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La vicenda dello sgombero di via Curtatone a Roma del 19 agosto scorso ha generato ancora una volta commenti razzisti e xenofobi soprattutto sul web.

Le foto delle famiglie di rifugiati per la maggior parte provenienti dai paesi del Corno d’Africa – sgomberati all’alba con idranti e manganelli dalla polizia per liberare l’immobile occupato che affaccia su piazza Indipendenza nei pressi della stazione Termini – hanno fatto il giro del mondo. Eppure molti degli agguerriti commentatori, nel pronunciare o digitare insulti irripetibili, ignorano che tante di quelle persone titolari per la maggior parte dello status di rifugiato o con un’altra forma di protezione umanitaria sono legati a filo doppio all’Italia.

I disperati che scappano da Eritrea, Etiopia e Somalia – e che approdano qui e si ritrovano spesso in condizioni di marginalità dopo che non hanno trovato migliore sistemazione – sono figli dell’esperienza coloniale italiana, di quando i fascisti italiani andarono in terra d’Africa. Questi legami con gli italiani non sono solo metaforici, a volte sono anche di sangue.

Gli eritrei sono tra i gruppi più numerosi che ogni anno attraversano il Mar Mediterraneo per salvarsi la vita. I morti del naufragio di Lampedusa del 2013 furono quasi tutti eritrei.

Eritrea. Da http://www.cittacapitali.it/africa/ eritrea/eritrea.jpg

È in corso infatti da tempo una fuga di massa dall’Eritrea, ex colonia italiana, un Paese diventato prigione a cielo aperto governata dal 1993 – dopo una guerra trentennale con l’Etiopia – dal dittatore e leader dell’indipendenza Isaias Aferwerki. Gli eritrei fuggono per sottrarsi al servizio militare a tempo indeterminato: «Sebbene la legge fissasse a 18 anni l’età minima per l’arruolamento, nella pratica i minori hanno continuato a essere obbligati all’addestramento militare, secondo la regola che tutti gli alunni dovevano seguire il grado 12 della scuola secondaria presso il campo militare di Sawa – spiega il rapporto annuale 2016/17 di Amnesty International –. Lì, i minori vivevano in condizioni deplorevoli, erano soggetti a regole disciplinari di stampo militare e addestrati all’uso delle armi. Su 14.000 persone che avevano ottenuto la licenza di diploma presso il campo a luglio, il 48% erano donne, che erano state soggette a varie forme di trattamento particolarmente duro, come riduzione in schiavitù sessuale, tortura e altri abusi sessuali».

Gli eritrei scappano anche a causa delle restrizioni alla libertà di religione e di espressione; ci sono molte uccisioni illegali da parte delle forze di sicurezza e la detenzione arbitraria senza accusa né processo è rimasta la norma per migliaia di prigionieri di coscienza «compresi ex esponenti politici, giornalisti e seguaci di culti religiosi non autorizzati», come si legge ancora nel rapporto Amnesty. Se a casa tua c’è l’inferno tu provi a scappare con qualsiasi mezzo e, siccome nel Paese non c’è libertà di movimento per i cittadini d’età compresa tra i cinque e i 50 anni, molti eritrei provano a varcare i confini via terra per prendere un aereo dai Paesi limitrofi.

Purtroppo questi migranti forzati che avrebbero diritto allo status di rifugiato incontrano nel loro viaggio via terra i militari: spesso vengono posti in detenzione senza accuse fino a quando non riescono a pagare esorbitanti ammende. Invece quei fortunati che riescono a passare il confine devono affrontare i trafficanti di altri Paesi – e quindi anche rischiare abusi sessuali, rapimento, detenzione arbitraria e violenze – in Etiopia, Sudan, Libia fino a sperare di approdare in Europa per avere forse un po’ di pace.

