La Treccani suggerisce che l’accostare nella medesima locuzione parole che esprimono concetti contrari configuri un ossimoro. Ogni giornalista non più di primo pelo conosce la pericolosità di questa figura retorica, che porta spesso a cadere nel banale, nell’ovvio. Eppure, nonostante vari tentativi, trovare un aggettivo diverso da “assordante” per definire il silenzio dell’Europa sui fatti delle ultime settimane risulta impossibile.

Una sperduta valle in Afghanistan, un furgoncino che distribuisce patatine ai profughi bambini, una rampa di lancio sulla quale un missile s’affloscia come un soufflé di cattive intenzioni, un attacco col gas di paternità incerta e di certo effetto, navi da guerra che entrano nel Mediterraneo e altre che dovrebbero dirigersi verso le coste coreane, un risultato referendario che conferisce poteri praticamente illimitati a chi getta in carcere oppositori e giornalisti scomodi, un elicottero che cade uccidendo nello schianto i membri della Commissione elettorale che dovrebbe decidere sull’ammissibilità di quel referendum che l’OSCE definisce viziato da brogli. Immaginate queste polaroid incollate sulla lavagna, come in un’indagine delle serie tv, fotografie di venti di guerra. E immaginate ora la ferma reazione dei governi europei e delle istituzioni internazionali. Immaginatele. Perché possiamo fare solo questo.

L’Alto rappresentate degli Affari Esteri UE, Federica Mogherini

L’uso del gas sarin in Siria è stato definito “orribile” dall’Alto rappresentate degli Affari Esteri UE, Mogherini, che he definito la situazione “drammatica” e ha indicato la responsabilità del governo di Assad che dovrebbe “proteggere il suo popolo, non attaccarlo.” E se l’esercito siriano ovviamente nega l’uso di armi chimiche, Mosca nega di aver partecipato al raid. Paternità incerta, appunto, che quando nella nostra immaginaria indagine cerchiamo di trovare con il più classico dei “cui prodest” non identifichiamo. Perché, in realtà, nessuno ha un reale interesse a sterminare donne e bambini con il gas, né il contestato governo siriano né alleati o oppositori. Condanna unanime, perfino dal presidente turco Erdogan che parla di “attacco inaccettabile”. Già, Erdogan. Ed il referendum.

La lingua della diplomazia è felpata, tanto da portare Federica Mogherini, dopo una telefonata con il capo degli osservatori dell’OSCE, Tana de Zulueta, a dichiarare che “alla luce dei rapporti degli osservatori, dello stretto margine del risultato del referendum e delle sue implicazioni, la UE chiede alla Turchia di valutare i prossimi passi molto attentamente”. Valutare? I prossimi passi? Riprendiamo la nostra indagine e valutiamo anche noi quali potrebbero essere “i prossimi passi” di un confuso cammino in cui se il partito kemalista Chp chiede a quello che resta della Commissione elettorale suprema (Ysk) l’annullamento del referendum, il Presidente Trump smentisce il suo portavoce e si congratula con Erdogan seguito a ruota da Vladimir Putin. Secondo l’OSCE esiste un rischio reale che 2,5 milioni di schede “siano state manipolate”, ammaestrando il voto per trasfigurare la repubblica turca in una autocrazia presidenziale. Quella Turchia che ha garantito, a spese del contribuente europeo, l’applicazione del principio “occhio non vede, cuore non duole”, bloccando la rotta dei Balcani. Sei miliardi di euro e qualche concessione politica per riprendersi tutti i “migranti irregolari” arrivati in Grecia. Peccato che Amnesty International sostenga che, oltre a non rispettare i diritti dei rifugiati, la Turchia stia ri-inviando persone verso l’Afghanistan, Iraq e la Siria; che non sono esattamente i Paesi più sicuri al mondo in questo periodo.

Ankara

Di fatto, Ankara ospita oggi oltre tre milioni di richiedenti asilo, più di ogni altro Paese al mondo, mentre gli Stati membri della UE hanno reinsediato solo 8.155 rifugiati, rispondendo ad una delle peggiori catastrofi umanitarie erigendo muri e filo spinato ed aumentando il numero delle guardie di frontiera.

