Ha suscitato un grande interesse la notizia appena pubblicata su Nature, la più importante e selettiva rivista scientifica, che la stella Trappist-1, a soli 40 anni-luce dal nostro Sistema Solare, ospita almeno sette pianeti, tutti di dimensioni simili alla Terra. L’interesse è dovuto al fatto che i dati mostrano che, potenzialmente, sono tutti e sette in grado di ospitare acqua allo stato liquido, condizione indispensabile perché si possa sviluppare la vita, ma anche al fatto che questo sistema è cinque volte più vicino alla Terra di quanto lo fosse il sistema planetario potenzialmente dotato di acqua liquida che deteneva prima il record di prossimità al nostro Sistema Solare.

Naturalmente, questo non significa automaticamente che nei pianeti appena scoperti sia presente la vita. Trappist-1 è una stella completamente diversa dal nostro Sole: è piccolissima (ha una massa pari a solo l’8% di quella del Sole, appena sufficiente ad innescare le reazioni di fusione nucleare che forniscono energia alle stelle) e molto fredda. I suoi sette pianeti hanno una temperatura media compatibile con l’acqua liquida solo perché sono tutti estremamente vicini alla loro stella. Questo comporta che un loro “anno” (il tempo impiegato da un pianeta a percorrere l’orbita intorno alla sua stella) dura solo 1,5 giorni terrestri per il pianeta più interno e 12,5 giorni per quello più lontano. Non sappiamo se girano intorno al proprio asse come la Terra, né il tempo impiegato in una eventuale rotazione e quindi quanto dura il loro “giorno”: potrebbero mostrare alla stella sempre la stessa faccia (come la Luna con la Terra o Mercurio con il Sole) ed avere quindi una faccia rovente ed una gelida, come Mercurio, oppure avere un “giorno” che è più lungo del loro “anno”. È logico che, se queste fossero le loro condizioni, difficilmente potrebbero esserci condizioni adatte alla vita.

Però, il fatto stesso che esista il sistema planetario di Trappist-1 conferma che i pianeti nei quali potrebbe svilupparsi la vita non sono tanto rari.

Sistemi solari

Ritratto di Isaac Newton

In realtà, l’idea che il Sole sia una stella abbastanza comune e che quindi esistano pianeti anche intorno ad altre stelle (pianeti extrasolari o esopianeti) è abbastanza antica. Già nel XV secolo Nicola Cusano descrisse un universo infinito, che conteneva ovunque stelle ruotanti intorno al loro asse: la Terra era solo una “stella nobile” tra le altre; la prima ipotesi formulata su basi scientifiche e non filosofiche dell’esistenza di questi corpi celesti si deve però ad Isaac Newton nel 1713.

La ricerca di pianeti extrasolari fu un obiettivo di tutti i più famosi astronomi del XIX secolo e della prima metà del XX, ma i mezzi tecnici non erano ancora abbastanza sviluppati per ottenere risultati positivi: l’individuazione diretta di pianeti extrasolari risulta infatti estremamente difficile perché, in condizioni normali di visibilità, i pianeti hanno solitamente una luminosità pari a circa un milione di volte meno di quella di una stella. In aggiunta a questa intrinseca difficoltà di rilevazione, la maggiore luminosità delle stelle, attorno alle quali orbitano i pianeti, causa un bagliore che tende a coprire la luce debolmente riflessa dai corpi celesti del rispettivo sistema.

Tuttavia, con le tecnologie disponibili attualmente, i telescopi (soprattutto i più grandi e quelli posti nello spazio, ma non solo) possono individuare gli esopianeti e fornire informazioni sui loro parametri fisici e orbitali, utilizzando tecniche di indagine indirette che individuano piccole variazioni di luminosità o la variazione dell’energia emessa in particolari lunghezze d’onda della stella intorno alla quale orbitano.

Attualmente (22 febbraio 2017) è stata così confermata l’esistenza di 3.453 pianeti extrasolari e si sta verificando l’esistenza di altri 4.696 candidati.

A causa dei limiti delle tecniche di osservazione attuali, la maggior parte dei pianeti individuati sono giganti gassosi come Giove o anche più grandi. Spesso però essi sono molto più vicini alla loro stella di quanto lo sia Giove al Sole. Perciò, invece di essere gelidi, come i pianeti giganti del Sistema Solare, sono caldissimi, con temperature atmosferiche di circa 1000 °C (e sono quindi detti “Hot Jupiters”). Per questo motivo, le loro atmosfere stanno evaporando e probabilmente scompariranno entro qualche milione di anni.

