Raffaello Ramat

Raffaello Ramat nasce il 26 giugno del 1905 a Viterbo. Viterbese è sua madre, Giulia Scardigli. Suo padre Silverio, nativo della Val di Susa (ma la famiglia è originaria della Francia), si trasferisce a Firenze nel 1910.

Le condizioni economiche familiari si fanno precarie dopo che Silverio, capitano dell’esercito, ferito durante la guerra di Libia, viene congedato. Occorre che l’unico figlio maschio (le due sorelle sono Luigia, nata nel 1903, e Maria quattro anni dopo) consegua al più presto un diploma che gli permetta di trovare un impiego sicuro. Il ragazzo si iscrive dunque all’Istituto Tecnico per ragionieri, in via Giusti, dove concluderà gli studi nel 1922. Sapeva che non era quella la sua strada, coltivando già in quegli anni la passione per la letteratura. Tra i suoi docenti c’è il poeta Diego Garoglio (collaboratore del “Marzocco”), che lo incoraggia in questa inclinazione. Sono anni duri, è difficile procurarsi anche il denaro per acquistare i libri scolastici. Nella sua classe c’è una ragazza, Wanda Pieroni, con la quale si sposerà nell’agosto del ’26. Ambedue intimamente ‘dannunziani’, come tanti loro coetanei, amano del Vate perfino certi stilemi (per esempio scrivendo non “Firenze” ma “Fiorenza”!). Ed è per devozione a lui che nel 1920 il quindicenne Raffaello con l’amico Mario Macchioni (più tardi suo cognato) partono alla volta di Fiume per unirsi al D’Annunzio che ne ha assunto la “reggenza”. Ma la polizia li riacciuffa in Romagna, ponendo termine al loro avventuroso progetto.

Sempre rifiutando la prospettiva di impiegarsi come ragioniere, Raffaello nel 1923 si arruola volontario negli Alpini. Al ritorno dal biennio di leva, insieme a Wanda si prepara a sostenere da esterno il concorso magistrale. L’esito è brillantissimo: lei riesce terza, lui sesto nella graduatoria nazionale. Dopo il matrimonio (nell’anno stesso in cui Raffaello esordisce come poeta) scelgono fra le sedi toscane la scuola elementare di Bagnolo, piccolo borgo nella zona del Monte Amiata. Lì vivranno fino al 1928 in una stanza con uso di cucina.

Nel corso del servizio militare Raffaello aveva conosciuto un comasco, Luigi Severgnini, che ora gli propone di chiedere per il 1928-29 un comando. Benché non abbia la tessera del Partito nazionale fascista, dovrebbe svolgere funzioni sindacali per la categoria dei maestri, ovviamente inquadrata nelle istituzioni scolastiche del regime. Accetta la proposta e, con la moglie, si trasferisce a Como, dove il 23 febbraio del 1929 nasce la prima figlia, Màggiola, familiarmente chiamata Giò (Severgnini sarà il suo padrino di battesimo).

Terminato l’anno di comando, i coniugi e la bimba tornano a Bagnolo; ma sarà un soggiorno breve. Quando il 25 gennaio del ’31 nasce Marco, i Ramat sono di nuovo a Firenze, ospiti dei genitori di Wanda nel viale Volta, lo stesso rione dell’appartamento di via Dino Compagni, nel quale si trasferiranno qualche tempo dopo. Il 3 agosto 1936 nasce Paolo, il terzogenito. L’anno successivo, un nuovo trasloco: in via Aurelio Saffi, nei pressi dello Stadio comunale (e lì abiteranno fino al 1956).

Nel 1931 Raffaello si iscrive a Firenze alla facoltà di Magistero, dove segue in particolare le lezioni di Luigi Russo, che elegge a proprio maestro. Nel 1935 si laurea in letteratura italiana (relatore Mario Fubini, poiché Russo nel frattempo è passato alla Normale di Pisa). L’anno seguente pubblica una monografia, “Sismondi e il mito di Ginevra”, che lo segnala fra i più validi studiosi della sua generazione. Frequenta, al caffè delle Giubbe Rosse, gli scrittori e gli artisti fiorentini ma con qualche diffidenza per quella che oggi si direbbe l’autoreferenzialità delle arti e della poesia.

Nel 1937, risultando primo a livello nazionale, vince il concorso magistrale per l’insegnamento di Italiano e Storia ed è chiamato a Forlimpopoli, sede allora di particolare importanza in quanto “feudo” di Mussolini, ch’era nato da quelle parti. E appunto il Duce farà visita in quell’anno all’Istituto in cui insegna Ramat (che su quell’avvenimento scriverà poi una vivace e polemica rievocazione). Nel 1938 ottiene il trasferimento a Firenze, all’Istituto Magistrale Giovanni Pascoli (dove insegnerà fino al 1958). Nel 1940 pubblica un’antologia dell’opera del Petrarca e uno dei suoi saggi critici più rilevanti: “Alfieri tragico-lirico”.

