Sara Di Pietrantonio (da http://www.nextquotidiano.it/wp-content/uploads/2016/05/sara-di-pietrantonio-via-della-magliana.jpg)
Sara Di Pietrantonio (da http://www.nextquotidiano.it/wp-content/uploads/2016/05/sara-di-pietrantonio-via-della-magliana.jpg)

L’omicidio di Sara Di Pietrantonio – la studentessa strangolata e data alle fiamme dall’ex ragazzo a Roma lo scorso 29 maggio senza che nessuno dei passanti intervenisse per soccorrerla – ci ha di nuovo scossi dal torpore. Poi, a distanza di poche ore, l’omicidio-suicidio di Pordenone e quello di Taranto. Il femminicidio e la violenza contro le donne sono ancora comportamenti talmente radicati nella società che ogni volta, attraverso avvocati difensori, commentatori ed esperti vari, ci ritroviamo ad ascoltare storie di “gelosie” e attenuanti in difesa dell’omicida/torturatore/stupratore di turno come fossimo ancora nell’Italia degli anni 50. Eppure, per citare un caso simbolo, è passato quasi mezzo secolo dalla storia di Franca Viola, una ragazza di Alcamo, un paese della provincia di Trapani, che nel 1967 rifiutò di sposare l’uomo che l’aveva rapita assieme ad altri, e poi violentata.

Un gesto forte che diede speranza a tante donne prigioniere della mentalità diffusa del “subisci e stai zitta”. Franca disse di no al cosiddetto matrimonio riparatore. Quel gesto cambiò il codice penale e la storia delle donne.

E se anche Sara avesse trovato il coraggio di confidare le sue paure, di parlare con operatrici specializzate? Manca un intervento serio e capillare di formazione nelle scuole su stalking, violenza di genere, ruolo nella società delle donne.

I Centri antiviolenza svolgono quindi un servizio essenziale, prezioso eppure ogni giorno devono confrontarsi con la scarsità di risorse e con il rischio chiusura. A Roma, ad esempio, il prossimo 30 luglio il Centro antiviolenza “Donatella Colasanti e Rosaria Lopez”, intitolato alle due vittime del massacro del Circeo, rischia lo sgombero a causa di un contenzioso tra Comune di Roma e Regione Lazio. A quanto pare l’edificio non è di competenza comunale ma della Regione Lazio, il cui ufficio patrimoniale sta reclamando la riscossione di notevoli cifre per circa 20 anni di usufrutto dei locali.

Il Comune sembra non avere la disponibilità per saldare la cifra e per questo si va verso la chiusura di un servizio pubblico, alla scadenza del bando del Centro antiviolenza (il 30 luglio prossimo). La Regione Lazio fa sapere “di non aver chiesto la riconsegna dei locali” e di essere “disponibile all’apertura di un tavolo con i soggetti coinvolti per mantenere aperto il centro”. La soluzione però è nelle mani del futuro sindaco di Roma: appena insediato dovrebbe prendere in mano la questione rinnovando o prorogando il bando per evitare l’interruzione del servizio e tutelare le donne.

La struttura opera dal 1997 a sostegno delle donne ed è un punto di riferimento della Capitale. Dal centro, gestito dalla cooperativa BeFree, negli anni sono passate quasi 10mila donne vittime di abusi, violenza e maltrattamenti provenienti da tutti i municipi di Roma oltre che da altre città e regioni d’Italia.

La lapide all’ingresso del Centro antiviolenza “Donatella Colasanti e Rosaria Lopez” (da https://frammentivocalimo.blogspot.it/2016/06/roma-no-alla-chiusura-del-centro.html)
La lapide all’ingresso del Centro antiviolenza “Donatella Colasanti e Rosaria Lopez” (da https://frammentivocalimo.blogspot.it/2016/06/roma-no-alla-chiusura-del-centro.html)

Il Centro ha inoltre ospitato più di 300 donne, con figli minori, che hanno avuto una reale opportunità di ricostruire la propria esistenza, fortemente messa a repentaglio dalle violenze subite, e di progettare un futuro libero, indipendente e sereno, come si legge dalla petizione online lanciata sulla piattaforma Change.org dall’associazione A buon diritto.

«Si tratta di una vicenda di una gravità inaudita, inaccettabile, indegna di un paese civile – dichiara Titti Carrano, presidente dell’Associazione D.i.Re (Donne in rete contro la violenza, 75 centri in tutta la Penisola ndr) – che fa pensare che tante dichiarazioni di cordoglio e esecrazione per il feroce femminicidio della giovane Sara, non siano altro che vuote parole se non colpevoli bugie».

Anche se le donne italiane oggi sono più emancipate di qualche decennio fa, la violenza fisica, verbale, psicologica, economica che subiscono ogni giorno non accenna a diminuire. In molti casi sfocia nel delitto, appunto il femminicidio. Non esistono persone né luoghi sicuri. Anzi l’ambito familiare è proprio quello che le espone di più.

Secondo l’indagine ISTAT Come cambia la vita delle donne 2004-2014: «Il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza, il 20,2 % ha subito violenza fisica, il 21% violenza sessuale, il 5,4% le forme più gravi della violenza sessuale come gli stupri e i tentati stupri. Le vittime di violenza fisica subiscono soprattutto minacce (60,7%), spinte, strattonamenti e tirate di capelli (57%); una quota elevata è stata presa a schiaffi, a calci, pugni o è stata morsa (36,1%) o colpita con oggetti (30,1%) – continua il rapporto -. Appaiono, invece, meno diffuse alcune forme più gravi, comunque presenti, come il tentativo di strangolamento, di soffocamento o di ustione (7,5%) e l’uso o la minaccia di usare una pistola o il coltello (8,5%). Tra le violenze sessuali, invece, sono le molestie a rappresentare la forma decisamente più frequente (per il 74,5% delle vittime di violenze sessuali), seguite dai rapporti sessuali non desiderati, ma subiti per paura della reazione dell’uomo (22,6%), dai tentati stupri e gli stupri (rispettivamente 14,4% e 16,5%) e dai rapporti sessuali vissuti dalla donna come degradanti ed umilianti (7,2%). La costrizione ad attività sessuali con altre persone anche in cambio di denaro, beni o favori e altre forme di violenza sessuale, diverse da quelle menzionate, riguardano, infine, quote residuali di queste vittime».

Ma cos’è che stupisce? Cos’è che non sapevamo? Praticamente nulla. Le femministe denunciano questa situazione da sempre, le volontarie delle reti antiviolenza ascoltano queste storie che poi si traducono in statistiche e dati ogni giorno.

E gli autori delle violenze? Le forme più gravi sono sempre predominio di partner, parenti e amici. La violenza colpisce tutte, è trasversale. Secondo il report ISTAT emerge un maggior numero di vittime tra donne separate o divorziate e le donne nubili, tra le più giovani, le più istruite (con laurea o diploma), le donne che lavorano in posizioni professionali più elevate o che sono in cerca di occupazione.

Si fa presto a dire alle donne di denunciare. Se le strutture e le risorse mancano sarà sempre difficile però recidere il legame vittima-carnefice.

Antonella De Biasi, giornalista professionista freelance. Ha lavorato al settimanale La Rinascita della sinistra scrivendo di politica estera e società. Collabora con Linkiesta.it e si occupa di formazione giornalistica per ragazzi