La grave sottovalutazione del caso della “spiaggia fascista”. Il raduno di Forza Nuova a Limena. Fascismo e antifascismo: non solo un capitolo del libro di storia, ma abiti mentali, modi di concepire l’uomo e la società, senza scadenza

Qualcuno in buona fede esclamerà: “Ancora con questa storia della spiaggia fascista?! E basta! Quanto rumore per nulla!”.

E invece no, per due ragioni.

La prima: non è il clamore attorno a questa vicenda a spaventarmi, bensì il suo contrario: non gli strilli dei giornali, ma l’assenza e il silenzio delle istituzioni che permettono – sbadataggine? – il fiorire e vegetare indisturbato di simili fenomeni. Il giorno in cui La Repubblica ha pubblicato il suo articolo, sono fioccate alle varie sezioni Anpi decine e decine di e-mail e telefonate affinché si attivassero per denunciare la gestione fascista del signor Gianni Scarpa nella “sua” spiaggia a Chioggia (“sua” un corno, poiché ce l’ha in concessione dal demanio, dunque è territorio di quella Repubblica democratica che egli infanga e non sua proprietà privata). E le Anpi hanno denunciato a chi di dovere, anzi molto spesso tali denunce erano già state da tempo presentate, ma nel silenzio mediatico e nell’indifferenza delle istituzioni. Del resto questa non è che la versione vacanziera di sempre più numerosi casi affini, in cui ci si aspetterebbe dalle istituzioni quella doverosa reazione prevista dalla Costituzione e dalle leggi Scelba e Mancino che invece manca o tarda. Riporto a questo proposito un fatterello locale, ma buono per prendere il polso della situazione: a Limena (comune di circa 7.000 anime in provincia di Padova) a metà maggio Forza Nuova ha fatto un raduno regionale; il sito era di proprietà del Comune e lì – tra libri su Hitler, simboli e gadget nazifascisti in vendita sulle bancarelle – è stato presentato un libro dell’editrice AR, fondata dal terrorista nero Franco Freda. L’Anpi limenese e il comitato provinciale padovano dell’associazione hanno scritto al sindaco, Giuseppe Costa, affinché impedisse o almeno biasimasse tale iniziativa: la risposta è stata che gli organizzatori avevano presentato tutte le carte bollate e pagato le varie gabelle, cosa non andava dunque? Quando poi, l’Anpi ha tentato di evidenziare la superficialità o – peggio – l’acquiescenza degli amministratori, con un piccolo articolo sul giornalino comunale, il Sindaco lo ha censurato, dicendo che ne usciva un’immagine dell’amministrazione [di centro-destra, ndr] non veritiera e che lui il 25 aprile aveva addirittura tenuto un discorso in cui celebrava l’antifascismo.

Dirò di più, non solo lo celebrava ma invitava a farlo vivere tutti i giorni, non solo alla Liberazione; peccato però che abbia clamorosamente perso una buona occasione per mettere in pratica le sue stesse parole.

E qui arriva la seconda ragione per cui la faccenda nera e sporca della spiaggia fascista non può essere derubricata a un nonnulla o – come vorrebbero molti – a “folklore” goliardico: noi non siamo la Germania, ossia quel Paese che più e meglio di tutti ha voluto fare i conti con il nazismo e la sua storia recente; quel Paese in cui non solo legalmente (ci sono sanzioni immediate e severissime) ma anche nei fatti è inimmaginabile esporre simboli legati o riconducibili a Hitler e al suo lugubre regime, a meno di dichiararsi apertamente neonazisti.

No, noi siamo l’Italia, ossia quel Paese che i conti col regime di Mussolini non li ha mai fatti fino in fondo, quel Paese in cui dal 1946 si è potuto votare Msi, un movimento fondato dai reduci della Rsi, e farlo entrare nel parlamento della Repubblica nata dalla Resistenza; quel Paese in cui a Predappio sciamano ogni anno gruppuscoli di “nostalgici” in pellegrinaggio alla tomba del duce; quel Paese in cui il Comune di Affile fa erigere un mausoleo a Graziani (poi per fortuna è toccato all’ANPI intervenire). Noi siamo quel Paese in cui in cui Facebook pullula di pagine neofasciste, frequentate non da ormai centenari saloini ma da giovani e giovanissimi che incanalano in slogan mortiferi, omofobi e xenofobi incertezze e frustrazioni tipiche dell’età e amplificate dalla crisi in cui siamo in ammollo da anni.

Noi siamo quel Paese in cui moltissimi, non avendo il coraggio di dichiararsi apertamente di destra, la sfangano con una frase che pare essere l’ultima moda della politica 2.0, quella post-ideologica: “Non siamo né di destra né di sinistra”. Invece è spesso solo fumo negli occhi, perché a grattare un po’ si ritrova l’odio per il diverso, un eversivo accanimento contro lo Stato, le sue istituzioni e i partiti tutti indistintamente nominati come “sistema” da abbattere; si ritrova la pericolosissima deformazione del concetto di “sovranità” che è solo il soprannome di “nazionalismo”; si ritrova un odio inspiegabile – o meglio spiegabile con l’ignoranza della storia più elementare – per i “comunisti”, proprio quelli che – lo sapranno? – erano seduti assieme a molti altri nell’Assemblea Costituente che ci ha dato una Carta ricca di diritti e intrinsecamente antifascista.

No signori, catalogare i tanti Gianni Scarpa che nell’Italia del terzo millennio funghiscono sempre più numerosi come semplici nostalgici, ché tanto il fascismo è roba vecchia di 70 anni, è la maniera migliore per buttare il bambino assieme all’acqua sporca, e cioè di liberarsi dell’antifascismo dicendo che il Ventennio è remoto, trapassato, caduto nel lontano 25 aprile 1945.

Chi sostiene questo è, nella maggioranza dei casi, in malafede: da un lato, per esempio, taccia l’Anpi di essere anacronistico cimelio museale e cimitero di elefanti, ma dall’altro affigge striscioni che incitano alla violenza contro i migranti, ringrazia Hitler di aver fatto vincere la propria squadra di calcio, occupa sedi municipali durante i consigli comunali, usa la violenza per i più futili motivi.

Fascismo e antifascismo non sono solo un capitolo del libro di storia, sono abiti mentali, modi di concepire l’uomo e la società, non hanno scadenza. E se qualcuno insinua che proprio in nome della libertà, vessillo dell’antifascismo, si dovrebbero lasciar dire e fare anche i neofascisti, i violenti xenofobi e omofobi, gli si deve rispondere che libertà e tolleranza hanno un limite per chi di esse farebbe strame in nome di regimi davvero liberticidi e dittatoriali.

Sono tempi, questi, in cui l’antifascismo viene messo in discussione e tuttavia esiste e va alimentato e rafforzato proprio a fronte degli oltraggi di cui è bersaglio; guai a credere a chi racconta che non ha più senso di esistere perché retaggio di un passato ormai inattivo. Rileggiamo invece Sergio Luzzato che nel suo libro La crisi dell’antifascismo ammonisce: «Fascismo e antifascismo si allontanano nel tempo. Le nuove generazioni sono sempre meno coinvolte da quello scontro di valori. Ma il futuro nasce dalla storia e non dalla cancellazione del passato. Un Paese maturo può, forse deve, fare i conti con una memoria divisa».