Solo in misura minore, i pianeti extrasolari scoperti sono pianeti rocciosi simili alla Terra o appena più grandi (questi chiamati “Super Terre”), anche se ultimamente la frazione di pianeti più piccoli sta rapidamente crescendo, soprattutto grazie al telescopio spaziale Kepler. Anche intorno alla seconda stella più vicina al Sistema Solare, Alfa Centauri, è stata trovata una “Super Terra”. Secondo gli ultimi dati del satellite Kepler, il 16,5% delle stelle simili al Sole possiede nel suo sistema planetario un pianeta con raggio che differisce meno del 25% da quello della Terra. Di questi, diversi hanno anche massa quasi uguale a quella della Terra.

Ci si può allora chiedere se questi pianeti siano abitabili.

Lo sviluppo della vita

Da http://www.elettroengineering.com/data/images/evoluzione.jpg

Perché un pianeta abbia le condizioni per permettere lo svilupparsi della vita, debbono verificarsi due condizioni: il pianeta deve essere di massa abbastanza grande da permettere di trattenere una atmosfera gassosa ma non così grande da avere una pressione al suolo troppo alta e deve anche trovarsi all’interno della “fascia di abitabilità”, cioè ad una distanza dalla sua stella tale da avere una temperatura al suolo tale da permettere l’esistenza di acqua liquida, quindi non così vicino da farla evaporare né così lontano da farla gelare: nel Sistema Solare, solo la Terra si trova entro questa fascia. Attualmente, siamo certi che, al di là del Sistema Solare esistono sicuramente almeno 49 mondi (pianeti o lune) abitabili e che il 3,75% delle stelle con un sistema planetario noto hanno in orbita intorno a loro almeno un mondo abitabile, alcuni dei quali sono (per quel che ne sappiamo) praticamente identici alla Terra.

Quindi, la Terra non è affatto “unica”!

Possiamo allora chiederci se esiste la vita extraterrestre.

Allo stato attuale delle nostre conoscenze, tutto lascia supporre che moltissime stelle di tipo solare (che sono le più comuni: circa 10 miliardi nella nostra Galassia) abbiano pianeti e che almeno l’1% di questi pianeti siano potenzialmente abitabili (ma probabilmente sono molti di più). Non c’è quindi motivo per il quale la vita, se si è sviluppata sulla Terra, non si sia sviluppata anche in altri mondi simili.

Possiamo allora chiederci se esistono gli “Alieni”. Se esistono almeno 100 milioni di pianeti nei quali è possibile la vita, non c’è motivo per il quale in un certo numero di questi l’evoluzione non abbia portato allo sviluppo di esseri intelligenti. Quindi, molto probabilmente, esistono altre specie intelligenti nella nostra Galassia.

Alieni e similari

La possibilità di entrare in contatto con loro è una questione più complicata.

Dal film Mars Attack

La probabilità di entrare in contatto con un’altra civiltà tecnologicamente avanzata della nostra Galassia è data dalla “Equazione di Drake”, che stabilisce che questa probabilità è data dal prodotto di molti fattori: il tasso annuale medio di formazione delle stelle durante tutta la vita della Via Lattea, la frazione di stelle con un sistema planetario, il numero di pianeti in ciascun sistema in condizioni adatte allo sviluppo della vita, la frazione di pianeti adatti, in cui la vita si sviluppa effettivamente e si evolve verso forme molto complesse, la frazione di questi pianeti su cui si sviluppano forme di vita intelligente, la frazione di questi in cui le forme di vita intelligente inventano la radio e divengano quindi rilevabili anche a distanze interstellari, e infine la durata media in anni di una civiltà tecnologicamente avanzata.

Da quanto abbiamo detto prima, tenendoci alla prudente percentuale dell’1% del totale delle stelle della Galassia, possiamo stabilire che i pianeti che possono ospitare la vita nella nostra Galassia sono circa 100.000.000: questo numero riassume il prodotto dei primi tre fattori.