Somalia. http://www.cittacapitali.it/africa/ somalia/somalia.jpg

C’erano anche alcuni somali in piazza Indipendenza a Roma dopo lo sgombero: sono fuggiti da un Paese instabile, non sicuro, in cui i bambini rischiano di essere arruolati e in cui, sempre secondo l’ultimo rapporto Amnesty, ci sono 4,7 milioni di persone che hanno bisogno di aiuti umanitari. In Somalia è in atto un conflitto armato tra le forze del governo federale, le truppe di peacekeeping della missione dell’Unione africana in Somalia (Amisom) e il gruppo al-Shabaab, cioè un gruppo terrorista considerato la cellula somala di al-Qaida.

La guerra e il dilagare della violenza hanno causato la morte, il ferimento o lo sfollamento interno di almeno 50mila civili. «Tutte le parti in conflitto si sono rese responsabili di violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario, che in alcuni casi si sono configurate come crimini di guerra – si legge nel report –. Queste violazioni sono rimaste del tutto impunite. I gruppi armati hanno continuato ad arruolare con la forza minori nelle loro file e a rapire, torturare e uccidere illegalmente civili. Gli episodi di stupro e altre forme di violenza sessuale sono stati diffusi». A giugno, l’Unicef ha dichiarato che in Somalia c’erano almeno 5mila bambini soldato, reclutati prevalentemente nelle file di al-Shabaab e delle milizie dei clan.

In Somalia c’è la pena di morte, non c’è libertà di espressione e avvengono sgomberi forzati di sfollati interni e di persone indigenti, soprattutto a Mogadiscio.

Etiopia. http://www.cittacapitali.it/africa/etiopia/etiopia.jpg

Ad agosto a Roma, accampati in piazza Indipendenza dopo lo sgombero, c’erano anche famiglie di etiopi. In Etiopia ci sono da più di un anno proteste legate a rivendicazioni politiche, sociale e culturali. Il giro di vite contro l’opposizione politica ha implicato arresti di massa, tortura e altri maltrattamenti, processi iniqui e violazioni dei diritti alla libertà d’espressione e d’associazione, riporta Amnesty International. Inoltre lo stato d’emergenza ha permesso ulteriori violazioni dei diritti umani. Almeno 11mila persone sono state arrestate e detenute ai sensi dello stato d’emergenza, senza accesso a un avvocato, alla famiglia o a un giudice. Tra le persone sottoposte ad arresto arbitrario c’erano anche leader dell’opposizione, giornalisti, attivisti, blogger. Per non parlare dei rapimenti di centinaia di minori nello stato regionale di Gambella da parte dei membri del gruppo etnico murle, originari del Sud Sudan, oppure degli sgomberi forzati degli indigenti, delle esecuzioni extragiudiziali, dell’impunità, dei processi iniqui, dell’esproprio della terra ai contadini oromo. Tutti validi motivi per fuggire e cercare di salvarsi la vita.

Insomma il triangolo Eritrea, Somalia ed Etiopia è un luogo di instabilità, conflitti e crisi non solo per il continente africano ma anche per l’Europa. L’Italia, nell’ottica di una politica estera di rilancio del suo ruolo nel Mediterraneo, dovrebbe riconoscere alle persone vittime di persecuzione e provenienti dalle sue ex colonie una dignità e un riparo sicuro. Il passato coloniale, i crimini e gli orrori compiuti dal nostro Paese in terra d’Africa non si cancellano, ma queste persone dovrebbero essere le benvenute. Mentre scriviamo, i rifugiati “spostati” dal palazzo di via Curtatone, poi da piazza Indipendenza, poi dal presidio di piazza Venezia, non si sa che fine faranno. Si tratta di famiglie, con donne incinte e bambini. Qualcuno le chiama “fragilità”; meglio dire esseri umani.

Antonella De Biasi, giornalista professionista freelance. Ha lavorato al settimanale La Rinascita della sinistra scrivendo di politica estera e società. Collabora con Linkiesta.it e si occupa di formazione giornalistica per ragazzi