Ecco la difficoltà dell’Unione – e dei governi dei Paesi che la compongono – ad essere “duri” con Erdogan. Nessuno ignora che i richiedenti asilo ospitati in strutture fatiscenti debbano attendere anni prima che il loro caso sia esaminato. Centinaia di migliaia di profughi che restano in un “limbo” per anni, perché la Turchia nega loro lo status di rifugiato e la UE non mette a disposizione posti sufficienti per un vero reinsediamento. E se 270.000 siriani erano alloggiati l’anno scorso in campi di fortuna situati nelle province meridionali del Paese, 100 alloggi popolari sono stati messi a disposizione del circa mezzo milione di non siriani. Ci sono quindi quasi tre milioni di persone abbandonate a se stesse che, secondo un rapporto di Amnesty International, si arrangiano nell’attesa.

Aspettando un Godot che pare bloccato in qualche stazione austriaca, dove il governo di grande coalizione, spinto dalla destra xenofoba della Fpoe, ha talmente biasimato la Turchia – senza assumersi le proprie responsabilità – da guadagnare il primo posto nella hit-parade del voto dei turchi all’estero con il 73% degli austro-ottomani che ha votato per la svolta autoritaria di Erdogan. E invece d’interrogarsi sulle ragioni di questo – triste – primato, rincara la dose, con il ministro degli Esteri Kurz che chiede la fine dei negoziati con la UE ed il cancelliere socialdemocratico Kern che li dà ormai per “sepolti”.

O forse in un porto dei Paesi Bassi, dove il 68% della comunità turca ha votato “sì” al referendum, chiara risposta alla linea dura contro Ankara scelta da Mark Rutte.

Angela Merkel e Sigmar Gabriel esortano il presidente turco a cercare il dialogo con l’opposizione dopo il referendum e François Hollande si limita a dire che la possibile reintroduzione della pena di morte “costituirebbe una rottura” con l’impegno ottomano a rispettare i diritti umani, tappa imprescindibile per l’adesione all’Unione.

Parigi, Berlino e Bruxelles, consci del ruolo di “fermaprofughi” e dell’appartenenza alla Nato della Turchia, preferiscono toni misurati coi forti e forti coi deboli, gli stessi usati con Trump dopo il bombardamento in Siria. La reazione statunitense “mostra la necessità di risolutezza contro i barbari attacchi chimici” e per questo l’Unione europea “lavorerà insieme agli Usa per porre fine alle brutalità in Siria”, twitta il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, mentre Juncker dichiara che la Commissione “capisce gli sforzi per scoraggiare ulteriori attacchi”, facendo “una chiara distinzione tra gli attacchi aerei contro obiettivi militari e l’uso di armi chimiche contro i civili”.

Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni (da http://you-ng.it/wp-content/uploads/2017/04/f435d4ba5180fa4d9d9a241ccc4c0597-kaCG-U11002164993245TrF-1024×576@LaStampa.it_-437×290.jpg)

Sicuro di sé – non si capisce su quali basi – il Presidente del Consiglio Gentiloni afferma invece che “La rappresaglia ordinata da Trump è un’azione motivata da un crimine di guerra, il cui responsabile è il regime di Bashar al Assad”. Fonti alla Farnesina suggeriscono che il capo dell’esecutivo ne abbia discusso anche con Hollande e la Merkel, con i quali ha “condiviso questa impostazione e l’impegno comune perché l’Europa contribuisca alla ripresa del negoziato”. La UE ritrova dunque un punto comune e tanto peggio se lo fa sui corpi dei 4 bambini uccisi dai tomahawk: danni collaterali, si diceva una volta.

Di ovvio parere contrario la Russia, che identifica il lancio dei missili come un’aggressione “unilaterale a Stato sovrano, che costituisce una violazione delle norme del diritto internazionale” e ha inviato navi nel Mediterraneo e chiesto una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza dell’Onu. La stessa domanda fatta dalla Francia dopo l’attacco con i gas.

Al cacofonico silenzio europeo fa dunque eco quello onusiano, sia sui gas e sui missili convenzionali, sia sulla “superbomba” Moab (acronimo di “Massive ordnance air blast”, che vorrebbe dire esplosione d’artiglieria pesante, ma come nel videogioco Call of Duty, è stata rinominata “Mother of all bombs”, la madre di tutte le bombe).

