Delfina Betti, operaia e staffetta partigiana (da http://www.isrlaspezia.it/wp-content/gallery/gdd/delfina-betti.jpg)

Mi è stato dato l’incarico di testimoniare ciò che in quei momenti di lotta ho vissuto insieme alle mie colleghe.

Perché siamo giunte allo sciopero del 1° marzo 1944? Intanto perché il fascismo ci aveva portato ad una guerra ingiusta e sconsiderata, senza contare che da oltre 20 anni il Paese subiva il peso della dittatura con la repressione di ogni libertà. E proprio per difendere la libertà, da tempo, gli antifascisti operavano in clandestinità nei piccoli centri, nei quartieri, nelle città. Naturalmente, con l’avvento della guerra, anche nella fabbrica si sentiva che qualche cosa andava cambiando. Parlo della Jutificio Montecatini.

Noi operaie eravamo giovani, inesperte politicamente; comunque la situazione di sfruttamento ci portava già allora ad affrontare azioni di lotta contro l’aumento del macchinario, contro i bassi salari, in generale per una profonda modifica della condizione dei lavoratori.

In quel clima le nostre coscienze andavano via via maturando, grazie soprattutto alla tenacia, volontà e capacità di quei modesti lavoratori che ci indirizzavano alla lotta attraverso letture di opuscoli e volantini che ci facevano pervenire. Venne il 25 luglio, la caduta del fascismo. Ricordiamo quale fermento c’era nella fabbrica quel giorno; ci trovavamo di fronte elementi fanatici e sciocchi che si esprimevano con il più velenoso linguaggio che il fascismo aveva insegnato, osando fare affermazioni poco raccomandabili in quel momento.

A questo punto voglio ricordare un episodio particolare, anche se ve ne sono altri che per brevità di tempo tralascio. Ci fu una donna fascista che disse testualmente queste parole: «Preferirei vedere Mussolini tornare al potere anziché mio figlio al mondo». Aveva perduto un figlio in tenera età. A quell’affermazione naturalmente ci fu una reazione decisa e spontanea da parte di tutte e nel giro di mezz’ora le macchine furono ferme in segno di protesta. Fu chiesta l’espulsione dalla fabbrica di tale elemento, dicendo chiaramente: «fuori lei o fuori noi». Dovettero allontanarla dalla fabbrica Questo conferma che la cospirazione qualcosa aveva dato anche a noi, poco preparate alla politica.

Una macchina cordatrice dello jutificio Montecatini (da http://www.lombardiabeniculturali.it/img_db/bcf/3h110/1/l/147_3h110_0000147.jpg)

Fu allora che quei lavoratori che portavano avanti il lavoro clandestino nella fabbrica ebbero modo di creare attorno a sé un gruppo di operaie più pronte e decise per meglio organizzare l’attività di propaganda all’interno della fabbrica, per far circolare la stampa al fine di dare maggiore capacità agli operai, per difendersi da ogni forma di coercizione, che in quel momento era ancora più pesante, poiché la caduta del fascismo aveva fatto perdere la testa ai gerarchetti che erano nella fabbrica. Vi basti sapere che i capireparto giravano in fabbrica armati di pistola. Pareva che non fosse loro rimasto altro che esercitare la funzione di carcerieri.

Venne l’8 settembre; non v’è dubbio che anche questo fu un avvenimento che molto influì a rafforzare il nostro spirito di lotta. Infatti l’attività divenne più intensa, più decisa pur sapendo quale fosse il pericolo per ognuno di noi, se ci avessero trovato un volantino o altro materiale di propaganda. Vi erano spie da ogni parte e anche loro erano dei clandestini, in un certo senso. Malgrado ciò eravamo organizzate e vigilanti, cosicché il nostro lavoro andava avanti. Tutti i mezzi erano buoni, quando ognuno di noi doveva escogitare la forma per collocare i volantini nelle cinghie di trasmissione, nei sacchi del filato, ovunque fosse possibile. II rischio più grosso lo correvamo quando c’erano da mettere i volantini nelle cinghie, perché ciò avveniva sotto gli occhi delle spie che poi erano i guardiani della fabbrica stessa. Quando la mattina veniva data la corrente, sembrava un volo di farfalle: tutto quel materiale di propaganda saltava in aria, ed era meglio, per gli operi, di una buona colazione.

I risultati si videro quando venne lo sciopero del marzo 1944.

Lo sciopero fu compatto fin dal primo giorno; ognuno ne aveva piena consapevolezza. Evidentemente la compattezza e la durata della sciopero avevano messo i dirigenti di fronte a un fatto più grosso di loro; l’ultimo giorno i fascisti della fabbrica non seppero fare di meglio che far intervenire la X Mas. Quest’ultimi entrarono nei reparti, direttore in testa; tentarono di obbligare le operaie a mandare le macchine credendo di spaventarci. Nessuna cedette; per nulla intimorite tenemmo duro; le macchine le mandammo sì, ma solo quando lo sciopero terminò.

Non abbiamo vacillato nella lotta neppure quando, rientrate in fabbrica, il giorno dopo lo sciopero, mancavano all’appello 9 operaie. Le avevano arrestate per rappresaglia; erano in maggior numero parte di quel gruppo che più attivamente aveva dato il maggior contributo alla riuscita dello sciopero e di tutte le altre azioni. Le operaie erano: Elvira Fidolfi, arrestata, deportata in Germania, caduta nei campi di concentramento, e la sorella Dora Fidolfi, deportata in Germania e, per fortuna, ritornata. Inoltre sono rimaste in carcere per 12 giorni le altre 7 che sono rispettivamente: Giorgia Ducati, Rita Piccinini, Nella Musetti, Maria Gianardi, Norma Bartolomei, Giovanna Viaria, Giuseppina Russo Perpigli.

Questo episodio ha fatto sì che le operaie rimaste in fabbrica meglio comprendessero quale fosse il fine degli sgherri fascisti, per il fatto stesso che avessero arrestato nove operaie per colpirne solo due. Tutto ciò non solo non valse a rallentare l’unità e la forza delle lavoratrici dello Jutificio, ma anzi aumentò le capacità di lotta per cui l’attività clandestina fu portata avanti dalla totalità dei lavoratori, uomini e donne.

Uniti tenemmo testa a quei fascistelli rimasti in fabbrica; dico fascistelli poiché i caporioni, come il direttore, del resto, se l’erano filata con le loro colpe e le loro responsabilità.

Dallo sciopero di marzo in poi, all’interno della fabbrica e fuori, più massicce sono state le nostre azioni entrando nel vivo della resistenza al nazifascismo. Abbiamo dato ognuno il meglio di noi fino ai giorni dell’insurrezione popolare.

Da Patria indipendente n. 4-5 del 13 marzo 1994