Cesare Alvazzi Del Frate (da http://www.lastampa.it/rw/Pub/p3/2015/04/17/Medialab/Foto/alvazzi4-148.jpg)
Cesare Alvazzi Del Frate (da http://www.lastampa.it/rw/Pub/p3/2015/04/17/Medialab/Foto/alvazzi4-148.jpg)

Nel marzo 1945, scesi a Torino dall’alta Valsusa dove operava la mia formazione autonoma partigiana – comandata da Maggiorino Marcellin “Bluter” – con il mio comandante Franco Faldella, con Luciano Sibille e con Lella Panizzera, sorella della maestra Maria che ospitava il nostro comando nella sua scuola.

Ci recammo in un ristorante allora di moda “Il cuculo” in via Roma vicino alle fontane del Po e della Dora.

Ufficiali fascisti in borghese, appartenenti al RAP (Reparto antipartigiani), insospettiti, chiesero i documenti a Faldella che risultava ufficiale dell’esercito in servizio. Io, temendo complicazioni, cercai di svignarmela ma; inseguito (“era con loro”), vengo fermato. Faldella è rilasciato, io, vista la mia residenza in via Maria Vittoria 52, vengo portato a casa, dove, al portone, incontro Gianni Chiambretto, amico partigiano, che subito capisce e non accenna alcun saluto. Perquisizione in casa. Io allora fumavo e ritrovano un pacchetto di sigarette americane “Old Gold”. Era la prova del collegamento con gli Alleati. Cerco di prenderne alcune e mi becco il primo ceffone. Mi portano al loro comando, all’hotel SITEA. Al piano terra mi chiudono in uno stanzone vicino al corpo di guardia. Una finestra con le sbarre dava sul cortile dove vedevo sullo sfondo i balconi di una casa. Una domestica mi manda un saluto con la mano. Certo sapeva che i ragazzi dietro quelle sbarre non se la passavano bene. Nell’attesa, tanto per fare qualcosa, staccai un pezzo di filo d’acciaio dalla brandina e feci corto circuito nella presa interrompendo la corrente elettrica. Poi, da romantico scrissi sul muro “soyez béni mon dieu qui donnez la souffrance”. Non ricordo come, ma la notizia del mio arresto si seppe subito. Così Ada Gobetti, mio padre, alto magistrato, e altri amici, si diedero subito da fare. Non so come, riuscii a mandare un biglietto a Lella Panizzera per dirle che si stavano occupando di noi. Il mattino dopo mi chiamano sopra. Incontro un ufficiale reduce da uno scontro con i partigiani che mi mostra una loro bandiera, poi capisce che non sono dei loro e cambia atteggiamento. Mi interrogano e riesco a far bene la parte di chi cade dalle nuvole. Mi propongono di arruolarmi nelle brigate nere e io rispondo: non ho voluto andare con i partigiani, non vengo neanche con voi. Qui va osservato che, per pochi giorni, io non ero di leva e non avevo quindi obblighi militari. Mi congedano bruscamente e inaspettatamente mi trovo libero. Prendo subito un treno e ritorno in valle.

Un’immagine della Valsusa oggi
Un’immagine della Valsusa oggi

Al comando m’informano che c’era da fare una missione di collegamento con gli Alleati in Francia. Mi offrii subito e partii. Con me, a tutti i costi, volle aggregarsi un ragazzo canadese di Toronto, Ontario. Dopo il colle d’Ambin, sotto il piccolo Cenisio seguimmo un sentiero e, con la solita mia fortuna, non mettemmo piede sulle mine disseminate. Al posto di blocco francese dovemmo lasciare le armi per poi proseguire per Braman. Era nel frattempo arrivato un gruppo con una barella dove giaceva un partigiano italiano ferito gravemente alle gambe da una mina. Scendemmo insieme e ci diedero alloggio in una stanzetta sulla strada principale. Il mattino dopo, da Grenoble arriva una jeep, la prima che vedevo, carica di indumenti, armi e munizioni. In serata bussano forte alla porta e entrano violentemente soldati francesi che, nel ricordo del “colpo di pugnale” dell’Italia fascista, non volevano che si dessero armi agli italiani. Ci portano via tutto. Ho allora l’idea giusta. Vado da un capitano corso, che avevo conosciuto, simpatico e cordiale. Mi porta dal comandante che ordina di restituire tutto. Rifocillati e riposati, il mattino dopo riprendiamo la salita al colle; questa volta ho il compito di guida. Incontrammo di nuovo i militari che ci avevano disarmato, che minacciosamente gridavano: “Au revoir en Italie!

Al colle – era il 27 aprile – sentiamo scoppi e spari dal basso. Dico ai francesi di attendere e comunico che, dopo aver vista la situazione, prima di sera, avrei mandato un portaordini con notizie.

Exilles (da http://www.dislivelli.eu/blog/immagini/foto_maggio_2014/durbiano.jpg)
Exilles (da http://www.dislivelli.eu/blog/immagini/foto_maggio_2014/durbiano.jpg)

Sopra il comune di Exilles, che oggi fa parte della città metropolitana di Torino, in Alta Val di Susa, trovai i miei compagni. Si sparava verso il paese. Sul campanile c’era una mitragliatrice tedesca che riuscimmo a neutralizzare (ancora oggi si vede una colonnina del campanile di colore più chiaro perchè ha sostituito quella abbattuta). Mentre ero sdraiato per sparare, sentii un tonfo a sinistra vicino a me: era un colpo di mortaio non esploso. La solita mia fortuna. Arriva trafelata Maria Panizzera, la maestrina: “se ne stanno andando, scendete”. In paese grandi accoglienze. La gente usciva dalle case per abbracciarci e offrire qualcosa.

Mandai come convenuto un portaordini al colle per informare della situazione. Quando i francesi delle FFI (Forze Francesi dell’Interno) trovarono il paese liberato, fecero una cosa ben rara nei confronti degli italiani: si schierarono lungo il paese presentando le armi e mi fecero passare in rivista con il loro ufficiale. In seguito a Susa mi diedero addirittura la Croix de Guerre avec Etoile de bronze. Poi arrivò il grosso delle truppe. Vi furono incidenti. Scesero fino a Rivoli e De Gaulle voleva l’annessione della valle alla Francia. Intervenne subito il Presidente americano che minacciò di sospendere ogni aiuto alla Francia, viveri e munizioni.

I confini rimasero quelli storici.

Da Exilles, con l’entusiasmo degli avvenimenti, con una motocicletta in prestito, scesi a Torino dove feci in tempo a partecipare alla sfilata in corso Cairoli… incontro con tanti amici. L’incubo era finito, ma ancora tanti tragici fatti. Sul Po galleggiavano cadaveri…persone uccise magari per vendette personali. E poi i cecchini fascisti che sparavano dai tetti. In alta Val Susa vi era un movimento per l’annessione alla Francia dei territori dell’antico Delfinato. Ma non ebbe seguito. Nelle settimane seguenti smobilitazione, consegna delle armi.

Io, per non sbagliare, distrussi il mio mitra in pezzi che gettai nel torrente.

A casa, duro ritorno alla normalità. Vita di famiglia con mio padre severo per gli orari. Dovevo tornare a studiare, ahimè. Ma, come sempre, fortuna. Alla sessione “partigiani e reduci” diedi l’esame di maturità, “facilitato”; “povero ragazzo, chissà quante ne ha passate!”. Poi l’iscrizione alla facoltà di chimica…

Cesare Alvazzi Del Frate Comandante Distaccamento 41ª Divisione Val Chisone Brg. Assietta Ufficiale di Collegamento con le Forze Alleate