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Sabato 25 novembre le porte di Montecitorio si sono aperte ad oltre 1400 donne provenienti da tutta Italia. Grazie a un evento senza precedenti, voluto dalla Presidente Laura Boldrini, sono entrate nell’aula della Camera dei deputati le donne vittime di violenza e le rappresentanti di numerose associazioni che le sostengono. Le partecipanti all’incontro erano talmente numerose da far estendere l’accoglienza alla Sala della Lupa, uno dei più significativi luoghi di ricevimento di Montecitorio, che ha visto riunirsi i deputati della secessione aventiniana nel 1924, dove sono stati proclamati da parte della Corte di Cassazione i risultati del referendum del 2 giugno del 1946 e dove oggi si conserva una delle copie originali della Costituzione italiana.

In occasione della Giornata mondiale contro la violenza di genere, la Presidente Boldrini ha voluto proporre una manifestazione che desse il senso di vicinanza delle istituzioni alle donne che hanno subito violenza, fornendo al contempo un segnale al Paese affinché non venga sottovalutato un fenomeno che registra quotidianamente vittime su tutto il territorio nazionale.

La copia della costituzione conservata a Montecitorio nella Sala della Lupa

Come ha ricordato la Presidente nel suo discorso di apertura, la metà delle donne uccise sul pianeta è vittima di femminicidio, donne la cui vita viene meno in quanto donne e per mano di chi dovrebbe amarle. Solo in Italia le donne uccise sono una ogni due giorni. Ma l’aspetto che maggiormente stupisce è che tutto ciò avviene in un clima di diffuso disinteresse per cui, a un fenomeno talmente tragico, che incide sull’intera società, rispondono in pochi, in larga parte solo donne. Peggio ancora. Stiamo assistendo a un femminile che regredisce, che non ha centralità nel dibattito pubblico e politico e questo stato di cose – come lamentano molte delle associazioni coinvolte – rischia di aggravare ulteriormente il problema.

La Presidente della Camera Laura Boldrini (da http://biografieonline.it/img/bio/Laura_Boldrini_4.jpg)

Da un punto di vista normativo anche nel nostro Paese sono stati fatti degli importanti passi in avanti, a partire dalla ratifica della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica del 2011, e da altri provvedimenti presi in questa legislatura – come detto anche dalla sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio, con delega alle Pari Opportunità, Maria Elena Boschi – per proteggere le vittime e punire i carnefici. Le leggi come sola risposta non sono però sufficienti. Occorre incidere sulla società per mezzo di processi educativi che portino al rispetto delle donne attraverso la parità di genere sin dalla tenera età. Ciò si rende indispensabile per contribuire a superare la ritrosia di molte donne a denunciare, a chiedere quel rispetto che dovrebbe essere scontato. La paura di perdere il lavoro, di passare da vittime a istigatrici, di non essere credute, la vergogna e la speranza che tutto passi in fretta sono solo alcuni dei motivi che portano larga parte di coloro che subiscono violenza a non rivolgersi alle forze dell’ordine.

Il silenzio – ha sottolineato la presidente Boldrini – non può essere un rifugio e solo la parola può aggregare per dare forza ad una voce e contribuire a salvare più individui, ecco perché dagli scranni dell’aula si sono succeduti gli interventi di diciassette donne che hanno deciso di esporsi e raccontare la loro storia fatta di stupri, violenze domestiche, stalking e ricatti.

La voce commossa di Serafina Strano, la dottoressa di Trecastagni stuprata mentre svolgeva il suo servizio di guardia medica, la forza delle parole di Grazia Biondi, vittima di violenza e presidente dell’Associazione Manden, le mani tremanti di Emanuela De Vito, sopravvissuta a tentato femminicidio, lo sguardo diretto di Touria Tchiche, vittima di un marito violento che voleva uccidere lei e i suoi figli, sono solo alcuni degli esempi delle donne che hanno voluto essere presenti per far conoscere la loro tragica esperienza e per esprimere un dolore che molte volte, in mano a burocrati indifferenti, non ottiene rispetto.

Antonella Penati, la signora con il mazzo di fiori giallo ritratta al centro della foto, racconta la sua vicenda

A loro fianco c’erano Concetta Raccuia, mamma di Sara Di Pietrantonio, uccisa dall’uomo che diceva di amarla la notte del 29 maggio 2016, Antonella Penati, la cui vita è stata sconvolta dall’uccisione del figlio per mano del padre del bambino per vendetta contro di lei, Maria Teresa Giglio, mamma di Tiziana Cantone, morta suicida il 13 settembre 2016. Tutte loro sono venute a dirci che non possiamo dimenticare chi non ha più voce per parlare, a chiedere con forza che le donne non vengano colpevolizzate e che le istituzioni svolgano il loro ruolo nella prevenzione e nella protezione di chi ha già subito violenza, mettendo al primo posto le vittime anche di fronte alla presenza di figli.

Infine Blessing Okoedion, immigrata, vittima della tratta e costretta a prostituirsi, e la giovanissima Alice Masala, spinta dal cyberbullismo a tentare il suicidio, sono stati due esempi di come la violenza possa assumere le forme più diversificate ed estreme.

In tutti questi interventi lo Stato è sembrato il grande assente, quasi un paradosso per un’aula parlamentare. Da ogni caso presentato è emersa la difficoltà a rapportarsi con le istituzioni che quando riescono ad aiutare non lo fanno quasi mai fino in fondo. Ecco perché non potevano mancare le parole delle responsabili di diverse associazioni che operano sul territorio nazionale per assistere chi ha subito violenza.

Alle testimonianze di queste donne si sono alternati gli interventi della Procuratrice aggiunta e capo del pool antiviolenza della Procura di Roma, Maria Monteleone, che ha sottolineato, come poi ha fatto anche Rosaria Maida, dirigente della IV sezione Squadra mobile di Palermo, l’importanza delle forze dell’ordine, della magistratura, degli avvocati nel favorire la prevenzione e nell’assistere chi denuncia.

Infine i dati presentati della statistica sociale Linda Laura Sabbadini hanno mostrato come la quasi totale impunità dei responsabili contribuisca a non limitare il fenomeno della violenza, e la richiesta della giornalista Luisa Betti finalizzata ad incentivare una battaglia che deve necessariamente coinvolgere l’informazione. In conclusione, la nota autrice teatrale e televisiva Serena Dandini ha letto un testo scritto da un uomo a significare l’importanza di un’azione che non può e non deve escludere nessuno.

A questa importante iniziativa non poteva mancare una folta delegazione del Coordinamento donne dell’Anpi guidata dalla Presidente nazionale dell’Associazione dei partigiani, Carla Nespolo, e dalla responsabile del Coordinamento, Monica Minnozzi, che ringrazio per l’invito. Grazie per questa forte emozione, per avermi fatto sentire parte di un tutto come donna, come cittadina, come antifascista e per aver permesso di aggiungere la mia voce a un coro che dovrebbe avere molta più eco, non solo un giorno all’anno.

Prof. Simona Salustri, Master in Comunicazione storica – Dipartimento di Storia Culture Civiltà, Università di Bologna