Un fenomeno europeo

Nei Paesi europei che subirono l’invasione dei tedeschi e – fino al drammatico 8 settembre del 1943 – degli italiani, si svilupparono movimenti di opposizione agli occupanti e agli elementi o alle istituzioni che si erano posti al loro servizio, definite collaborazioniste. La lotta armata costituisce l’aspetto più tangibile della Resistenza, ma ne è solo un aspetto che, in quanto tale, non esaurisce la complessità di un movimento di ribellione che ha avuto il sostegno delle società civili, che hanno posto in essere comportamenti atti ad impedire la compiuta realizzazione degli scopi perseguiti dai regimi collaborazionisti o di occupazione. L’obiettivo di evitare che l’Europa fosse sottomessa al dominio della Germania nazista era comune, ma la vicenda di ciascun Paese europeo ha un carattere peculiare.

La Norvegia, durante l’occupazione, ha subìto il governo collaborazionista guidato da Vidkun Quisling; la Danimarca, sotto la guida di re Cristiano, ha condotto una tenace resistenza passiva; l’Olanda ha organizzato la lotta contro gli occupanti; il Belgio occupato visse ulteriori tensioni per la questione nazionale tra valloni e fiamminghi. Questi Paesi, prima dell’inizio dell’occupazione, avevano un assetto democratico relativamente stabile.

Charles De Gaulle

Per altri Stati, invece, la guerra e l’occupazione furono l’origine di sconvolgimenti interni che, giocoforza, indussero la Resistenza ad essere promotrice e portatrice di nuovi progetti politici. In Jugoslavia, lo smembramento dello Stato voluto dai tedeschi e dagli italiani fu l’origine di violente lotte politiche, sociali ed etniche, che videro emergere e imporsi la resistenza comunista guidata da Tito. In seno alla resistenza greca, cui, dopo il settembre del 1943, si unirono molti italiani, si crearono i conflitti che, nel 1945, sfociarono nella guerra civile che devastò la Grecia fino al 1949. In Albania, teatro della guerra italo-greca prima e italo-iugoslava poi, la Resistenza si fece più attiva con l’occupazione tedesca, avvenuta l’8 settembre 1943, cui seguì quella dei sovietici nel 1944. La Polonia costituisce un caso a sé, in quanto fu annientata come entità nazionale e come Stato. L’Unione Sovietica, nelle zone occupate dai tedeschi, vide rilevanti fenomeni di collaborazionismo combattuti da una Resistenza orgogliosa per il suo senso di appartenenza alla “patria del socialismo”. La Boemia, la Moravia, la Slovacchia, videro nascere la Resistenza con grande sforzo. In Francia, Charles De Gaulle, che non accettò l’armistizio firmato con la Germania dal Maresciallo Petain, dovette riparare a Londra dove, il 28 giugno 1940, il governo britannico gli riconobbe il ruolo di “capo di tutti i liberi francesi”. L’esperienza del governo collaborazionista, insediatosi a Vichy, convinse la Resistenza che la Terza Repubblica fosse un assetto politico e istituzionale da mutare radicalmente.

La peculiarità delle esperienze resistenziali nazionali non impedisce, però, di affermare l’esistenza di una Resistenza europea.

Il caso Italia

Il Maresciallo Pietro Badoglio

La situazione italiana non ha avuto eguali in Europa e ciò spiega le caratteristiche uniche della nostra Resistenza. Il fascismo nasce in Italia. Le sue prime avvisaglie risalgono ai Fasci interventisti o di azione rivoluzionaria, nati nel 1915, da cui derivano i Fasci di combattimento costituiti da Mussolini il 23 marzo 1919. Nel novembre del 1921, si arriva alla costituzione del Partito nazionale fascista (PNF). II 28 ottobre 1922, Vittorio Emanuele III conferisce a Mussolini l’incarico di formare il governo, che si insedia il 31 ottobre. Con l’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti, avvenuto il 10 giugno 1924, il fascismo conferma definitivamente la sua natura di regime dittatoriale. Con il discorso del 3 gennaio 1925, Mussolini assume su di sé la responsabilità “storica e morale” dell’uccisione di Matteotti e annuncia leggi “fascistissime”. Queste non consentiranno più di condurre apertamente la lotta al regime che, perciò, sarà guidata clandestinamente dall’Italia e dall’estero.