La MOAB fatta esplodere in Afghanistan (da https://s-media-cache-ak0.pinimg.com/736x/6b/44/c8/6b44c80df64d30b3f822aab9574983ae.jpg)

Roba da videogioco appunto, che pesa 10 tonnellate e distrugge tutto nel raggio di centinaia di metri. Mammina dormiva nell’arsenale americano dal 2003 – dopo un investimento di quasi 15 milioni di dollari – ed il Presidente Trump ha pensato che fosse giunta l’ora di usarla per distruggere qualche tunnel jihadista nella zona di Achin, provincia afghana di Nangarhar. Se le stime suggeriscono un centinaio di morti, rappresaglia per un soldato americano ucciso in zona una settimana prima, gli osservatori internazionali concordano nel ritenere che fosse un messaggio a nuora perché suocera intendesse.

Non i jihadisti quindi il vero obiettivo, ma Kim Jong-un, colto anche lui dal desiderio di giocare con i pulsantini rossi degli ordigni nucleari, magari contro la Corea del Sud, il Giappone o addirittura gli Stati Uniti. 33 anni, studi in una prestigiosa scuola svizzera alla periferia di Berna, laurea in fisica ed in scienze militari, diventato generale a 4 stelle “senza aver fatto un solo giorno di servizio militare”, scriveva qualche anno fa con una certa malizia il Prof. Cha, docente di politica asiatica al George W. Bush’s National Security Council. Cinque lingue parlate e scritte in modo impeccabile (recita la biografia ufficiale) compreso lo svizzero tedesco, il terzo figlio dell’ex dittatore coreano Kim Jong-il ha anche studiato privatamente informatica ed alla passione per il lusso ed il basket aggiunge quella per gli affari pubblici, detenendo il record di più giovane capo di stato con arsenale nucleare al mondo.

Pare sia questa sua perniciosa attrazione per i missili ad averlo messo nel mirino di Donald J. Trump, che oltre ad aver sganciato la bombetta a titolo d’avvertimento, ha dato ordine alla settima flotta del Pacifico, da lui definita “l’Armada”, d’incrociare nelle acque del Mar del Giappone a ridosso delle coste nordcoreane. Ordine evidentemente mal compreso dalla Marina americana, che – forse per la tradizionale scaramanzia delle genti di mare – non deve aver gradito il paragone con la sfortunata flotta spagnola. Come hanno rivelato prima Defense News e poi il New York Times infatti, la portaerei “Carl Vinson” e la sua scorta – un incrociatore e due cacciatorpediniere – hanno pacificamente continuato a navigare in direzione opposta, verso la più ospitale Australia.

La portaerei “Carl Vinson” (da https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/5/56/USS_Carl_Vinson_%28CVN-70%29.jpg/1200px-USS_Carl_Vinson_%28CVN-70%29.jpg)

E in tutto questo l’Europa? Il vecchio continente tace o balbetta, lasciando alla Gran Bretagna il ruolo di potenza militare e limitandosi a ribadire la necessità di negoziati politici. Juncker ha reagito con l’ennesimo imbarazzato silenzio, mentre a Federica Mogherini, cui va tutta la nostra solidarietà, tocca l’ingrato compito di far apparire unita un’Unione Europea in ordine sparso. Perfino Enrico Letta, più conosciuto per la sua serenità che per la bellicosità, non pensa che “Trump ci abbia levato le castagne dal fuoco con il suo attacco alla Siria, al contrario ce le ha messe… La verità è che Trump se n’è infischiato dell’Europa con un pericoloso unilateralismo… Non penso che si possa provare sollievo per un’azione così unilaterale”.

Concludiamo qui la nostra indagine, riponendo le polaroid nella classica scatola di cartone, non perché il caso sia chiuso, anzi, ma per manifesta incapacità di venirne a capo.

Restano nell’aria le parole dell’appello urgente per la Pace lanciato da ANPI, ARCI, CGIL, CISL, UIL e ACLI cui hanno aderito varie altre forze della società civile. Un appello alla civiltà suprema del dialogo, della sua umanità, della sua intelligenza. Un appello alle Istituzioni internazionali e ai Governi del mondo perché si metta a tacere l’assurdo di queste intenzioni che porterebbero a effetti disastrosi e di morte già tragicamente vissuti.

Alla vigilia del 25 Aprile, festa di Pace, continuiamo il percorso intrapreso, alla ricerca non di una Shangri-la ideale, ma di un pianeta in cui ai personaggi dalla stramba pettinatura sia dato di giocare con bottoni d’osso e non rossi…

Filippo Giuffrida, giornalista, Presidente ANPI Belgio, Vicepresidente della FIR in rappresentanza dell’ANPI