Il 2 ottobre del ’39, quarto e ultimogenito, nasce Silvio. Mentre la situazione economica familiare continua ad esser pesante (e Raffaello si sobbarca un superlavoro assolvendo incarichi di responsabilità con diversi editori, in ispecie Sansoni e Vallecchi), sulla metà del decennio 30 comincia il suo percorso politico vero e proprio. Conosce Nello Rosselli, fa amicizia con Pietro Pancrazi e Piero Calamandrei, insieme ai quali prende l’abitudine delle passeggiate domenicali nei dintorni di Firenze. Matura in lui l’adesione al movimento rosselliano di “Giustizia e Libertà”, primo nucleo del futuro Partito d’Azione. Nel 1941, con Alberto Carocci, fonda la rivista Argomenti, luogo di raccordo fra illustri collaboratori avversi al regime. Argomenti cesserà le pubblicazioni col 25 luglio del ’43, lasciando in bozze un ultimo fascicolo (poi recuperato nell’edizione anastatica curata nel 1979 da Saveria Chemotti).

Ramat viene arrestato una prima volta nel gennaio 1942. Condannato per “cospirazione”, esce dal carcere dopo alcuni mesi ma deve scontarne poi tre di confino. Nell’estate del ’42 a Larino, in Molise, tutta la famiglia lo segue. Il secondo arresto, nella primavera del ’44, è più drammatico: Raffaello cade nelle mani del maggiore Carità e della sua feroce banda (della quale subisce le torture). Ma il caos di quei giorni, col fascismo che presagisce l’imminente disfatta e si prepara alla fuga, fa sì che i suoi carceratori non si accorgano di aver catturato un recidivo e finiscono per liberarlo. Col nome di battaglia di Maurtias, nelle campagne a sud della città, Raffaello è a capo di una formazione partigiana, la brigata “Sinigaglia”. Ha con sé un gruppo di giovani, quasi tutti contadini e comunisti; molti sono renitenti alla leva repubblichina. Mentre, poco distante, la famiglia è sfollata in una casetta dei suoceri in una frazione dell’Antella, Ramat partecipa ai combattimenti per la liberazione di Firenze, dove entra con le altre formazioni partigiane l’11 agosto 1944.

Tra il 1945 al 1947 riprende l’insegnamento, ma intensissimo è il suo contribuito alle vicende del Partito d’Azione, sorto in clandestinità nel ’44. Esplica un assiduo lavoro politico nelle province di Firenze e di Siena all’approssimarsi delle elezioni del 1946. Scioltosi il PdA sul finire del ’47, aderisce nel ’48 al Partito socialista italiano (Psi). Non ne condivide la scelta di federarsi col Partito comunista italiano (Pci) ci nelle elezioni del 18 aprile 1948, che avranno un esito disastroso per la Sinistra italiana.

La sua attività di studioso, pur nel moltiplicarsi degli impegni, non si è interrotta. Pubblica fra l’altro saggi sul Guicciardini e sul Tasso, edizioni commentate dell’Ariosto e del Petrarca. E nel 1958 (primo nella terna dei vincitori) ottiene la cattedra di letteratura italiana: il concorso era bandito dall’università di Salerno, dove però rimane per un anno soltanto, chiamato dal novembre 1959 alla facoltà di Magistero di Firenze.

Negli anni 50 è fervida la partecipazione di Ramat alla vita culturale e soprattutto politica della città. Collabora alla terza pagina del Nuovo Corriere di Romano Bilenchi. Consigliere comunale dal 1951 al 1956, dirige La Difesa, organo della federazione del Psi fiorentino, di cui sarà anche il segretario. Nelle amministrative del ’56, candidato in consiglio comunale alla carica di sindaco coll’appoggio dei due partiti di sinistra, nella seduta decisiva ottiene lo stesso numero di voti (27 contro 27) dell’uscente Giorgio La Pira, che a norma di regolamento, essendo più anziano del suo competitore, viene però confermato alla guida della città. Ma dopo il risultato delle elezioni successive (1960) Firenze sarà la prima città italiana a sperimentare un governo di centrosinistra: il sindaco è ancora La Pira ma nella sua giunta vi sono quattro esponenti socialisti. Ramat diventa assessore alla Cultura e alle Belle Arti (nuova denominazione da lui stesso voluta). Nel quadriennio in cui assolve a questo incarico organizza i centenarii di Michelangelo, di Galileo, di Dante. Tra le iniziative da ricordare, spicca anche il Maggio Musicale del 1964, dedicato all’Espressionismo.

Membro del Comitato centrale del Psi, è contrario al riavvicinamento tra Pietro Nenni e Giuseppe Saragat. Così nel 1966, disamorato della politica locale e nazionale, non prende la tessera del Partito Socialista Unitario, nato dalla fusione tra Partito socialista italiano e Partito socialdemocratico italiano (e destinato ad aver vita brevissima).

Nel marzo del 1966 muore, novantasettenne, Silverio Ramat. La perdita del padre induce Raffaello a scrivere una lettera che è una sorta di confessione testamentaria. I figli la troveranno fra le sue carte alla morte di lui, avvenuta in un incidente sull’Autostrada del Sole, nei pressi di Orvieto, il 2 maggio del 1967.

Questo profilo è stato redatto dopo aver consultato Paolo e Silvio, figli di Raffaello Ramat.

Paolo Ramat (1936), già professore ordinario di Glottologia e Linguistica nell’università di Pavia;

Silvio Ramat (1939), professore emerito di Letteratura Italiana Contemporanea all’Università di Padova