Il celeberrimo autoritratto di Giovanni Verga (1887)
Il celeberrimo autoritratto di Giovanni Verga (1887)

Molti anni fa, quando per la prima volta, entrai nella casa di Giovanni Verga a Catania, ero emozionatissimo. Dovevo cercare e studiare certe sue fotografie che erano state viste da un paio di giornalisti, ma che, ad un certo momento della ricerca, si erano fermati: troppe cose da controllare, da verificare, troppi raffronti, troppe casualità. Era necessario procedere ad un lavoro più dettagliato e dunque più lento e impegnativo.

Davvero il grande maestro del verismo italiano era stato anche un appassionato fotografo? E perché, e in quali circostanze? Che rapporti Verga aveva avuto con la fotografia e che cosa aveva rappresentato per lo scrittore dei Malavoglia, della “Storia di una capinera”, del “Mastro don Gesualdo”, della “Vita dei campi” e del programmato e mai concluso “ciclo dei vinti”, quel piazzarsi dietro un panno nero e scattare fotografie, per molti anni, all’inizio del ’900?

Alla fine, dopo aver buttato all’aria molte cose in casa Verga, venne fuori una banale cassetta di legno piena di lastre fotografiche, quasi tutte integre, che era rimasta per anni in un angolo. Erano davvero le foto di Giovanni Verga. Spero che quella cassetta sia ancora al suo posto visto che ogni tanto qualcuno “mette misteriosamente in vendita”, carte, lettere, appunti e copie di racconti del maestro, come accade in questi giorni da Chyristie’s a Parigi. Sarebbe una vergogna se anche le foto finissero in mano ai privati.

Comunque, il giorno straordinario della scoperta della cassetta delle lastre di Verga, avevo con me alcuni appunti del maestro per confrontare la sua grafia con quella che appariva sulle carte nelle quali le lastre erano state riposte. Era identica. Su quelle carte, Verga aveva appuntato i tempi di posa utilizzati, la marca del materiale fotografico e le relative didascalie. Un lavoro ben fatto da parte di un autentico appassionato. Nella cassetta di legno c’erano anche un paio di obiettivi, e prodotti chimici per lo sviluppo.

Dopo mesi di lavoro vennero fuori i rapporti diretti e continui con altri due maestri del verismo italiano: Luigi Capuana e Federico De Roberto. Rapporti notissimi, certo, ma io sto parlando di rapporti fotografici. Verga considerava Capuana il suo maestro dietro la macchina fotografica e chiedeva consigli sui prodotti da utilizzare e sul “fare fotografia”. Stessa cosa con De Roberto che poi, per un suo celeberrimo libro (“Randazzo e la Valle dell’Alcantara”), utilizzerà fotografie da lui direttamente scattate. Capuana, notoriamente interessato al soprannaturale e all’esoterismo, arriverà al punto di riprendere la madre appena morta, dopo averla rivestita con un costume siciliano. Quindi niente di casuale o di improvvisato, ma una vera e autentica passione per quel “nuovo mezzo daguerriano”, capace di rendere autentici brandelli di realtà su una semplice lastra di vetro.

Nella storia della fotografia i grandi maestri della pittura che hanno utilizzato l’immagine ottica, sono stati centinaia: da Degas a Picasso. Chi non aveva una lira e non poteva permettersi una modella in carne e ossa, utilizzava fotografie. Anche tra i grandi scrittori i fotografi sono stati tantissimi: Zola, Strindberg e London per esempio. Strindberg voleva addirittura realizzare una grande inchiesta fotografica sui contadini francesi, ma non ci riuscì mai.

Credo che non molti abbiano visto le fotografie di Verga anche se, anni fa, organizzammo almeno due mostre. Ma ancora oggi, riguardandole o “rileggendole” appaiono straordinarie per molti motivi.

Intanto, raccontano moltissimo sul verismo verghiano perché riprendono contadini, campieri, lavoratori in genere, vedute di Vizzini e di Catania, gente messa in posa, donne di servizio, parenti, gruppi di persone, ambienti. Osservando tutto con cura si possono vedere i costumi, il modo di vestire o di atteggiarsi davanti alla macchina fotografica. Alcune delle immagini compongono inquadrature mille volte riprese dal cinema di Visconti e del neorealismo. Altre ricordano, a tutto tondo, personaggi di tante novelle verghiane o simboleggiano il cuore di tanti suoi testi.

Alcune delle foto di Verga appaiono sciatte e con inquadrature sbagliate, come se il maestro del verismo non si occupasse affatto della tecnica fotografica, ma prima di tutto dei contenuti. Ed è sicuramente così.

Le ipotesi sul lavoro fotografico di Verga (le lastre al bromuro ammontano a qualche centinaio) sono tante e lo ho centellinate a lungo per molto tempo. Quella più chiara e netta che emerge è che il maestro del verismo, quando era a Firenze, a Roma o a Milano, avesse un continuo bisogno di avere a portata di mano il “suo mondo”, quello dei suoi romanzi e delle sue novelle. Avesse, insomma, l’urgente necessità di “leggere” quei volti, di occhieggiare tra i massari e i contadini, tra le serve di casa e le strade di Vizzini o di Mascalucia. O di vedere il viso soddisfatto della cognata che, in nome della “roba”, siede in mezzo al podere di proprietà.

Le fotografie, dunque, ancora una volta, come un “appunto” straordinario per creare opere straordinarie.

 Wladimiro Settimelli, giornalista, già direttore di Patria Indipendente


Le fotografie scattate da Giovanni Verga

(clicca sull’immagine per ingrandire e leggere la didascalia)