Irene capelli cortiLa prima volta che ho cantato Bella ciao! avevo circa tre anni. Mia madre aveva fatto partire il registratore senza che me ne accorgessi e così è restata, incisa su un nastro ormai logoro, la voce di una bambina che, giocando, cantava una canzone senza conoscerne tutte le parole (intervallate qua e là da dei “nananananà”) e senza capirle del tutto.

Le ho capite anni dopo e, ripensandoci, mi accorgo che non era importante, allora, comprendere a fondo il senso di quel canto: l’importante era che fosse stato trasmesso, appreso come una filastrocca, una ninnananna, una fiaba in cui c’era l’essenziale: il buono e il cattivo, il “partigiano” e l’“invasor”.

È così, come se fosse una fiaba, che andrebbe raccontato ai piccolissimi il 25 aprile: il suo essere esito e compimento di una lotta durata vent’anni in silenzio e venti mesi in armi, dentro una guerra ancora più grande, mondiale.

Le fiabe, infatti, sono da sempre un repertorio di desideri e paure che conserva, surrogata, la memoria di antichissimi riti di iniziazione, coi quali si sanciva il passaggio dall’infanzia all’età adulta; un passaggio marcato da prove difficili sia dal punto di vista fisico che psicologico per le quali erano necessari abilità e coraggio da parte dei giovani protagonisti.

Nell’immaginazione i giovani sono diventati eroi ed eroine e i grandi che imponevano divieti e ostacoli sono diventati orchi, streghe e lupi.

Oltre a questo significato storico e antropologico, le fiabe ne hanno uno anche psicologico: insegnano ai bambini ad affrontare la realtà fornendo loro dei modelli, a distinguere il bene dal male, il falso dal vero, conoscendo meglio se stessi e gli altri.

È proprio questo l’obiettivo che si sono posti il regista premio oscar Bernardo Bertolucci e i partigiani Ibes Pioli (“Rina”) e Renato Romagnoli (“Italiano”) nello scrivere il libriccino I miei primi 25 aprile, edito dalla bolognese “L’io e il mondo di TJ” e in libreria dallo scorso 1 aprile.

Partendo dalle domande che un bambino si può porre nel 2016, quando nemmeno i suoi nonni sono più testimoni di quanto avvenuto più di settant’anni fa, come “Perché il 25 aprile si sta a casa da scuola?”, gli autori hanno ripercorso attraverso gli aneddoti e i ricordi personali la storia d’Italia dal ventennio fascista alla Liberazione per opera della Resistenza.  Ed è davvero come ascoltare una fiaba (terribile e liberatoria come sono tutte le fiabe) e insieme il mito fondativo di una nuova civiltà: i giovani italiani prendono sempre più coscienza dell’autoritarismo liberticida del regime fascista, della sua connaturata violenza e del suo moralismo censore, tipico di un padre-padrone; per molteplici ragioni – ideologiche o ingenue – qualcuno comincia, disobbedendo di nascosto, a resistere; le leggi razziali e poi l’entrata in guerra accelerano lo schiarirsi delle idee fino a quando, con l’8 settembre, quei giovani non diventano partigiani, si mettono tutti insieme e la Resistenza può finalmente uscire allo scoperto, armarsi e farsi una e unica per il fine di avere libertà e pace.

Come nei riti di iniziazione trasposti nelle fiabe, anche la Resistenza e la lotta di Liberazione davvero segnarono il repentino passaggio dall’infanzia all’età adulta per moltissimi giovani italiani e non c’è bisogno di esplicitare il parallelo tra gli ostacoli della finzione narrativa e quelli concreti e letali che con coraggio i partigiani decisero di affrontare.

Non tutti riuscirono a superare quelle prove – le fucilazioni, le torture, le soffiate delle spie –, alcuni si persero, ma tutti loro scelsero comunque e generosamente di rischiare fino al sacrificio il proprio lieto fine in nome di quello più grande che desideravano fosse riservato alla loro patria. I ribelli si trasformarono così in patrioti: l’aver deciso di resistere e combattere, l’aver messo a disposizione teste cuori braccia e gambe per la libertà e la pace del loro Paese, rese possibili altre crescite, altre conquiste: l’emancipazione delle donne, per esempio, e l’uscita dallo stato di minorità di un’Italia che fino ad allora era stata monarchia e regime totalitario, ingiusto e diseguale, ma che ora poteva scegliere – come scelse – di essere Repubblica democratica, saldamente fondata su di una Costituzione intrinsecamente antifascista e plurale, attenta ai deboli e alle minoranze, solidale e pacifista.

Con la supervisione dello storico Claudio Silingardi, direttore dell’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia (Insmli), la partigiana Rina, il partigiano Italiano e il regista dell’indimenticabile Novecento tessono per i piccoli italiani di oggi la trama di una storia bellissima, quella del nostro Paese che si rende libero. Hanno deciso di raccontarla ai bambini, aiutati da tanti disegni colorati, perché sentono il rischio che essa sbiadisca via via che passano gli anni e le generazioni.

Ascoltare e imparare questa storia, poi, non serve solo a conoscere il passato ma fornisce strumenti e criteri buoni a smontare il presente per capirlo e ad assemblare il futuro migliore che possa saltare in mente. Per esempio questa storia insegna a distinguere ancora una volta buoni e cattivi, giusti e sbagliati: razzismo e mafia sono cattivi, solidarietà e giustizia sono buoni; da soli si perde, insieme si vince.

Decidere di raccontare questa storia ai bambini significa metterli a contatto con le radici della loro società, significa familiarizzarli coi valori su cui si regge il vivere civile, significa dare un perché al loro stare a casa da scuola il 25 di ogni aprile. Significa anche sperare che, come ogni fiaba, come ogni filastrocca, anche la loro Storia venga presto e bene memorizzata, canticchiata in casa, magari in famiglie distratte o indifferenti.

Che possano trarre da essa, dagli eroi così umani che l’hanno animata, esempi e modelli di comportamento per resistere a tutto quello che oggi ancora ostacola, in Italia e nel mondo, una più piena libertà e giustizia, invocate settant’anni dopo ancora con le parole e le note di quella vecchia canzone: Bella ciao!