Supponiamo che tra questi la frazione di pianeti adatti in cui la vita si sviluppa effettivamente e si evolve verso forme molto complesse, la frazione di questi su cui si sviluppano forme di vita intelligente, e la frazione di questi in cui le forme di vita intelligente inventino la radio siano tutte molto piccole, ad esempio pari all’1 per mille. Sappiamo che la nostra civiltà sopravvive ancora un secolo dopo avere inventato la radio e supponiamo quindi che le altre civiltà tecnologicamente avanzate sopravvivano almeno per 100 anni.

Quindi, facendo tutti i prodotti, risulta che, se i pianeti abitabili fossero solo quelli già confermati, ci sarebbero 10 civiltà extraterrestri con le quali è possibile entrare in contatto radio. Questo numero salirebbe già a 39 se tutti i candidati esopianeti, attualmente sotto esame, fossero confermati.

C’è però un problema, messo in evidenza da Fermi.

Poco dopo la pubblicazione dell’“equazione di Drake”, alla mensa dell’Università di Chicago, si discuteva di vita extraterrestre e si avanzavano ipotesi molto ottimistiche ma Fermi esclamò: “Ma se ci sono tante civiltà tecnologiche nella nostra Galassia, dove sono tutti gli altri?” Infatti, non abbiamo fino ad ora alcun cenno da queste civiltà. Le stelle più vicine al Sole hanno più o meno la stessa età: se in qualcuna di esse si è sviluppata la vita, non c’è motivo di pensare che i tempi della sua evoluzione siano stati molto diversi dai nostri. Se in 50 anni di ricerche di segnali radio da civiltà extraterrestri non si è ancora trovato nulla significa quindi o che non ci sono civiltà avanzate quanto la nostra entro 100 anni luce (la distanza percorsa fino ad ora dai primi segnali radio dalla Terra) o che in media una civiltà come la nostra dura meno di un secolo, perché facilmente si autodistrugge.

Speriamo che la spiegazione sia la prima!

Incontri ravvicinati

Allora, se le specie intelligenti non si autodistruggessero, abbiamo speranze di potere entrare in contatto almeno con qualcuna di loro?

Dipende da cosa si intende con “contatto”. Se si intende un contatto radio, probabilmente sì! È solo questione di pazienza e di soldi. Infatti, i grandi radiotelescopi sono macchine molto costose e quindi sono pochi e sono usati per molte ricerche, mentre il tempo dedicato alla ricerca di intelligenze extraterrestri (SETI) in ogni turno di osservazione è scarso. Invece, le stelle sono tantissime e le frequenze radio utilizzabili sono moltissime. La situazione potrebbe però migliorare nel 2022 quando entrerà pienamente in funzione lo Square Kilometer Array (SKA), una schiera di radiotelescopi con un’area di raccolta di 1 km2 in costruzione nel deserto di Atacama, che sarà in grado di rivelare le emissioni radio di una civiltà che ne emetta quanto la nostra in un raggio di 326 anni luce e potrà esplorare una vasta gamma di lunghezze d’onda (ndr: per Wikipedia “lo Square Kilometre Array (SKA) è un progetto internazionale di rilevamento di onde radio mediante un radiotelescopio in costruzione in Australia ed in Sud Africa per sondare lo spazio profondo”). La SETI è uno dei suoi obiettivi principali e la ricerca sarà facilitata dal fatto che ormai abbiamo già identificato un buon numero di pianeti che possono ospitare la vita (e nel 2022 saranno inevitabilmente molti di più), quindi la ricerca non sarà più completamente casuale.

C’è però il problema di capire il significato di un eventuale segnale. Già diverse volte sono stati captati segnali regolari provenienti dalla spazio, ma il loro studio ha poi sempre rivelato che provenivano da sorgenti naturali (stelle di neutroni rotanti, pulsazioni di stelle, ecc.). Non basta quindi rilevare un segnale periodico per affermare che sia artificiale: bisogna che sia fatto apposta per essere capito, come quello mandato dalla Terra, tramite il radiotelescopio di Areceibo, verso la Galassia di Andromeda nel 1974. Certo però questo segnale non servirà per “iniziare una conversazione”: il segnale di Areceibo ha raggiunto fino ad ora una distanza di 40 anni-luce. Anche ammesso che qualcuno a quella distanza lo abbia captato e stia rispondendo adesso, la sua risposta arriverà tra altri 40 anni e la Galassia di Andromeda lo riceverà tra due milioni di anni!

