Lo scrittore francese Stendhal nelle sule Passeggiate romane diceva che “nel momento in cui si decide di andare a Roma, bisognerebbe stabilire di andare al museo un giorno sì e uno no: si abituerebbe l’anima a sentire la bellezza”. La Capitale, fra mille contraddizioni, è un luogo incredibile, ricco di numerosi stimoli estetici e culturali. Nonostante i danni compiuti dall’inquinamento e dal mal governo di certe persone, Roma rimane la città eterna, crocevia di culture, luogo magico dove l’arte può nascere in luoghi sconosciuti e impensabili. Come nel caso del MAAM, il Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz, situato al civico 913 di via Prenestina: un progetto situazionista e relazionale, un museo politico dove il contemporaneo è vissuto in chiave sociale e solidale.

Il progetto nasce da una idea dell’antropologo Giorgio de Finis, curatore del progetto MACRO Asilo, realizzato in collaborazione con i Blocchi precari metropolitani e gli abitanti di Metropoliz, la città meticcia nata nel 2009 dall’occupazione dell’ex salumificio Fiorucci, in cui tutt’ora coabitano circa duecento persone provenienti da diverse regioni del mondo, dal Perù al Marocco, passando per l’Eritrea, il Sudan, l’Ucraina, la Polonia, la Romania e l’Italia. La grande architettura industriale è stata trasformata in un museo abitato, dove culture lontane fra loro vivono in armonia, custodendo opere d’arte.

Numerosi artisti, infatti, donando i loro lavori hanno sostenuto questo progetto innovativo che guarda all’inclusione: un viaggio alla ricerca di un mondo più giusto, un esempio di convivenza e di riscatto sociale, dove puntare alla luna non è solamente un’utopia ma una direzione da assumere per una città migliore. “Il primo intervento realizzato al MAAM – racconta De Finis nel catalogo Forza tutt*. La Barricata dell’arte, Bordeaux edizioni – è stato quello di Veronica Montanino per la ludoteca”: l’artista ha realizzato una “stanza dei giochi” trasformando con la sua pittura uno spazio fatiscente in un luogo magico, nel quale i bambini di Metropoliz possono giocare.

All’ingresso del museo, ad accogliere i visitatori ci sono i “guerrieri della luce”, andando oltre si incontra l’auletta scolastica trasformata in Asilo Politico (2013) da Santino Drago e la Scala Reale (2014) di Davide Dormino: 33 scalini che portano alle abitazioni dei residenti. E poi ancora tante opere di street art dalla scritta di Jago Le Space est à Nous (2013) al volto dell’attivista pakistana premio Nobel per la pace nel 2014 Malala Yousafzai, realizzato dal brasiliano Eduardo Kobra. Le opere da ammirare sono molteplici, da Sten&Lex a Lucamaleonte, come pure gli eventi che il museo ospita, vera e propria cattedrale del comune. “Oggi – continua de Finis – il MAAM vanta più di cinquecento interventi, ospitando anche la Venere degli stracci di Michelangelo Pistoletto”. Ciò che non sfuggirà a chi si addentrerà nei luoghi di questo particolare museo di Roma è il fatto di percorrere un’impresa collettiva che, partendo da problematiche politiche e sociali, ha realizzato un linguaggio estetico contemporaneo dove la speculazione ha lasciato spazio alla condivisione del reale. L’opera d’arte appare così rinnovata nel suo significato tradizionale e, superando ogni elitarismo, diventa democratica, aperta a tutti, libera.

Tuttavia, gli aspetti critici non sono pochi: il MAAM è un museo povero, umido e disorganizzato. È una realtà unica, non sempre compresa e per niente valorizzata da chi gestisce il potere. Da sempre questo museo corre il rischio di essere sgomberato: recentemente il Tribunale civile di Roma ha riconosciuto un risarcimento milionario alla Salini Impregilo, i proprietari dell’immobile fra i più potenti costruttori a livello mondiale. Occupare uno spazio, viverlo e trasformarlo nel primo museo abitato del mondo è stata una operazione complessa, che trascende il concetto di valorizzazione legata al profitto. Un’operazione in cui l’arte è diventata l’arma più forte per costruire una barricata di bellezza e cultura.

I canoni proposti dal MAAM non sono rassicuranti ma impongono ad ognuno di noi di guardare oltre il pregiudizio, e sperimentare una nuova fruizione artistica, legata al disagio e al conflitto sociale. “Il MAAM – scrive l’artista e critico Pablo Echaurren – è un anti museo basato sull’economia del dono e sul fatto che l’arte non è e non deve essere appannaggio esclusivo di un sacerdozio laico che si arroga il diritto di custodirne i segreti e i riti. Giorgio de Finis, da buon antropologo e agitatore culturale, sa bene quanto l’arte sia per definizione prerogativa del genere umano in quanto tale e non solo di un’accolita di illuminati acculturati. Sa che l’uomo si distingue dalle altre specie proprio per la propria creatività”.

Ed entrando al MAAM si percorre una strada creativa e rivoluzionaria, nella quale per procedere occorre fantasia per guardare oltre la fatiscenza della struttura e una buona dose di immaginazione per capire che la realtà si arricchisce nell’incontro con l’altro. Un incontro che unisce l’alto e il basso, in un esperimento ben riuscito che indica ai cittadini un nuovo modo di pensare la città. “Il MAAM – spiega de Finis – è come un organismo, un museo diffuso, una cattedrale medievale dove gli artisti lavorano con gli abitanti e rinunciano alla loro individualità, in nome di un progetto collettivo”.

A chi si domanda quale sarà il futuro di questo museo “abusivo” de Finis risponde: “Affondare con la nave o meglio l’Astronave-Metropoliz, qualora le forze oscure dell’Impero dovessero avere la meglio, o vincere insieme l’Ultima battaglia, come recita il titolo dell’opera di Stefania Fabrizi e, magari, convincere anche le istituzioni e i palazzinari che è possibile e bello guardare alla Luna”.

Francesca Gentili, critica d’arte