L’alleanza tra l’Italia e la Germania è l’altro elemento caratterizzante le vicende della Resistenza. II governo guidato dal Maresciallo Pietro Badoglio, costituito il 25 luglio 1943 dopo l’arresto di Mussolini, stipulò con gli Alleati l’armistizio, accordato sul principio della resa incondizionata, firmato il 3 settembre 1943, ma reso noto l’8. Lasciata Roma, il re e il governo ripararono aI Sud, sotto la protezione degli Alleati. L’Italia era divisa in due: Sicilia, Sardegna, Calabria, Basilicata, Puglia e parte della Campania, occupate dagli anglo-americani; il rimanente sotto il controllo dei tedeschi che, il 12 settembre 1943, liberarono Mussolini. Questi costituì la Repubblica sociale italiana che stabilì la propria capitale a Salò.

La marina e l’aviazione italiane si consegnarono agli Alleati, mentre l’esercito, dislocato nei vari settori (Grecia, Jugoslavia, Francia, etc.), abbandonato a se stesso e privo di ordini, si sfasciava. Tra i militari, senza più esercito, in molti contribuirono alla creazione dei primi nuclei della Resistenza. Nel segno della continuità con l’antifascismo clandestino, interno e in esilio, e con la lotta armata, già vissuta nella guerra civile di Spagna contro Franco, la Resistenza comincia a dare corpo alla propria organizzazione.

I partiti antifascisti

Una premessa di particolare importanza è costituita dall’ordine del giorno che riportiamo, datato 23 agosto 1943, quando ancora nulla di ufficiale e di definitivo si sapeva sulle trattative di armistizio in corso tra il governo Badoglio e gli Alleati: «II Comitato delle opposizioni di Milano sta prendendo misure adeguate per dirigere la lotta e dare disposizioni alle classi lavoratrici ed entra senz’altro in collegamento con tutti i comitati locali dell’Italia settentrionale». Questo documento, peraltro, contiene “in nuce” il motivo degli attriti e incomprensioni, relativo ai rispettivi ruoli che, lungo il percorso della Resistenza, segneranno i rapporti tra i rappresentanti dei partiti – Partito d’Azione (PdA), Partito comunista italiano (Pci), Partito socialista di unità proletaria (Psiup), Partito liberale italiano (Pli), Democrazia cristiana (Dc), Democrazia del Lavoro – che, a Roma, si costituirono in Comitato di liberazione nazionale (CLN) ed il Comitato di liberazione nazionale Alta Italia (CLNAI) a Milano, che aveva un contatto più diretto con la popolazione e svolgeva, tra le altre, anche l’attività di raccolta di notizie sui movimenti delle truppe tedesche, mentre a Roma prevaleva una visione delle cose, propria degli elementi moderati, più strettamente politica e meno propensa a spinte innovatrici.

 

La scheda segnaletica di Palmiro Togliatti (da http://images2.corriereobjects.it/methode_image/2014/08/19/Cultura/Foto%20Gallery/palmiro-togliatti-01-olycom_MGZOOM.jpg)

Già in seno ai comitati formati dai partiti, si manifestarono divergenze riguardo alle responsabilità del governo Badoglio e della monarchia ritenuti responsabili, in politica interna, di un atteggiamento limitativo della libertà e di eccessiva lentezza nel liquidare il fascismo e, in politica estera, di mantenere l’alleanza con la Germania.

È nell’ottobre 1943 che il governo Badoglio dichiara guerra alla Germania e ottiene per l’Italia il ruolo di “cobelligerante”, in rappresentanza del ricostituito esercito italiano combatté, a fianco degli anglo-americani, un Corpo Italiano di Liberazione.

