Da http://www.limesonline.com/wp-content/uploads/2013/07/il_puzzle_etnico_820_613.jpg
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È la più grande popolazione al mondo senza uno Stato, 40 milioni di persone divise tra Iran, Iraq, Siria, Turchia e Armenia. Il gruppo più numeroso si trova in Turchia dove costituisce circa un quarto della popolazione. Sono invece oltre un milione e mezzo i curdi della diaspora che vivono in Europa e in Nord America.

Nella vasta regione che va dalle pianure della Mesopotamia agli altopiani dell’Anatolia, dalle sorgenti del Tigri e dell’Eufrate alla vetta del monte Ararat si trova il Kurdistan, la terra dei curdi. Un territorio che di fatto non ha legittimità, non è riconosciuto da nessun organismo internazionale. Una regione dimenticata che è tornata di stretta attualità con la guerra in Siria.

Solo il Kurdistan iracheno, che è una regione federale dell’Iraq, ha una certa autonomia, dopo la fine del regime di Saddam Hussein nel 2003. Il Kurdistan siriano invece (conosciuto come Rojava) con l’inizio della guerra civile siriana ha acquisito de facto autonomia politica, anche se non è ufficialmente riconosciuta come regione autonoma all’interno della Siria.

Del regno del Kurdistan scrive Marco Polo nel suo viaggio verso oriente. Questa terra è stata oggetto di scorribande e rapine fin dal Medioevo, contesa per le sue bellezze naturali dai persiani e dagli ottomani, sacrificata con accordi e trattati nel Novecento e quindi smembrata per controllare i ricchi giacimenti petroliferi. Inoltre nel cuore del Kurdistan si trovano le sorgenti dei principali fiumi del Medio Oriente. Per non parlare del carbone, del rame, del ferro, dei gas naturali e altri minerali. La regione del Kurdistan è grande 550mila chilometri quadrati.

Le origini indoeuropee

Un bassorilievo di Ninive al British Museum (da https://it.wikipedia.org/wiki/Ninive#/media/File:Britishmuseumassyrianlionhuntreliefdyinglion.jpg)
Un bassorilievo di Ninive al British Museum (da https://it.wikipedia.org/wiki/Ninive#/media/ File:Britishmuseumassyrianlionhuntreliefdyinglion.jpg)

Il popolo curdo è di origine indoeuropea, la sua storia inizia nel 612 a.C. con la distruzione di Ninive da parte dei Medi. Gli studi etno-antropologici e linguistici condotti sino ad oggi ci dicono che è un popolo frutto della fusione tra le popolazioni autoctone del Kurdistan e di diverse tribù indoeuropee che in ondate successive si spinsero fino ai territori dell’Alta Mesopotamia e provenienti dalle steppe attorno al Mar Caspio e dagli altopiani afghano e iranico.

La storia antica e moderna dei curdi è un susseguirsi di guerre e di conquiste: hanno combattuto contro gli eserciti assiri, sono stati dominati dai persiani per due secoli, sono stati in guerra con i greci, arrivati nella regione con Alessandro il macedone. Il Kurdistan è rimasto sotto il dominio dei romani dal I secolo d.C. fino alla conquista dell’Islam nel 637; poi è stato invaso dai mongoli e dai tartari, dai persiani safawidi e dagli ottomani che sono rimasti fino alla prima guerra mondiale.

Mustafa Kemal Atatürk (da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a1/Atat%C3%BCrk.jpg)
Mustafa Kemal Atatürk (da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/ commons/a/a1/Atat%C3%BCrk.jpg)

Da allora purtroppo tradimenti, mancati riconoscimenti, calcoli politici hanno portato alla situazione di oggi, quella di un popolo senza Stato. È quindi dopo la fine del primo conflitto mondiale che si determina la questione curda moderna.

La questione curda

Il Trattato di Sèvres (vicino Parigi) del 10 agosto 1920 è l’unico documento giuridico-politico internazionale che prevede la creazione di uno Stato curdo indipendente. Cinque commissioni nominate dalla conferenza di pace di Versailles – tra i Paesi belligeranti nella Prima guerra mondiale – erano state incaricate di scrivere questo trattato.