Invece di un contatto “telefonico” si può allora cercare un contatto fisico. A questo riguardo, la sonda Voyager, lanciata nel 1978, sta lasciando il Sistema Solare, viaggiando verso il centro della Galassia a circa 700 km/s. A bordo, oltre agli strumenti scientifici che sono serviti ad esplorare il sistema di Giove e dei suoi satelliti, porta una lastra d’oro che riassume da dove viene e come siamo fatti e un disco fonografico in vinile con incise immagini della Terra, suoni del nostro pianeta ed una selezione di brani musicali di varie epoche e culture, il tutto in analogico, perché nel 1978 i CD non esistevano ancora. Questa sonda incontrerà la prima stella (Antares) tra 40.000 anni. Se invece di una targa e un disco, in un futuro, in realtà non molto lontano, nel quale la tecnologia ci permettesse di farlo, ci mettessimo una popolazione di astronauti che potesse mantenersi stabile per i tempi di viaggio, i tempi per questo viaggio rimarrebbero gli stessi.

Però, non è detto che si debba viaggiare solo a 700 km/s o andare fino ad Antares. Già negli anni ’70, la British Interplanetary Society sviluppò un progetto di massima di una sonda interstellare senza equipaggio capace di raggiungere il 12% della velocità della luce e raggiungere la stella più vicina, la “Stella di Barnard”, in circa 33 anni (“Project Daedalus”). Attualmente, sono in corso studi per trasformare questo progetto di massima in uno tecnicamente realizzabile (“Project Icarus”), naturalmente, ammesso che qualcuno voglia pagarne il costo … “stellare”.

Se in un futuro, molto più lontano, riuscissimo a far viaggiare un’astronave ad una velocità prossima a quella della luce (di più non si può), cioè più di 400 volte più veloce della sonda Voyager, per arrivare ad Alfa Centauri (la stella più vicina dove sappiamo già che un pianeta c’è, anche se non è abitabile) ci metterebbe più di 4 anni.

Viaggi un po’ troppo lunghi

Per arrivare al pianeta abitabile più vicino che conosciamo ora (ad esempio uno dei pianeti del sistema di Trappist-1), ci vorrebbero circa 40 anni ed altri 40 per tornare indietro. È vero che sarebbero passati 80 anni solo per chi è rimasto sulla Terra mentre per gli astronauti, se viaggiassero al 90% delle velocità della luce, sarebbero poco più di 22 per la contrazione relativistica del tempo, ma resta sempre un sacco di tempo. Chi partisse per un tale viaggio tornerebbe in un pianeta alla cui cultura sarebbe ormai estraneo: basti pensare come si potrebbe trovare una persona che fosse partita dalla Terra nel 1937 e che vi facesse ritorno, senza avere avuto alcun contatto, nel 2017.

Da http://altrogiornale.org/wp-content/uploads/2013/08/image.jpg

Probabilmente, nessun membro della nostra attuale società vorrebbe fare un viaggio simile. Ma cerchiamo di non essere troppo antropocentrici! Se ne avessimo la tecnologia ed appartenessimo ad una cultura che fosse certa che il proprio pianeta sia inevitabilmente condannato per qualsiasi motivo o ad una minoranza che sa di essere inevitabilmente destinata al genocidio da parte di una maggioranza che la odia, ci proveremmo di sicuro! In fondo, sulla Terra ci sono già state “migrazioni senza ritorno” per questi motivi, ad esempio i “Padri Pellegrini” dall’Inghilterra verso l’America o i popoli costretti a lasciare le loro isole per disastri naturali.

Chissà, forse qualche “arca spaziale” in questo momento sta già viaggiando in cerca di un pianeta nel quale i discendenti di chi l’ha costruita possano stabilirsi.  In merito, d’altra parte, già ora alcuni studiosi stanno incominciando a pensare un possibile progetto. Ad esempio, negli anni ’80 O’Neil, un ingegnere della NASA, ne ha progettata una: un anello lungo 20 km, trainato da un propulsore nucleare a debita distanza. All’interno, serre idroponiche assicurerebbero il ricambio dell’aria ed il cibo, mentre la rotazione dell’anello assicurerebbe per forza centrifuga una gravità simile a quella terrestre. Ci sarebbe anche abbastanza spazio per simulare un ambiente terrestre. La tecnologia per costruire una simile arca spaziale c’è già: quello che manca è solo la motivazione per farla.

