Fernando Botero davanti al suo quadro “Musici”

La Capitale festeggia i cinquanta anni di carriera di Fernando Botero, pittore e scultore classe 1932, apprezzato per le sue figure morbide e rassicuranti. Fino al 27 agosto 2017, le sale del Complesso del Vittoriano ospitano infatti la mostra Botero esponendo cinquanta lavori del maestro di origini colombiane, realizzati fra il 1958 e il 2016. Ad accogliere i visitatori, fuori dal museo, una scultura gigantesca, Cavallo con briglie, di oltre una tonnellata e mezzo di peso e alta più di tre metri. Un’opera, questa, emblematica che introduce il pubblico all’universo artistico di Botero, dove la dimensione onirica si mescola con la fantasia, per dare forma a figure dai colori brillanti che riportano alla memoria l’America Latina.

La first lady

Grazie a un linguaggio artistico fortemente riconoscibile, Botero è famoso in tutto il mondo: i protagonisti dei suoi dipinti, caratterizzati da una plasticità tridimensionale e da forme dilatate, trasmettono sensualità ed esuberanza. «Credo – sostiene Botero – che in un certo senso ogni artista porti qualcosa di unico dentro di sé fin dalla nascita. Un artista deve vedere, leggere e lavorare facendo esperienza, ed è così che a poco a poco raggiunge una sua certezza. Questa potrebbe anche essere erronea, perché nell’arte non ci sono verità assolute. La prova è che il gusto e i linguaggi espressivi cambiano ogni trent’anni. Ma un artista deve credere fortemente in qualcosa: questo crea il suo stile e la sua coerenza, che sono importantissimi nel momento in cui raggiunge la propria maturità».

Il Presidente

L’artista, del resto, ha sempre lavorato con coerenza e negli anni è riuscito a ottenere uno stile unico: «Tutte le volte che le persone stanno di fronte ai miei dipinti o alle mie sculture – ammette Botero – non vedono soltanto una pera o una mela, ma riconoscono immediatamente l’opera come un Botero». Avere uno stile armonioso non è per Botero semplicemente un motivo estetico, bensì esprime la necessità di comunicare la verità essenziale delle cose, ricreando un senso di unità. Lo spazio non segue regole e i soggetti si muovono al di là del rispetto delle proporzioni: le grandezze e le architetture disegnate sono disposte sulla tela semplicemente per creare un’armonia generale. L’artista dà forma a composizioni calme, dove non c’è posto per sentimenti di inquietudine o caos.

Fin da bambino Botero sogna di divenire un artista. Terminati gli studi liceali, già a diciotto anni diventa un professionista: «Nella mia vita – racconta Botero – ho avuto la fortuna di non aver mai fatto niente di diverso dal dipingere. Mi sono sempre guadagnato da vivere facendo il pittore. Anche quando ero molto giovane, con il mestiere di illustratore, guadagnavo abbastanza per vivere. È stato così anche quando ero copista al Prado. A differenza di molti altri artisti che hanno dovuto fare diversi lavori, io ho avuto la fortuna di potermi dedicare sempre e solo alla pittura. La mia principale ossessione era quella di apprendere veramente il mestiere di pittore». Botero è consapevole che per potersi esprimere con più libertà deve acquisire tutte le conoscenze e le tecniche del mestiere, ma anche leggere i testi classici sull’arte e accumulare esperienza: «L’arte che ammiravo nelle grandi stanze del Museo del Prado – ricorda l’artista – era per me impenetrabile, una vera scoperta, e la tecnica con cui quei capolavori erano realizzati mi affascinava». Fra i grandi maestri dell’arte italiana, per esempio, Botero ammira Piero della Francesca, dal quale scopre la pienezza dei volumi, le forme composite, i colori smaglianti.

Piero Della Francesca

Oltre ai grandi maestri dell’arte rinascimentale, la pittura di Botero guarda al mondo latino-americano e la sensualità costituisce il mezzo principale attraverso cui l’artista trasforma la realtà in figure. «Ho cercato – racconta l’artista – di vedere le immagini della mia infanzia, i villaggi della Colombia, la sua gente, i suoi generali e vescovi attraverso il prisma dei miei principi sull’arte». Dalla grande arte precolombiana alla scultura popolare, passando per l’artigianato e per lo stile barocco coloniale e la pittura muralista messicana, nelle tele di Botero rivivono le suggestioni private dell’artista. La sua però non è un’arte di folclore, la tradizione è una scelta ben precisa per mostrare la verità delle forme, Botero è convinto che «un artista che lavora senza tener conto delle proprie radici culturali non può giungere a un’espressione autentica, universale».

La fornarina

Per Botero la pittura è un’interpretazione della Natura nata allo scopo di dare piacere a chi guarda. E la sua interpretazione è sempre fiabesca e senza condanne: nelle sue opere è infatti assente la dimensione morale e i protagonisti raffigurati non hanno stati d’animo riconoscibili. Il mondo di Botero è un piccolo cosmo atemporale e magico, nel quale emerge un senso di nostalgia che scalda i sentimenti di chi lo osserva. «L’essere cresciuto a Medellín mi ha consentito di vivere in una sorta di microcosmo in cui erano rappresentate tutte le componenti sociali, dalla borghesia benestante alle classi più povere, in cui il vescovo era per noi come il Papa, e il sindaco, come il presidente della Repubblica. Medellín era una piccola città, ai tempi contava circa centomila abitanti, oggi ne ha quasi tre milioni. Proprio questa sensazione di vivere in un mondo a parte ha contribuito a sviluppare la mia ispirazione, perché nell’arte spesso ci si affida alla memoria per costruire il proprio immaginario». Botero dipinge scenari improbabili ma non impossibili, le sue tele regalano momenti unici, dove l’esistenza dei personaggi è straordinaria ma non surreale, e va oltre il banale della quotidianità.

Francesca Gentili, critica d’arte