II PdA e il Pci, che avevano una solida struttura organizzativa, erano le forze trainanti del CLN e perciò le vicende del loro rapporto ne condizioneranno la storia. Se il PdA è promotore e organizzatore del movimento di liberazione a livello militare, il Pci, che ha un ruolo critico all’interno dell’organo collegiale del CLN, agisce con organi propri, le Brigate Garibaldi e i Gruppi di azione patriottica (GAP) la cui costituzione risale al settembre 1943. I comunisti del nord vogliono introdurre il loro modo di concepire la lotta partigiana nel CLN.

II 3 novembre 1943, in Svizzera, Ferruccio Parri incontra gli Alleati – che volevano una resistenza limitata alle sole azioni di sabotaggio – e prospetta loro una resistenza che si sarebbe presto trasformata in guerra con il sostegno di formazioni di grande entità numerica. Parri fu tanto convincente da riuscire a sminuire la credibilità del re e del governo Badoglio, che giustificasse la necessità, per gli Alleati, di appoggiare la monarchia dando il loro aiuto militare alle forze regolari monarchiche in via di costituzione. II convincimento degli Alleati dell’impossibilità di respingere sul piano militare il contributo di una resistenza così organizzata ed estesa permise a Parri di dar seguito alla pregiudiziale repubblicana e antimonarchica della lotta partigiana. Nei fatti, però, l’atteggiamento degli anglo-americani non si allontanò mai dalla diffidenza suscitata in loro dalla forte presenza delle forze progressiste nel movimento resistenziale italiano.

Solo dopo il gennaio 1944, il CLN di Milano diviene organo di rappresentanza ufficiale dei partiti e, su delega del CLN centrale, assume il ruolo di “governo straordinario del nord”, con una struttura definitivamente partitica.

La lettera del 31 gennaio 1944, costituisce l’atto di delega con cui il Comitato centrale di liberazione nazionale (CCLN) definisce le attribuzioni del CLN di Milano, in base all’ordine del giorno del 16 ottobre 1943: «Del nuovo governo democratico quando sarà costituito voi dovete considerarvi, in territorio occupato, i rappresentanti. Fin da ora voi dovete agire come il centro dirigente e organizzativo di tutto il movimento nazionale delle vostre regioni. Spetta al vostro Comitato di coordinare e dirigere in tutta l’Italia occupata a mezzo di apposita giunta e secondo i principi che regolano l’attività della nostra giunta militare, fissati nello statuto approvato il 9 gennaio corrente, tutto il movimento dei volontari per la libertà in modo da renderlo sempre meglio organizzato, compatto, disciplinato e di aumentare l’effettiva capacità bellica […] Sorga e agisca sotto la vostra direzione, in ogni centro di vita e di lavoro un Comitato di liberazione per trascinare alla lotta tutti gli italiani».

La nascita del Clnai

II 3 marzo 1944 viene diramata questa informativa ai Comitati regionali dell’Italia settentrionale e a quello della Toscana: «Vi comunichiamo che su delega del Comitato centrale di liberazione, si e costituito il 7 febbraio 1944 il Comitato di liberazione nazionale per l’Alta Italia – “Verso il governo del popolo” – composto dai rappresentanti designati dalle direzioni dei cinque partiti aderenti. […]».

Dopo quelli del marzo e dell’agosto 1943, sono particolarmente importanti gli scioperi del marzo 1944, al cui carattere propriamente economico è indissolubilmente annesso un forte significato politico. Nello stesso mese, Palmiro Togliatti, tornato dall’URSS – che aveva riconosciuto il governo Badoglio – dopo un esilio quasi ventennale, compie la svolta di Salerno: propone di accantonare le pregiudiziali contro la monarchia e il governo Badoglio e di formare un governo di unità nazionale capace di concentrare le proprie energie sulla conduzione della guerra e della lotta al fascismo. Gli azionisti e i socialisti criticano la scelta di Togliatti che porterà alla formazione, il 24 aprile 1944, del primo governo di unità nazionale, presieduto da Badoglio, comprendente i rappresentanti dei partiti del CLN. Ma, la mozione istituzionale fortemente voluta dal PdA, rimane un fatto incontrovertibile.