Il Trattato di Sèvres non fu mai ratificato dai Paesi partecipanti, a parte l’Italia. Vi erano ancora contrasti tra la Gran Bretagna e gli altri alleati. Occorre citare inoltre un accordo segreto, quello di Sykes-Picot del 1916, che definiva la spartizione delle zone mediorientali tra gli Alleati in caso di sconfitta dell’Impero ottomano. Si può affermare che la lotta tra i singoli Stati per difendere gli interessi individuali fece sì che il Trattato di Sèvres fosse annullato. Anche l’assemblea nazionale turca e il governo di Mustafa Kemal rifiutarono di ratificarlo. Nel 1922 la Turchia era libera dalle forze straniere e il primo ottobre di quello stesso anno fu annullato il sistema del sultanato.

Nel 1923 gli alleati firmarono il trattato di Losanna, che sostituì in pratica quello di Sèvres e quindi cancellò il Kurdistan dalla carta geografica della regione e così la questione curda limitandosi a sollecitare la Turchia – il Paese appunto con la comunità dei curdi più numerosa – al rispetto dei diritti culturali e religiosi delle minoranze. Da allora le varie comunità curde, in ognuno degli Stati in cui sono divise, reclamano la propria indipendenza o almeno un’autonomia.

La guerra in Siria, il conflitto in Turchia, l’Isis

In Turchia, nel sud-est del Paese in particolare e cioè nelle zone a maggioranza curda, si combatte dal 1984 una guerra silenziosa – o che comunque non è interessante per i media occidentali – tra il governo centrale di Ankara e il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan fondato da Abdullah Öcalan.

Abdullah Öcalan (da https://i.ytimg.com/vi/9YZtFIMlBuo/maxresdefault.jpg)
Abdullah Öcalan (da https://i.ytimg.com/vi/9YZtFIMlBuo/maxresdefault.jpg)

Il Pkk è attualmente considerato un’organizzazione terroristica da Turchia, Stati Uniti e Unione Europea. In Europa ci sono state diverse proposte per rimuovere il Partito dei lavoratori curdi da quella lista.

Öcalan, il leader del Pkk, si trova nell’isola-carcere di Imrali dal 1999 e nel 2013, in concomitanza con il cessate il fuoco, ha avviato con il governo turco di Erdogan i negoziati di pace. I negoziati si sono interrotti nel 2015 con la ripresa dei bombardamenti dell’esercito turco sulle postazioni del Pkk in nord Iraq. La situazione non è certo migliore nei centri abitati del Kurdistan turco e nei villaggi al confine con la Siria: il governo di Ankara dallo scorso anno ha avviato delle operazioni per “stanare” i guerriglieri del Pkk che però hanno provocato, oltre ai centri abitati distrutti, anche numerose vittime tra i civili, soprattutto anziani, donne e bambini.

Va ricordato, a ulteriore conferma di una situazione davvero intricata, che i guerriglieri del Pkk (le unità di difesa maschili HPG e quelle femminili YJA-STAR) combattono l’Isis, lo Stato islamico, in Iraq e in Siria fianco a fianco con i peshmerga e l’YPG dei curdi siriani.

La Turchia inoltre è stata usata come base di transito per molti jihadisti stranieri che volevano unirsi all’Isis in Siria.

Anche i curdi in Siria spaventano Ankara. La crisi siriana è diventata per lo Stato turco una priorità assoluta anche per la propria sicurezza nazionale, lo dimostrano i recenti attentati compiuti in territorio turco e rivendicati dall’Isis.

I successi militari dei curdi siriani contro l’autoproclamato Stato islamico hanno permesso, dopo la conquista della città di Kobane, la creazione di una zona autonoma non riconosciuta dalla comunità internazionale: il Rojava (Kurdistan siriano), che comprende i cantoni di Afrin, Jazira e Kobane. Ispirato ai principi del Confederalismo democratico – che fanno proprie alcune riflessioni di Immanuel Wallerstein e Fernand Braudel – questo esperimento politico si avvicina al municipalismo libertario di Murray Bookchin, il padre dell’ecologia sociale scomparso nel 2006. Insomma è una specie di terza via dei curdi siriani basata sul multiculturalismo in cui l’ecologia e il femminismo sono pilastri centrali. Ma uno Stato federale curdo-siriano alle porte della Turchia certo non è ben visto dal presidente turco Erdogan. La partita che oggi si sta giocando in Medio Oriente, sulla pelle delle popolazioni che lì storicamente si sono insediate, è figlia degli accordi, delle rivendicazioni, dei protettorati creatisi dopo la fine della prima guerra mondiale.

Antonella De Biasi, giornalista professionista freelance. Ha lavorato al settimanale La Rinascita della sinistra scrivendo di politica estera e società. Collabora con Linkiesta.it e si occupa di formazione giornalistica per ragazzi