Da https://cdn3.vox-cdn.com/uploads/chorus_asset/file/7298841/Karte_Irak.jpg
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L’avanzata su Mosul ha riempito le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Le immagini di una popolazione che tornava alla libertà dopo la sofferenza di una occupazione, quella dell’ISIS, hanno mostrato il lato oscuro, ammesso che ve ne sia uno luminoso, della signoria degli uomini di al-Baghdadi. Le immagini dal fronte che hanno nuovamente dato visibilità ai troppo spesso dimenticati inviati di guerra, hanno prepotentemente fatto irruzione nei salotti occidentali e mostrato l’inarrestabile avanzata delle truppe irachene, e di quelle alleate, che hanno sostenuto la campagna militare per la riconquista della città.

Ma quali sono le forze in campo e quali gli obiettivi che stanno perseguendo? Si tratta di una coalizione omogenea, oppure di una serie di forze che opportunisticamente si sono unite sul fronte di battaglia pur perseguendo finalità di lungo termine sostanzialmente differenti, quando non opposte?

Come sottolineato dal giornale siriano filo-regime di al-Watan, “la battaglia di Mosul comporta una grande quantità di implicazioni e di intersecazioni tra gli interessi delle parti in conflitto e così come gli interessi dei Paesi della regione, fra cui l’America e altri Paesi occidentali”. Dall’analisi delle mappe interattive presenti sul sito di al-Jazeera ed elaborate secondo le indicazioni dell’Institute for the Study War (http://www.aljazeera.com/indepth/interactive/2016/10/battle-mosul-controls-map-161023134534524.html) è evidente come le forze in campo siano molte ed assolutamente eterogenee.

LE FORZE IN CAMPO

L’ISIS, prima di tutti, che controlla ancora le aree a nord della città nonché il cuore della stessa. Le forze curde che stringono d’assedio la città e che hanno già riconquistato un’area vitale come quella della diga di Mosul. L’esercito turco, con la base militare di Zilkan. Il fronte del governo iracheno, sostenuto militarmente dagli Stati Uniti d’America.

Evidentemente tutti attori con agende radicalmente diverse che secondo il quotidiano al-Akhbar avrebbe persino spinto alcuni di questi a vendere informazioni all’ISIS al fine di prolungare la sua resistenza in città fino a quando non saranno chiare, evidenti e soprattutto condivise le azioni successive alla liberazione di Mosul.

Un militare dell’esercito turco
Un militare dell’esercito turco

I curdi in particolare sembrano essere gli attori che più di tutti intendono guadagnare un ruolo di primo piano nell’Iraq di domani. Perché se è vero che a Mosul si decide gran parte del futuro dell’ISIS, tuttavia già largamente segnato, è altrettanto vero che a Mosul si decide larga parte del futuro dell’Iraq che verrà. L’obiettivo di Massoud Barazani, presidente del Kurdistan iracheno, è fin troppo chiaro ormai. Lo sforzo militare contro l’ISIS, che il quotidiano al-Rai al-Youm stima in circa 11.500 martiri e migliaia di feriti, deve necessariamente comportare una indipendenza curda su larga scala: la creazione di uno Stato curdo indipendente che da Baghdad non dovrà dipendere nemmeno sotto forma di provincia federata. Indipendenza, punto: è questo il prezzo che i curdi stanno cercando di strappare al loro storico alleato statunitense, è questa la condizione per osare una offensiva definitiva su Mosul e sull’ISIS.

Gli Stati Uniti appunto che stanno sostenendo, per ora indipendentemente da ciò che accade in patria con il cambio di guardia alla Casa Bianca, gli sforzi dell’esercito di Baghdad al fine di allargare il fronte sud-orientale dell’assedio a Mosul. Secondo al-Quds al-Arabi si tratta di un triplice aiuto, sia dal punto di vista del training militare (espletato in Giordania per alcuni reparti scelti), che attraverso l’impegno di truppe speciali statunitensi che in piccolo numero stanno sostenendo la battaglia strada per strada dell’esercito iracheno, sia infine per quanto riguarda la copertura aerea che garantisce una superiorità tattica invidiabile rispetto all’ISIS.

Soldatesse curde
Soldatesse curde

L’ISIS. Mosul ha evidentemente un significato simbolico. Da una delle moschee della città il fantomatico califfo al-Baghdadi proclamò la nascita dello Stato Islamico. La sua caduta determinerebbe l’inizio della fine per l’ISIS che, come città simbolo, conserverebbe essenzialmente Raqqa e poi poco altro.

Ed i turchi? Quale il loro ruolo nel già complesso scenario fin qui delineato? Il ruolo di Ankara (peraltro allo stato attuale in tutt’altre faccende affaccendata a causa delle “riforme” interne proposte ed imposte da Erdogan) è stato abilmente sottolineato dalla Turkish Anadolu News Agency che nell’ottobre 2016 aveva elencato i perché di un coinvolgimento turco nella battaglia di Mosul e, verrebbe da dire soprattutto, i perché di un sostegno del governo centrale di Baghdad ad un eventuale coinvolgimento delle forze di Erdogan nel gioco militare. In primo luogo i turchi sono sunniti come la maggioranza della popolazione di Mosul, decisamente spaventata ed intimorita da possibili rivendicazioni settarie successive alla liberazione della città. Secondariamente far sventolare la bandiera turca su alcune aree di Mosul limiterebbe il ruolo dei curdi e in particolare del PKK e, dal punto di vista geopolitico, limiterebbe l’avanzata iraniana nella regione. Non è da sottovalutare inoltre come i ricchi giacimenti petroliferi nell’area circostante Mosul siano di indubbio interesse per chiunque sia attualmente impegnato nella liberazione della città. Sul coinvolgimento turco a Mosul, nonostante il già citato impegno sul fronte della politica interna, si era espresso anche Erdogan affermando che «dopo la sua [Mosul] liberazione, le uniche persone che devono rimanere a Mosul sono gli arabi sunniti, i turcomanni sunniti, i curdi sunniti “e che” le forze di mobilitazione popolare non dovranno entrare a Mosul». Peraltro, prosegue l’articolo, proprio la presenza dei turcomanni sunniti potrebbe essere vista come forza di interposizione fra i curdi iracheni e siriani al fine di impedire la creazione di un fronte comune.

Ma facciamo un passo indietro: cosa sono questa forze di mobilitazione popolare? Le cosiddette Popular Mobilization Forces o Popular Mobilization Units o ancora in arabo Hashid al Shaabi, sono forze militari sciite create nel 2014 su iniziativa popolare (e sostenute dall’Iran) e poi ufficialmente incorporate come parte delle truppe irachene nel 2016. O meglio, secondo i documenti ufficiali, Hashid al Shaabi rimane una forza militare indipendente, parte delle forze armate irachene e collegata alle stesse tramite il comandante generale. Le operazioni militari condotte da questa forza sciita si erano concentrate nell’area di Tal Afar e la Turchia si era detta immediatamente pronta ad intervenire qualora la locale popolazione turcomanna avesse subito degli abusi successivamente alla liberazione della cittadina nei pressi di Mosul. Per questo motivo, stando all’ultimo bollettino dell’Institute for the Study of War, le forze sciite sono state destinate alla liberazione di altre aree come Baaj e Qara’an nei pressi di Ninive.

Marco Di Donato, ricercatore Centro Studi UNIMED