Per l’unità tra i partiti e per un governo straordinario

È del 17 marzo 1944 questa dichiarazione: «II Comitato di liberazione nazionale per l’Alta Italia, nell’approssimarsi dell’ora in cui l’intero popolo italiano sarà chiamato a dare tutto se stesso nella lotta contro l’invasione nazista e la rinnovata autocrazia fascista, riafferma l’imperiosa necessità storica del patto d’unione fra tutti i partiti politici italiani riuniti nel CLN; riafferma la necessità della costituzione d’un governo straordinario composto dai rappresentanti dei partiti aderenti, al quale dovranno essere trasferiti tutti i poteri costituzionali dello stato, e che, in forza di tali straordinari poteri e del reale consenso ed appoggio dell’intera opinione pubblica, dovrà chiamare a raccolta ed organizzare tutte le forze vive del paese per la partecipazione alla guerra di liberazione nazionale ed europea; riafferma altresì che solo la costituzione di un tale governo, responsabile unicamente davanti alla nazione e alle sue future forme rappresentative, col deferire ogni decisione sul problema istituzionale all’inappellabile verdetto del suffragio universale, potrà consentire l’unione sacra di tutti gli italiani contro i nemici di dentro e di fuori, a tutti permettendo di stringersi per la battaglia intorno ad una bandiera incontaminata.

Additando l’esempio delle masse operaie e dei volontari della libertà che con ammirabile concordia di pensiero e di azione combattono per l’indipendenza nazionale, fa appello al senso di responsabilità storica e morale di tutti i partiti aderenti affinché, imponendo silenzio alle voci discordi, sventando manovre interessate e solo ascoltando la voce della patria e le sue supreme esigenze, proclamino la loro inflessibile decisione di essere guida vivente del paese nell’ora della battaglia suprema attraverso quell’indefettibile unione di animi e di volontà che solo potrà assicurare davanti al mondo i destini del secondo Risorgimento nazionale».

Nel giugno 1944, dopo che Roma era stata liberata, Umberto di Savoia assunse la luogotenenza generale del regno, Badoglio si dimise e si formò il secondo governo di unità nazionale sotto la guida di Ivanoe Bonomi, emanazione diretta del CLN.

Alla fine di agosto del 1944, Raffaele Cadorna divenne consigliere militare del Comando generale del Corpo volontari della libertà (CVL), di cui diverrà comandante da novembre.

Nel settembre 1944 il CLNAI, aveva consolidato la sua organizzazione interna, i membri politici presenti alle discussioni in questo periodo sono gli stessi che, il 26 aprile del 1945, firmeranno il manifesto sull’assunzione dei pieni poteri.

Ma, sulle vicende della Resistenza, cominciano a pesare in modo determinante le interferenze degli anglo-americani. II viaggio a Roma della delegazione del CLNAI, la firma degli accordi con gli Alleati e con il governo, nel dicembre 1944, rivelano la presenza di una vera e propria lotta politica in atto tra Nord e Sud. II tentativo di Parri e dei comunisti di far riconoscere agli Alleati gli organi unitari del Nord ha lo scopo di opporsi ai pericoli insiti nelle alleanze che venivano formandosi tra missioni anglo-americane e industriali che si prefiggevano l’indebolimento, se non la rottura, dell’unità del fronte resistenziale, per poterne svalutare l’importanza al momento della liberazione. II CLNAI ottiene il riconoscimento quando, di fatto, il suo ruolo viene invalidato dalle lotte tra i moderati e le sinistre e dal sorgere di altri organi pseudo-resistenziali.

