Muntaser Ibrahim nel 2014

Dopo 29 anni di, nel dicembre 2018 è scoppiata una protesta popolare spontanea in tutto il Sudan (Repubblica del Sudan, capitale Khartoum, separata dal Sud del Sudan dal 2011). La scintilla è stata la decisione del governo di aumentare i prezzi dei combustibili e delle derrate alimentari. Il movimento si è rapidamente trasformato in una vera e propria rivoluzione pacifica, con degli obiettivi precisi. Il 1° gennaio 2019 il raggruppamento di tutte le forze democratiche del paese raggruppamento di tutte le forze democratiche del paese (“Libertà e Cambiamento”, in arabo al-ḥurriya wa al-taghīīr) ha pubblicato una dichiarazione in fieri che contiene le basi di un programma politico. Eccone i punti principali: continuare la rivoluzione pacifica fino alla caduta del regime; pace e cessazione di tutti i conflitti [1]; diritto al ritorno e indennizzo dei rifugiati; miglioramento dell’economia del Paese: sviluppo, servizi sociali (sanità, educazione, alloggi); fine della discriminazione verso le donne [2]; Stato di diritto, multipartitismo, divisione dei poteri, indipendenza del potere giudiziario; rispetto del diritto internazionale [3]; miglioramento delle relazioni esterne, con priorità a quelle con i “Fratelli del Sud”; formazione di un governo di unità nazionale per 4 anni e di una Assemblea Costituente.

I firmatari delle dichiarazione sono: l’Associazione sindacale dei Professionisti (medici, ingegneri, avvocati…), ovvero una parte importante dell’intellighenzia del Paese; l’Appello per il Sudan (Nidā’ al-Sūdān, che comprende fra gli altri il partito Umma, la “Nazione”, guidato dal leader storico Ṣādiq al-Mahdī); il Consenso Nazionale (coalizione comprendente il Partito Comunista); gli Unionisti (coalizione di cui fa parte il Partito Democratico Unionista, favorevole al nazionalismo arabo). Naturalmente non aderisce alla dichiarazione il Partito dei Fratelli Musulmani, che partecipò al governo di islamista al Bashir fino al 1996, per continuare a esercitare un’influenza negli anni successivi. Il carattere laico e progressista della coalizione è un elemento molto importate della scena politica sudanese.

Pur essendo un Paese alla periferia del mondo arabo e con un’economia disastrata da decenni di guerre e di corruzione, in Sudan è in atto una vera a propria rivoluzione con una leadership organizzata, determinata a superare le differenze delle sue componenti, per l’instaurazione di un governo democratico e progressista. Per capire questo fenomeno è necessario tenere presente il fatto che la classe democratica sudanese ha una grande maturità politica, che proviene da una lunga tradizione di rivoluzioni democratiche nel corso del XX secolo: dapprima la lotta anticoloniale, poi le lotte sindacali, l’Unione delle donne sudanesi, un partito comunista ben radicato e con un chiara ideologia nazionale, un movimento nel Sud del Sudan (SPLA) che si batteva per un Sudan unito e laico [4], un prima rivoluzione pacifica e democratica nell’ottobre del 1964 (nota come “Rivoluzione di Ottobre”) che rovesciò la dittatura militare di Abboud, e un’altra rivoluzione pacifica e democratica nel 1985 che rovesciò la dittatura militare islamista di Numayri.

É necessario chiarire un elemento che spesso sfugge all’opinione pubblica europea, e cioè il fatto che i cambiamenti progressisti nel mondo arabo sono necessariamente laici e rifiutano la strumentalizzazione politica della religione. Ricordiamo che a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, sia l’amministrazione USA che l’Arabia Saudita si impegnarono a sostenere il fondamentalismo islamico in tutto il mondo arabo (e in Asia), con l’obiettivi di distruggere il socialismo arabo (rappresentato simbolicamente dell’Egitto di Naser) e i forti sentimenti antiimperialisti delle popolazioni [5]. I movimenti islamici, salvo rare eccezioni, per la loro ideologia antidemocratica e per il loro programma sociale antipopolare e reazionario, possono considerarsi come una forma di fascismo. Spesso l’opinione pubblica progressista europea, in reazione all’islamofobia diffusa, è tentata dall’esprimersi in favore del cosiddetto “Islam politico” senza capire che questo in realtà, seppur nelle sua versioni “moderate”, rappresenta le forze reazionarie nei vari contesti nazionali e nel contesto internazionale.

Il 21 febbraio scorso è stato arrestato Muntaser Ibrahim, professore di Biologia Molecolare all’Istituto Malattie Endemiche di Khartoum, membro della Accademia Mondiale delle Scienze, collaboratore dell’International Center for Genetical Engineering di Trieste, vincitore nel 2014 del prestigioso premio RAO del CNR, autore di numerosi studi sulla genetica delle popolazioni in collaborazione con Luigi Luca Cavalli Sforza. Cardiopatico, Muntaser Ibrahim necessita di particolari cure. Il suo arresto, per avere espresso le sue opinioni pacifiche e democratiche, è volto a colpire l’intellighenzia del Paese per privarlo della capacità di affrontare l’enorme sfida che deve affrontare. I prigionieri politici, fra intellettuali, professionisti e militanti sarebbero circa 3000.

Preoccupante è il silenzio dei media nazionali e internazionali sulla rivoluzione democratica in Sudan. Molto importante è l’impegno dell’Anpi, vera e propria forza di avanguardia nell’attuale panorama politico italiano, al fianco dei democratici sudanesi, il primo passo perché le nostre istituzioni, a livello nazionale e europeo, facciano pressione su governo di al Bashir perché rispetti i diritti umani liberando immediatamente Muntaser Ibrahim e tutti gli intellettuali e i democratici arrestati in Sudan.

Giovanna Lelli, dottoressa di Ricerca in Studi Iranici (Istituto Orientale, Napoli), attualmente “Invited Professor”al Dipartimento di Studi Arabi e Islamici dell’Universita di Lovanio KUL (Belgio)


[1]  Ricordiamo, dopo la sanguinosa Guerra con il Sud del Sudan che portò alla secessione dei quest’ultimo nel 2011, il conflitto nel Dārfūr e, più  di recente la partecipazione del Sudan all’intervento militare saudita in Yemen (2015-), paese di importanza geostrategica, a cui partecipa attivamente  anche l’esercito USA. Probabilmente come ricompensa alla partecipazione del Sudan alla guerra, nel 2017 gli Stati Uniti hanno revocato le sanzioni economiche ad imposte al paese nel 1997 con l’accusa di sponsorizzare il terrorismo.

[2] La discriminazione verso le donne, come la repressione sociale in generale, viene esercitata attraverso le cosiddette “leggi islamiche”, che sarebbe meglio definire come leggi repressive che traggono legittimità dalla religione usata come strumento politico.

[3] Ricordiamo che nel 2009 la Corte Penale Internazionale nel 2009 ha emesso un mandato di arresto internazionale nei confronti di al-Bashir, accusato di crimini contro l’umanità e genocidio per il conflitto nel Dārfūr.

[4]  Il leader del SPLA, John Garang, contrario alla secessione del Sud e favorevole all’unità nazionale, morì in un incidente aereo nel 2006.

[5] Fra le numerose pubblicazione che documentano quanto affermato si veda George Corm, La Nouvelle Question d’Orient (Paris: La Découverte, 2017).