felice-laudadioCi furono due solenni funerali, nel dicembre 1996. Per dare l’ultimo saluto, entrambi, alla stessa persona. Il primo a Parigi, dove quella persona era vissuta per un po’ e dov’era scomparsa. Il secondo a Roma, da dove proveniva. A Parigi centinaia e centinaia di uomini e donne – e fra loro pressoché tutti i nomi più noti e prestigiosi del cinema francese – affollarono la basilica di Saint-Sulpice gremita all’inverosimile. Molte altre centinaia si ammassarono sul vasto sagrato della grande chiesa del Quartiere Latino per ascoltare le parole commosse e doloranti dei colleghi del defunto. Il giorno dopo, a Roma, furono migliaia, molte decine di migliaia le persone – e fra loro tutto il cinema italiano, nel senso letterale – che si affollarono per lunghe ore e in lunghe code, in malinconico e disciplinato silenzio, lungo la scalinata del Campidoglio che portava alla camera ardente allestita per Marcello Mastroianni (non diversamente è andata per Ettore Scola, rimpianto da un interminabile fiume di gente comune alla Casa del Cinema di Roma dove nello scorso gennaio fu allestita la camera ardente).

In quei giorni del dicembre 1996 i quotidiani avevano scolpito sulle loro prime pagine un titolo a caratteri cubitali pressoché uguale per tutti: “Ciao Marcello”. La singolare coincidenza non stupì chi aveva conosciuto Mastroianni. Era una maniera gentile e semplice, e praticamente unanime, di salutare il grande attore che per tutta la sua vita era stato gentile e semplice. Con tutti. Per una volta i giornali fotografarono con due sole affettuose parole il sentimento di tutti per Marcello. La sua assoluta normalità, fattore non secondario della sua grandezza d’artista – peraltro così complessa -, era parte integrante della sua personalità e non meno importante della sua profonda umanità: l’una e l’altra alla base della sua immensa popolarità. In Italia, in Francia, negli Stati Uniti, ovunque nel mondo. A Berlino come a New York, a Los Angeles come a Buenos Aires, a Sidney come a Rio o a Palm Springs: ovunque fossero arrivati i suoi tanti film e lo avessero portato i suoi infiniti viaggi.

Tre anni prima, il 31 ottobre 1993, se n’era andato il suo mentore e complice, Federico Fellini, l’uomo, il regista, lo sceneggiatore che più di altri – insieme a Scola – aveva contribuito a valorizzare e imporre il talento e il fascino dell’attore, divenuto in qualche modo addirittura il suo alter ego. Marcello non si riebbe mai del tutto dal dolore per la scomparsa del suo grande amico. Ne parlava pochissimo e, quando lo faceva, ne parlava come da vivo, raccontando aneddoti gustosi e storielle spiritose del loro rapporto. Con tutta probabilità Federico non avrebbe fatto diversamente se si fossero fra loro scambiate, per così dire, le “parti”.

Ma Fellini, Mastroianni, Scola non vanno celebrati. Vanno visti, rivisti e soprattutto capiti. Per quanto riguarda Marcello, passato il tempo dell’ammirazione più o meno incondizionata, varrà la pena di ricordare, dell’uomo e dell’attore, gli aspetti (da lui stesso) più celati. Come quella forte sensibilità civile e politica (non partitica, non ideologica) che lo indusse a far parte del picchetto d’onore per Enrico Berlinguer predisposto nell’androne di Botteghe Oscure per i funerali del leader del Pci1.

Mastroianni – che fu l’attore-feticcio di Fellini ma soprattutto di Scola che lo diresse in ben 9 (nove) film (più un episodio) – non era comunista come Scola, ma ammirava profondamente la personalità del segretario generale del Partito Comunista Italiano, la sua statura di acuto uomo politico e di persona perbene, il suo rigore e la sua semplicità, la sua elegante “normalità”, segni distintivi anche della propria stessa personalità. O come quella discretissima scelta, mai reclamizzata, di cambiare Paese nel 1994 lasciando Roma per Parigi, non sopportando in alcun modo l’ascesa al potere di Silvio Berlusconi che Marcello considerava a ragione l’esatto opposto, sotto tutti i punti di vista, di Berlinguer.

In questa sensibilità civica, soprattutto in questa, Mastroianni aveva qualcosa in comune con l’altro grandissimo attore scomparso un anno prima di lui. Sul piano umano e artistico, Gian Maria Volonté era agli antipodi di Marcello. Passionale, partigiano, irruento, militante, rigoroso e meticoloso fino allo spasimo, Volonté ammirava Mastroianni non meno di quanto Marcello ammirasse Gian Maria. Nulla permetteva di poterli raffrontare, tranne la semplicità del tocco e del tatto con gli altri, l’innata eleganza e la suprema arte della recitazione, così alta in entrambi e pur così dissimile l’una dall’altra. Credo che anche da questa radicale disparità derivasse la grandezza, la complessità, la fortuna planetaria del cinema italiano di allora. Un cinema certamente reso grande da grandi produttori, da grandi sceneggiatori, da grandi registi ma anche da grandi, grandissimi attori come Mastroianni e Volonté, e da alcuni loro compagni d’avventura quali Gassman, Manfredi, Tognazzi, Sordi, Randone. Un pantheon unico e irripetibile, e infatti mai più riprodottosi.