Già nell’arrivo di Cadorna al comando del CVL, s’intravede la volontà degli anglo-americani di limitare l’azione delle forze partigiane e prevenire ogni spinta al rinnovamento proveniente dalle organizzazioni politiche di stanza al Nord. Ma l’atteggiamento degli anglo-americani verso la Resistenza è costante per tutto il periodo della guerra: un sentimento di diffidenza e avversione per ogni sviluppo del movimento partigiano che si potesse esprimere in soluzioni progressiste ai problemi sociali o istituzionali che, quindi, potesse intralciare i propri piani. È errato, perciò, pensare al passaggio, nella loro condotta, da una fase di cobelligeranza a una di controllo: gli Alleati, intatti, sentivano la necessità di avvalersi appieno del contributo resistenziale, ma non oltre i limiti di una collaborazione militare atta esclusivamente a preparare l’entrata delle loro forze nei territori occupati.

Raffaele Cadorna al centro della foto. Alla sua destra il generale Ike Eisenhower, eletto poi Presidente degli USA (da http://digilander.libero.it/lacorsainfinita/guerra2/personaggi/Immagine1cadornaraffaele.jpg)

Questa posizione degli anglo-americani rappresenta solo l’inizio di una sorta di “normalizzazione” – storicamente non superata dalla pur durissima ed eroica lotta resistenziale culminata con l’insurrezione del 25 aprile 1945 – che avrà conseguenze profonde sulla vita del nostro Paese, poiché riuscirà a disperdere la spinta fortemente innovativa, insita nell’esperienza resistenziale dell’Alta Italia, a favore delle istanze moderate, come, poi, verrà sancito dall’estromissione delle sinistre dal governo, nel maggio del 1947, dalla vittoria della Dc, alle elezioni del 18 aprile 1948, dall’inizio della guerra fredda.

La lotta armata costituisce l’aspetto più tangibile della Resistenza, ma da sola non esaurisce la complessità di un movimento di ribellione che ha avuto il sostegno della società civile, che ha posto in essere comportamenti atti ad impedire la compiuta realizzazione degli scopi perseguiti dal regime fascista prima e dalla Repubblica sociale poi. La maggioranza della popolazione dell’Italia centro-settentrionale non prese parte alla lotta armata, ma diede vita ad una resistenza passiva di supporto a quella armata. L’aiuto portato ai soldati sbandati, ai soldati alleati fuggiti dalla prigionia, agli ebrei, ai perseguitati politici, ai renitenti, ai disertori, etc. si può definire propriamente come resistenza civile a cui, è doveroso ricordare, si sono contrapposte varie forme di collaborazionismo, attivo e passivo, di doppio gioco. Anche nell’ambito della Chiesa cattolica, si ebbero comportamenti che sfumarono dall’ambiguità di una posizione super partes – a volte, nei fatti, per nulla tale – alla difesa degli elementari valori umani, alla vera e propria partecipazione alla lotta di Liberazione.

La memoria

Quando, tra il maggio del 1947 e il 1948, si consumò, sul piano politico, la rottura dell’unità delle forze antifasciste, la Resistenza sembrò divenire un patrimonio esclusivo delle sinistre, che venivano accusate, dal ceto centrista di governo, di compiere un atto di indebita appropriazione di un comune patrimonio, di cui, allo stesso tempo, i centristi cercavano di stemperare la portata e, quindi, il significato e la memoria.

Tutti rivendicavano l’unità del patrimonio storico costituito dalla Resistenza, ciascuno accusando gli avversari di averla rotta per le proprie mire di egemonia culturale.

Di qui, il dibattito attorno alla memoria della Resistenza e al suo uso politico che, sin dalle origini, è segnato da quel processo di “normalizzazione” di cui si cominciarono a percepire i segnali già molto prima della fine della guerra.

Forse, la chiave interpretativa più convincente della Resistenza è quella proposta da Claudio Pavone, nel suo libro Una guerra civile, che delinea la presenza di tre aspetti inestricabilmente avvinti: la guerra patriottica, la guerra civile, la guerra di classe.

(Da Patria indipendente n. 4 dell’11 aprile 1999)