razzismo allo stadioSi è appreso dalla stampa che a Roma è stato risolto con una assoluzione con formula piena, un caso “singolare”: nel 2013, nel corso di una partita di calcio, alcuni tifosi avrebbero incitato la curva dell’Olimpico gridando “giallorosso ebreo, Roma, vai a c…”. Grida di questo genere, di inequivocabile stampo razzista, sono state ritenute irrilevanti, sotto il profilo penale, in quanto “configurabili nell’ambito di una rivalità di tipo sportivo e non ricollegabili a concetti di razza, etnia o religione”. Insomma, la legge Mancino non sarebbe applicabile in un caso del genere perché le modalità dello stesso non avrebbero rappresentato un concreto pericolo per la diffusione di un’idea di odio razziale o di superiorità etnica. Una sentenza che fa il paio con quella emessa a Milano, poco tempo fa, con la quale si assolvevano alcuni imputati, accusati di manifestazione di tipo fascista (in occasione della commemorazione di un giovane fascista ucciso anni fa) che si svolge ogni anno, con un corteo in cui si saluta “il camerata” col “presente” , col saluto romano e così via, Tutto questo non costituirebbe reato, secondo il giudice milanese, per mancanza di idoneità a costituire un pericolo di diffusione della ideologia fascista e di istigazione alla ricostituzione del Partito fascista; e ciò proprio perché l’occasione sarebbe stata non politica, ma celebrativa.

Di questo passo, tutto può diventare lecito, perché in un caso si tratta di tifosi impegnati nel seguire uno “sport”, e nell’altro di un corteo di persone “commosse”; e in tutto questo non si ravviserebbe alcun pericolo, né tanto meno gli estremi delle condotte ipotizzate dalle leggi, più volte ricordate, che recano il nome rispettivamente di Scelba e Mancino. Dietro tali decisioni c’è un palese limite culturale-politico, nel senso che chi ha deciso in questo modo non si è reso conto di essere magistrato di un Paese che ha una Costituzione rigorosamente e totalmente antifascista, non solo nella XII disposizione finale ma in tutti i suoi articoli, come ripetutamente riconosciuto da altre sentenze e dalla stessa Corte di Cassazione.

Forse sarebbe il caso che la Scuola Superiore della Magistratura, tra i suoi corsi di formazione, ne inserisse qualcuno che sul piano storico-politico fornisse strumenti culturali più ampi di quelli di cui sembrano disporre alcuni magistrati. In particolare portassero a conoscenza, dei giovani e meno giovani magistrati, le decisioni della Corte di Cassazione, assai più rigorose nella interpretazione e applicazione delle due leggi richiamate, esprimendo la volontà dello Stato di reprimere manifestazioni che in qualunque modo riconducano ed esaltino un passato che non deve tornare.

Carlo Smuraglia, Presidente dell’ANPI nazionale, da ANPInews n. 234 – 14/21 febbraio 2017