Franco Angeli, Ritratto di Mao con Bandiera Rossa, 1968

Al grido del più famoso slogan del maggio parigino Ce n’est qu’un début, continuons le combat! (È solo l’inizio, continuiamo la lotta!), apre a Roma la prima mostra italiana dedicata al Sessantotto e ai suoi intrecci con i movimenti e i fermenti artistici che lo annunciarono e lo percorsero.

Fino al 14 gennaio 2018, nelle sale della Galleria Nazionale le opere di Vito Acconci, Franco Angeli, Michelangelo Pistoletto, Luigi Ontani, Diane Arbus, Marisa Merz e tanti altri artisti racconteranno la vicenda del Sessantotto nel suo cinquantesimo anniversario.

È solo un inizio. 1968, questo il titolo della collettiva a cura di Ester Coen, senza giudizi morali, descrive quel periodo ricco di fermenti creativi, mostrando come il mondo dell’arte ha vissuto la spinta rivoluzionaria nata in quell’anno, promuovendo nuovi movimenti che dal minimalismo arrivano al concettuale, passando per l’arte povera, la land art, la moda e il design. «È proprio il 1968 – racconta Coen – a segnare il traguardo di un processo di emancipazione, di volontà di autodeterminazione, di rivolta contro ordini e principi antidemocratici. Una vera insurrezione che nella cultura e nell’arte affonda le radici nelle prime avanguardie storiche e nel potere innovativo e sperimentale delle loro ricerche, dei manifesti, delle opere. Ma non è nei proclami che si gioca ora la nuova partita dinamica e vigorosa di un’arte ormai senza confini, di un’arte che si inventa altre strutture per rinnovare l’impegno di essere al mondo secondo logiche diverse, nella realtà del suo stesso vivere e pulsare. È in un dibattito comune che risuona il senso di un’identità così profondamente violata e negata dalla repressione di governi totalitari, un’identità che ora divampa in piena luce con la prorompente vivacità di un impegno che tuttavia non conosce più limiti».

Mario Merz, Sit in, 1968

Un invito, quello della rassegna, a guardare ai processi in divenire, all’apertura verso nuovi orizzonti e alla possibilità di cambiamento. Il movimento del Sessantotto, del resto, è un movimento politico e sociale complesso, che ha unito classi sociali e giovani generazioni nella contestazione e in una rinnovata visione del futuro. Anche l’arte partecipa al cambiamento: musica, pittura, teatro, cinema e letteratura, dopo il Sessantotto, non saranno più le stesse, nuova energia creativa spinge gli artisti a guardare oltre, a immaginare un mondo diverso. Il Sessantotto non è solamente una data politica ma anche antropologica, dove le arti si inseriscono con tutti i loro fermenti nella ricerca di nuove strade. Il loro strumento è, appunto, l’immaginazione capace di interpretare l’essenza delle cose.

Luciano Fabro, Tre modi di mettere le lenzuola

Il Sessantotto non solo segna la transizione dal moderno al postmoderno che, senza presa del potere, invade ogni campo della nostra società. “Il Sessantotto – scrive nel catalogo della mostra il filosofo Nicolas Martino – è una rivoluzione totale, una rivoluzione antiautoritaria, perché vuole mettere in discussione i ruoli, e linguistica, perché ogni mondo ha una propria lingua che si può difendere, combattere o reinventare. È una rivoluzione libertaria, senz’altro, perché vuole rovesciare la morale borghese, la famiglia e il sesso, insieme al modo di vestire, di mangiare, di abitare e di vivere la vita quotidiana. È anche una rivoluzione anticapitalista, che di quel sistema economico-sociale si vuol disfare per aprire le porte a rapporti sociali, economici e lavorativi più liberi e giusti”.

Giulio Paolini, Autoritratto, 1968

Il Sessantotto è solo un inizio, un inizio per delineare nuovi confini artistici, culturali e sociali. È un inizio che determina la partecipazione collettiva alla vita politica, con la creazione di nuove forme di mobilitazione. Ampliando il nostro orizzonte, il Sessantotto ha radici profonde nelle lotte per l’emancipazione dell’umanità, che dalla presa della Bastiglia del 1789 arriva alla Comune di Parigi del 1871, senza dimenticare l’assalto al Palazzo d’Inverno e i soviet nel 1917.

Il Sessantotto, dunque, come punto ideale di partenza per nuovi processi di trasformazione, un incipit che ha dato sostanza allo stato sociale e che, in Italia, ha significato importanti conquiste democratiche, come lo Statuto dei lavoratori e il diritto al divorzio.

Alighiero Boetti, Planisfero politico, 1969

Il percorso espositivo non intende ripercorrere quel periodo con nostalgia, giudizio o rassegnazione, ma offre l’opportunità di respirare quel clima di cambiamento che il Sessantotto ha innescato, ripensando alla nostra storia che dal passato arriva ai giorni nostri. “Non c’è nulla di irrimediabile o da rimpiangere fra le macerie di quel mondo che allora iniziò a finire – chiosa Martino – c’è invece, davanti a noi, un mondo ancora nuovo che chiede di essere costruito, giorno per giorno, con intelligenza e amore”.

In mostra le opere di: Vito Acconci, Carl Andre, Franco Angeli, Giovanni Anselmo, Diane Arbus, Alighiero Boetti, Pier Paolo Calzolari, Carla Cerati, Merce Cunningham, Gino De Dominicis, Walter De Maria, Valie Export, Luciano Fabro, Rose Finn-Kelcey, Dan Flavin, Hans Haacke, Michael Heizer, Eva Hesse, Nancy Holt, Joan Jonas, Donald Judd, Allan Kaprow, Joseph Kosuth, Jannis Kounellis, Yayoi Kusama, Sol LeWitt, Richard Long, Toshio Matsumoto, Gordon Matta-Clark, Mario Merz, Marisa Merz, Maurizio Mochetti, Richard Moore, Bruce Nauman, Luigi Ontani, Giulio Paolini, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini, Mario Schifano, Carolee Schneemann, Gerry Schum, Robert Smithson, Bernar Venet, Lawrence Wiener, Gilberto Zorio.

Francesca Gentili, critica d’arte