[…] Nell’estate del 1944 la Versilia era venuta a trovarsi a ridosso delle immediate retrovie del fronte. Gli alleati si avvicinavano sempre più alla linea dell’Arno dando l’impressione di poter effettuare una rapida avanzata. Tale valutazione convinse gli abitanti della Versilia a non allontanarsi troppo dalla zona.

Così, quando il comando tedesco, ai primi di luglio, ordinò di sgomberare Forte dei Marmi, Seravezza e il territorio compreso fra Strettoia e il Cinquale, gli abitanti trovarono naturale cercare rifugio sulle Alpi Apuane e, segnatamente, nella zona di Stazzema, delle Mulina e del Cardoso.

Sulla catena montana, che si estende dal Gabberi al Monte Ornato, operava la 10ª bis Brigata Garibaldi «Gruppo Gino Lombardi». La Brigata aveva già subito pesanti perdite in duri scontri con i nazifascisti. Gino Lombardi e Piero Consani, i due precedenti comandanti del raggruppamento partigiano, erano ambedue caduti in imboscate tese dal nemico su delazione delle spie fasciste.

I rastrellamenti tedeschi, iniziati nella zona di Pontestazzemese, si accingevano ad investire adesso il comune di Stazzema. Il 24 luglio 1944 una pattuglia tedesca, scesa dal Matanna, ebbe un rapido e violento scontro con una pattuglia partigiana che svolgeva un normale servizio di perlustrazione nella cittadina di Stazzema. I tedeschi ebbero la peggio e si dettero alla fuga. Lasciarono sul terreno due morti. II giorno dopo, le truppe germaniche investirono il paese di Stazzema, limitandosi tuttavia ad ordinarne l’evacuazione. II 30 luglio ingenti reparti di SS, al comando del maggiore Walter Reder, attaccarono il caposaldo Nord-Occidentale dello schieramento partigiano sul Monte Ornato. La brigata resistette per tutto il giorno agli attacchi tedeschi, subendo tuttavia numerose perdite. AI tramonto i tedeschi furono costretti a ritirarsi.

Il 31 luglio, un reparto tedesco entrò in Farnocchia. Il loro comandante intimò alla popolazione di abbandonare il paese entro due ore. La pattuglia germanica fu attaccata poco dopo nelle selve sottostanti, da una squadra partigiana. Le SS lasciarono sul terreno cinque morti. La popolazione, in previsione della inevitabile rappresaglia, abbandonò il paese. All’alba del 1° agosto un reparto di SS, forte di circa cento uomini, si diresse verso Farnocchia. II fuoco di sbarramento di un considerevole gruppo partigiano li costrinse a ritirarsi dopo due ore di combattimento. L’attacco tedesco fu rinnovato il 2 agosto con l’appoggio di mortai. Nonostante le gravi perdite subite, i partigiani rimasero sulle loro posizioni. I tedeschi si ritirarono sul far della sera.

In conseguenza del rilevante numero di caduti, la brigata ricevette l’ordine di ritirarsi sul versante della Lucchesia. Un piccolo reparto partigiano si rifiutò di partire e decise di attestarsi sul Monte Gabberi. I soldati germanici, avvertiti da una spia polacca infiltrata nella brigata, l’8 agosto sferrarono l’attacco. Dopo un intenso bombardamento, concentrato nella zona di Farnocchia e delle Mandrie, le SS accerchiarono il quadrilatero. II violento combattimento fra alcune centinaia di tedeschi e l’esiguo reparto partigiano non si protrasse a lungo. AI termine dello scontro i partigiani furono sopraffatti. Molti di essi, fra cui la giovanissima Cristina Agrimanni, caddero con le armi alla mano. Altri riuscirono a filtrare attraverso le linee tedesche. AI ritorno dalla battaglia, i germanici entrarono in Farnocchia deserta. L’intero paese fu dato alle fiamme.

Monumento ossario a Sant’Anna di Stazzema (da https://it.wikipedia.org/wiki/ Eccidio_di_Sant%27Anna_di_Stazzema# /media/File:Santanna_mahnmal.JPG)

Frattanto gli abitanti di Sant’Anna, rassicurati formalmente dal comando tedesco, erano rientrati in paese. La situazione sembrava essersi normalizzata; la vita continuava come prima.

All’alba del 12 agosto, centinaia di tedeschi al comando del maggiore Walter Reder, comandante del 16° Battaglione della 16ª Divisione SS, circondarono tutto il territorio di Sant’Anna, Le Case, Argentiera, Franchi, Vaccareccia, Coletti, Bambini, Colle, Sennari, Pero, Molini.

Avevano le uniformi mimetizzate ed il volto nascosto da una fitta rete, come si conviene agli autori dei più nefandi assassinii. Fra loro si trovavano numerosi italiani in divisa da SS. Erano in pieno assetto di guerra: lanciafiamme, mitragliatrici, machine-pistole, bombe. Al segnale di alcuni razzi luminosi, piombarono contemporaneamente su Sant’Anna e sulle altre piccole frazioni.

Gli abitanti della località Le Case furono rastrellati e ammassati in tre piccole stalle nei pressi della Vaccareccia. Qui furono uccisi a colpi di bombe a mano e di mitraglia. I cadaveri furono cosparsi di benzina e dati alle fiamme. Alcune donne vennero denudate e sventrate. Altre furono impalate. Bambini di pochi mesi furono afferrati per le gambe e sfracellati contro il muro.