1 Le immagini forse più emozionanti sono quelle conservate nell’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico (AAMOD). Nel picchetto d’onore ai funerali di Berlinguer, schierato con Fellini, Rosi, Antonioni, Maselli, Pontecorvo, Scola, i Taviani, Monica Vitti, Carla Gravina, c’era anche lui, Mastroianni. Con gli occhiali scuri, triste, attonito: «Non l’ho mai conosciuto di persona ma mi spiace tanto – disse -. Mi piaceva quella malinconia che lo accompagnava. Uno così non può essere che una persona perbene».

Felice Laudadio, presidente del Centro Sperimentale di Cinematografia e direttore del Bif&st-Bari International Film Festival. Ha diretto la Mostra del Cinema di Venezia, il TaorminaFilmFest e la Casa del Cinema di Roma. È stato presidente di Cinecittà Holding e amministratore delegato dell’Istituto Luce


Testimonianze

Il mio fratello bello

Ettore Scola

Nella irripetibile pattuglia dei giganti del cinema italiano della seconda metà del ventesimo secolo, Mastroianni è l’attore internazionale che è restato sempre se stesso diventando sempre nuovo nei cento film che ha interpretato: ogni personaggio sembrava corrispondere, coincidere con la sua natura, con la sua cultura, una cultura sottile e naturale, conquistata per istinto, per fluido, per curiosità del mondo. E questo faceva di lui un autentico intellettuale della recitazione.

Quando gli si confidava un ruolo Marcello non interferiva sulla struttura della storia o sugli sviluppi del personaggio o sui dialoghi che lo esprimevano. Marcello si accingeva subito a “ricopiare” il testo così com’era, ma con la sua personalissima calligrafia. E, che fosse italiano, americano, greco o francese, il ruolo diventava soltanto suo, gli calzava a pennello, tagliato sulla sua misura, come gli abiti che indossava e ai quali dedicava particolare cura. Con lui, tutti i sarti facevano un’ottima figura.

Se poi un regista gli consegnava i suoi umori più segreti e si rifletteva in lui come in uno specchio – lo fece Fellini ne La dolce vita, in e in Intervista – dalle loro autobiografie congiunte nascevano opere memorabili: Marcello diventava Federico e Federico Marcello.

Più modestamente anche io, in qualche occasione che ci ha accomunato1, ho sentito Marcello diventare il mio fratello maggiore. Il mio fratello bello.

1 Ettore Scola ha diretto Mastroianni più di qualunque altro regista. Esattamente in nove film e mezzo, dove per “mezzo” si intende un episodio del film collettivo Signore e signori, buonanotte di Agenore Incrocci (Age), Leo Benvenuti, Luigi Comencini, Piero De Bernardi, Nanni Loy, Mino Maccari, Luigi Magni, Mario Monicelli, Ugo Pirro, Furio Scarpelli, Ettore Scola (1976). Questi gli altri titoli: Dramma della gelosia (1970), Permette? Rocco Papaleo (1971), C’eravamo tanto amati (1974), Una giornata particolare (1977), La terrazza (1980), Il mondo nuovo (1982), Maccheroni (1985), Che ora è (1989), Splendor (1989).

Come ho lavorato bene con Scola

Marcello Mastroianni

Con Ettore Scola ho fatto nove film. Mi piace Ettore. Ha humour; è simpatico. Con lui si può esprimere un’idea: se è valida, l’accetta. Insomma con Scola c’è un lavoro di collaborazione. In Una giornata particolare, mi ricordo, c’era una telefonata molto delicata che io, nel ruolo di un omosessuale, facevo evidentemente al mio amico. “Ettore – gli dissi – il pudore mi suggerisce di fare questa scena tutta di schiena. Vieni dietro la mia nuca, con la macchina da presa, perché le cose che dico non siano violente, non arrivino allo spettatore in maniera sgradevole”. Scola fu d’accordo. E quella telefonata è uno dei momenti più belli del film.

Sempre nella Giornata particolare, Ettore mi chiese se ricordavo una canzone della mia adolescenza. Ne ricordai una che sentivo a casa di mia zia, che aveva tre figlie, quando la domenica ballavamo: “Belle bimbe innamorate / le arance comprate / hanno un magico sapore / un profumo d’amore”. È con questa musichetta che nel film mostro a Sophia Loren una certa danza. Per me, Una giornata particolare resta uno straordinario esempio di cinema veramente semplice, netto. Vogliamo osare? Un capolavoro.

Nel Mondo nuovo, Scola mi affidò il bellissimo personaggio di un Giacomo Casanova vecchio, con problemi di prostata. Un uomo rimasto legato alla sua giovinezza, consapevole di non poter più capire il “mondo nuovo” creato dalla Rivoluzione: “Forse, se fossi più giovane, sarei con voi – dice il vecchio Casanova. – L’unica cosa che mi disturba, che non accetto, è che in nome della Democrazia un servo si esprima e parli pieno di libertà, di conoscenza delle cose. No, questo no!”.

Mastroianni, uno di noi

Umberto Eco

Mastroianni era sempre lui, un uomo come noi, e così lo amavamo, per quella sua tenerezza malinconica, per quella sua umanità ironica, per quella sua impalpabile sicurezza tanto che, direi, in ogni suo film egli entrava in scena dando l’impressione di non sapere chi e che cosa fosse, e cercava di capirsi a poco a poco mentre diventava il suo personaggio e il suo personaggio diventava lui ma, anche alla fine, ci lasciava con uno sguardo ancora interrogativo.