Ma siamo proprio sicuri che i soli possibili candidati ai viaggi interstellari siano disperati in cerca di una nuova patria? Di nuovo, cerchiamo di non essere sempre antropocentrici! A noi, 80 anni di viaggio sembrano un’eternità perché possiamo sperare di vivere, al massimo, per un secolo. Ma chi lo ha detto che un’altra specie intelligente non viva molto più a lungo? A partire dall’origine della nostra specie, la durata della vita umana si è già allungata di più di 7 volte (almeno nei Paesi più ricchi). Una specie che fosse arrivata a sviluppare la tecnologia per spingere un’astronave a velocità prossima a quella della luce, avrebbe sicuramente fatto anche progressi enormi nel campo della biologia e della medicina e magari potrebbe avere trovato modo di prolungare la propria vita a 1.000 anni, o forse più. Per una specie di questa durata di vita, un viaggio di 80 anni sarebbe come per noi uno di che ne duri 8.

Da queste considerazioni segue che i viaggi interstellari non sono impossibili e ci si può quindi chiedere se possiamo avere avuto già contatti con esseri extraterrestri. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, però, non è mai successo. Tutte le segnalazioni di UFO che si sono avute trovano spiegazioni indiscutibili in fenomeni ottici, allucinazioni di psicopatici, interpretazioni come “oggetti alieni” di avvistamenti di prodotti della tecnologia umana poco conosciuti (palloni stratosferici, sonde meteorologiche, velivoli militari sperimentali, ecc.) e, molto spesso, scherzi o vere e proprie truffe. Tutte le conclamate “influenze aliene” in civiltà del passato hanno trovato spiegazioni archeologiche molto più attendibili.

Ancora una volta, siamo ingannati dal nostro antropocentrismo. Ci aspettiamo che una eventuale civiltà aliena che venisse in contatto con noi si comporti come si è comportata la civiltà occidentale nei riguardi dei popoli tecnologicamente meno sviluppati con i quali è venuta in contatto, aggredendoli per impadronirsi delle loro risorse e/o cercando di imporre loro la nostra visione del mondo. Ma, inevitabilmente, una civiltà tanto avanzata da avere sviluppato il volo interstellare non avrebbe certo bisogno di comportarsi così. Per essere riuscita a raggiungere un tale livello, deve avere inevitabilmente superato la fase bestiale dell’aggressività e del desiderio di conquista, non avrebbe certo bisogno delle nostre risorse e del nostro lavoro e, se volesse studiarci, avrebbe certo il modo di farlo senza farsene accorgere e senza interferire con il nostro comportamento. Probabilmente, cercherebbe un contatto diretto solo con civiltà ad un livello simile al proprio, le uniche con le quali avrebbe interesse a scambiare qualcosa.

Quindi, solo quando avremo abbandonato le guerre, la violenza ed il desiderio di sopraffazione, risolto i nostri problemi di rapporti tra noi e con il nostro ambiente, destinato le nostre risorse al progresso umano, scientifico e tecnologico, fino ad essere capaci anche noi di prolungare le nostre esistenze e di arrivare ad un livello tecnologico che ci permetta di realizzare il volo interstellare, solo allora potremmo sperare di avere quel contatto con altre civiltà nella nostra Galassia che ci permetta finalmente di non sentirci soli in un Universo troppo grande.

Vito Francesco Polcaro, scienziato dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia spaziale (Istituto Nazionale di Astrofisica), e membro del Centro per l’astronomia e l’eredità culturale dell’Università di Ferrara 

Per saperne di più:

Michaël Gillon, Amaury H. M. J. Triaud, Brice-Olivier Demory et al., Seven temperate terrestrial planets around the nearby ultracool dwarf star TRAPPIST-1, Nature, Vol. 542, 456–460 (23 February 2017)

Elisa Nichelli, Sette pianeti per Trappist-1, http://www.media.inaf.it/2017/02/22/sistema-planetario-sette-terre/ (22 febbraio 2017)

Vito Francesco Polcaro, Exoplanets, extraterrestrial life and interstellar flight, COSMOLOGY, August 2015, http://cosmology.com