Autoritratto

La vita e le opere di Raffaello Sanzio (1483-1520), una delle figure chiave della pittura rinascimentale europea, saranno al centro di numerosi eventi, fra mostre, seminari e pubblicazioni. Ad aprile 2020, infatti, saranno trascorsi cinquecento anni dalla morte dell’artista, conosciuto al mondo come il principe delle arti. A inaugurare la stagione delle celebrazioni ci pensa Urbino, sua città natale, dove, fino al prossimo 19 gennaio, sarà possibile ammirare Raffaello e gli amici di Urbino, a cura di Barbara Agosti e Silvia Ginzburg, entrambe docenti universitarie a Roma. Nelle sale di Palazzo Ducale saranno esposte numerose opere dell’artista, fra cui un disegno per lo stendardo della Santissima Trinità di Città di Castello e una Santa Caterina d’Alessandria e, grazie a prestiti importanti dall’estero, opere come la Madonna Aldobrandini (Londra), la Colonna (Berlino), la Conestabile (San Pietroburgo). Dal Vaticano, inoltre, arriva il cartone della Lapidazione di Santo Stefano, grande quattro metri per tre, realizzato insieme a Giulio Romano. Dopo Urbino, l’anniversario sarà celebrato in primavera anche nella Capitale, alle Scuderie del Quirinale, e a Londra, alla National Gallery.

E questo perché l’arte di Raffaello Sanzio è un patrimonio internazionale senza tempo. Fama e maestria gli sono riconosciute anche in vita, tanto che quando il pittore muore, dopo quindici giorni di febbri, il cardinal Pietro Bembo, suo amico e grande letterato, scrive nel suo epitaffio: «Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire».

Trasfigurazione

L’artista riceverà l’onore più grande, venendo sepolto al Pantheon di Roma, dopo una lunga veglia con accanto il suo ultimo lavoro, la Trasfigurazione. Dalle cronache sappiamo che la morte del pittore ha lasciato sgomenta tutta Roma, sia perché Raffaello aveva solamente trentasette anni, sia perché, in due decenni di attività, aveva innovato la cultura artistica del suo tempo realizzando opere di inestimabile bellezza.

«Si può dire sicuramente – scriverà Giorgio Vasari nelle Storie – che coloro che sono possessori di tante rare doti quante si videro in Raffaello da Urbino, sian non uomini semplicemente, ma, se è così lecito dire, dèi mortali». L’eco di Raffaello sarà così forte da essere tramandata nei secoli, e anche nell’Ottocento, l’impressionista francese Pierre-Auguste Renoir commenterà il dipinto la Madonna della seggiola, conservato agli Uffizi di Firenze, come il «più libero, più solido e più meravigliosamente semplice e vivo che si possa immaginare». Recentemente, anche lo storico Tomaso Montanari ha definito la Madonna Sistina «il quadro più bello del mondo, perché quando lo vedi non ti viene voglia di niente altro: c’è dentro tutto», anche i due angioletti più famosi della storia dell’arte, replicati e amati in tutto il mondo.

La Madonna Sistina

Raffaello colpisce per la facilità della sua pittura, per la straordinaria capacità della resa spaziale, per la vivacità espressiva e la cura con cui realizza le figure delle sue opere. Già a diciassette anni è magister, autore di capolavori ricchi di suggestioni. È un enfant prodige dell’arte che, grazie alle sue doti e al suo garbo, riesce ad incantare committenti e letterati di ogni città: prima ad Urbino, poi a Siena, Perugia, Firenze e infine a Roma, dove la sua pittura diventa eccelsa, grazie alle commissioni avute da Giulio II della Rovere e da Leone X Medici. Nella città dei papi Raffaello incontra anche l’amore della sua vita, la Fornarina, una ragazza popolana, figlia di un fornaio di Trastevere, che l’artista sublimerà con ritratti incantevoli (La Fornarina e La Velata).

La Fornarina

La vita di Raffaello non è lunga, ma è molto intensa. Come suo padre, Giovanni Santi, decide da bambino di voler essere un pittore. Fra tutti, viene influenzato da due maestri: Piero Perugino e Piero della Francesca. Attraverso lo studio di questi due artisti, Raffaello si impadronisce di un senso spaziale fortemente razionalizzato e del senso della misura. Al gusto classico della pittura, però, aggiunge la cura nella ricerca di espressioni sempre diverse che rendono le sue opere attuali, intime, facilmente comprensibili. «Compito dell’artista – spiega lo storico Giulio Carlo Argan a tal proposito – non è di correggere la sembianza illusoria, ma di dimostrare la verità delle sembianze. È proprio per questa unità di contingente e trascendente nella solare evidenza della forma che l’arte di Raffaello è stata capita, è diventata subito ed è rimasta popolare; ed è stata l’arte ufficiale della Chiesa». Raffaello è, inoltre, un prodigio del cromatismo e un abile luminista. È il maestro della grazia, capace di realizzare figure così belle da essere considerate paradigma di perfezione. Come, per esempio, la Galatea, dipinta nel 1512 per il banchiere Agostino Chigi e conservata a Villa Farnesina a Roma. Quando Raffaello termina l’opera in molti rimangono stupiti dalla sua bellezza e un cortigiano curioso gli chiede addirittura dove ha trovato una modella così graziosa. L’artista risponde che nel suo lavoro non copia mai una determinata modella, ma segue una “certa idea” che ha nella mente. Raffaello è un artista da scoprire e conoscere, le sue opere ci ricordano che l’arte ha un ruolo civile e che sempre dobbiamo proteggerla.

Trionfo di Galatea

Raffaello non è solamente un maestro dell’arte rinascimentale ma è anche uno dei primi artisti a preoccuparsi del nostro patrimonio culturale, sollevando il problema della tutela. Nell’autunno del 1519 scrive, in accordo con Baldassarre Castiglione, una lettera a Leone X Medici, dove esplicita alcune riflessioni politiche sulla decadenza del patrimonio artistico di Roma, nello specifico dell’eredità classica. Questo testo ci è caro perché anticipa quello che, secoli dopo, sarebbe stato definito e ampliato nell’Articolo 9 della nostra Costituzione. «Non deve adunque Padre Santissimo – si legge – essere tra gli ultimi pensieri di Vostra Santità lo aver cura che quel poco che resta di questa antica madre della gloria e della fama italiana, per testimonio del valore e della virtù di quegli animi divini che pur talor con la loro memoria eccitano alla virtù gli spiriti che oggidì sono tra noi, non sia estirpato e guasto dalli maligni e ignoranti». Il patrimonio culturale, dunque, è alla base della nostra identità di nazione e la sua tutela è necessaria. Raffaello, saggiamente, afferma che la cultura non può e non deve essere fra gli ultimi pensieri di chi governa, soggetta all’incuria degli uomini di potere. L’artista, padrone del suo tempo, incoraggia una “rinascita”, gettando il primo seme della storia della tutela del patrimonio artistico nazionale.

Francesca Gentili, critica d’arte