ebreo avvolgendolo tra le lenzuola sporche.

E molti furono molti gli appellativi di suor Giuseppina, definita “cuore d’oro” e “coraggio da leone” per il suo straordinario attivismo nel contrastare quell’ambiente carcerario gestito dai fascisti con il supporto delle famigerate SS. La vita in quel penitenziario era improntata a condizioni igieniche e alimentari drammatiche. Per le tante donne che affluivano alle Nuove, la presenza di suor Giuseppina rappresentava uno spiraglio di luce, fatto di parole ed eloquenti gesti di solidarietà, come attestano tantissimi episodi ampiamente documentati.

Il carcere “Le Nuove di Torino” (da http://www.istoreto.it/torino38-45/carceri.htm)

I detenuti delle Nuove provenivano “dai rastrellamenti, dalle perquisizioni domiciliari sotto l’imputazione di antifascismo, di connivenza con le bande armate, di razzismo; sono in maggioranza giovani, coi segni delle patite violenze sui volti pallidi, negli sguardi smarriti”. (Elleo, “L’ombra della forca tedesca non fece tremare suor Giuseppina”, in L’Unione Sarda, 1 Aprile 1951).

Il 26 aprile 1945 anche Torino insorgeva contro i nazifascisti. La religiosa “nel mezzo della feroce battaglia (…), incurante del terribile fuoco incrociato tra partigiani, Brigate Nere e SS, andò personalmente, seduta sul cofano di una macchina e sventolando la bandiera della Croce Rossa, dal capo della Provincia per convincerlo a dare l’ordine di liberare tutti i (500, ndr) detenuti politici rinchiusi nel carcere, prima che la situazione precipitasse e i nazisti potessero commettere una terribile rappresaglia. Ottenuto l’ordine, tornò indietro in mezzo alla battaglia, per consegnare l’ordine di liberazione dei partigiani, salutata da unanime delirio di gioia”. (Stefano Ambu, “Suor Giuseppina, angelo tra le sbarre”, Ansa Sardegna, 7 marzo 2018).

Nel dopoguerra, continuò l’impegno alle Nuove, improntato al recupero e alla promozione sociale delle detenute attraverso una serie di servizi, come un reparto nido, corsi di formazione professionale e corsi di educazione musicale. Nel 1965, colpita da ictus, suor Giuseppina veniva trasferita a Pallanza, sul Lago Maggiore, ma in seguito all’aggravarsi delle condizioni di salute, rientrava a Torino, ospite delle Nuove, dove moriva il 22 ottobre.

Tante le attestazioni ricevute dalla Superiora sarda: nel 1955 era stata insignita della Medaglia d’oro al merito della redenzione sociale e nel 1962 della Mimosa d’oro conferita dall’Unione Donne Italiane (Udi); anche la scuola d’infanzia di Torino di via Lessona veniva intitolata alla generosa e solidale suora della Sardegna, riconosciuta anche “Giusta tra le nazioni” dal Centro ebraico di Gerusalemme.

Maurizio Orrù, dirigente Anppia nazionale