A Coletti, la giovane sposa Genny Marsili, mentre veniva compiuto il massacro, si tolse uno zoccolo e lo gettò contro le SS, poi cadde squarciata da una raffica.

Genny Marsili raffigurata nel disegno di Carlo Levi nell’atto di lanciare uno zoccolo contro un soldato tedesco che stava entrando nella stalla, in cui erano state rinchiuse una quarantina di persone, per impedire che potesse scorgere il figlioletto nascosto in un anfratto dietro la porta. Il soldato finì con una scarica Genny ma non scorse il bimbo, la stalla venne data alle fiamme e Mario, il figlioletto, pur avvolto dalle fiamme che piagarono il suo corpo, riuscì a salvarsi. Il lancio dello zoccolo contro gli aguzzini è diventato simbolo del coraggio contro la crudeltà nazifascista.

A Sant’Anna la gente fu riunita in piazza della chiesa. Le mitragliatrici aprirono il fuoco, massacrando donne, vecchi, bambini. Quindi, sulle vittime ancora agonizzanti, gettarono strame, paglia e benzina. Mentre un immenso e nauseabondo rogo ardeva, il parroco, don Innocenzo Lazzari, tenendo in alto il cadavere straziato di un bimbo di pochi mesi, accennò un gesto di benedizione. Lo uccisero e lo gettarono tra le fiamme.

Durante il rogo i tedeschi, riuniti nella canonica, mangiarono e si ubriacarono divertendosi al suono di un organino. Il parroco di La Culla, don Giuseppe Evangelisti, recatosi il giorno dopo a Sant’Anna con alcuni volontari, si trovò dinanzi ad uno spettacolo orrendo.

Riportiamo la sua testimonianza: «Quando arrivai io, nel pomeriggio del giorno 13 trovai, intorno alla croce di marmo che si erge sulla piazza medesima, un gran cumulo di cadaveri arrostiti, irriconoscibili. Durante il loro seppellimento, che feci il giorno appresso mediante l’opera volenterosa di trentadue uomini, non potei tener conto che dei teschi, risultanti in numero di 132, in quanto i cadaveri non erano ormai che un orripilante ammasso di carname in avanzata putrefazione. Furono distinti soltanto i cadaveri di 24 donne e i teschi di 32 bambini».

A quaranta anni di distanza da questa strage emblematica, che è un episodio di guerra, eppure travalica l’orrore della guerra per rigettarci in un mondo di barbarie, siamo rimasti smarriti, offesi, leggendo i giudizi impietosi, spesso infamanti, nei riguardi della Resistenza. Si è scritto che la strage di Sant’Anna fu originata dallo scontro di un reparto partigiano e una pattuglia germanica avvenuto il 24 luglio 1944. Niente di più falso. Catalogare l’eccidio di Sant’Anna fra quelli che furono commessi per rappresaglia è antistorico e menzognero per due motivi: 1) l’ultimo conflitto a fuoco fra tedeschi e reparti partigiani era avvenuto dieci giorni prima della strage; 2) l’altissimo numero di bambini (91, da tre mesi a dodici anni) e di donne ferocemente trucidate (166) non riescono a giustificarsi con la semplice azione di rappresaglia.

Del resto, la stessa bestiale tecnica usata a Sant’Anna (560 morti), fu poi ripetuta dalle SS di Walter Reder a Vinca, con 173 morti; a San Terenzo Monti, con 163 morti; a Valla, con 107 morti; alle Fosse del Frigido, con 162 morti; a Bergiola, con 102 morti; a Marzabotto, con 1.830 morti. Non si trattò quindi di rappresaglia ma di un piano freddamente premeditato che rispondeva a precise esigenze di carattere militare, terroristico e sperimentale: creare una zona di «terra bruciata» lungo la Linea Gotica; stroncare l’attività partigiana attraverso il feroce annientamento della popolazione; mettere in pratica le teorie della distruzione totale, studiate nelle scuole militari naziste e già sperimentate in molti villaggi russi e jugoslavi.

Il gonfalone del Comune di Stazzema insignito di Medaglia d’Oro al Valor Militare (da https://it.wikipedia.org/wiki/Eccidio_di_Sant% 27Anna_di_Stazzema#/media/ File:Gonfalone_del_comune_di_Stazzema.jpg)

Si mediti per un attimo sull’orrendo massacro di Valla avvenuto il 19 agosto, sette giorni dopo la strage di Sant’Anna, noto come la «strage degli innocenti» in cui fra le 107 vittime si contarono 56 neonati.

Il massacro fu accompagnato, come al solito, dal suono osceno di un organetto che era divenuto il tragico simbolo delle belve naziste di Reder. Si trattò forse di rappresaglia?

Certo la guerra è sempre il prodotto di una follia sanguinaria, sia che essa abbia come fine interessi espansionistici o l’asservimento di altri popoli, ma le stragi come quella di Sant’Anna hanno un’impronta che non si può dimenticare: il fanatismo sanguinario dell’ideologia nazista.

La teoria del “superuomo” condizionò a tal punto intere generazioni di giovani da farne degli assassini spietati. Creò dei «mostri» con la svastica al posto del cuore, dei robot che portarono ovunque la distruzione e la morte.

Le vittime di Sant’Anna ci invitano perciò a ricordare, non per alimentare l’insano sentimento dell’odio, ma perché mai più simili sciagure possano colpire l’umanità.

Con il loro muto linguaggio, ci inviano un messaggio di libertà, di fratellanza, di pace e un severo ammonimento per tutti i potenti della terra.

(da Patria indipendente n° 19 del 18 novembre 1984)