Nel 1936 Emilio Lussu dovette interrompere l’intensa attività di dirigente del movimento Giustizia e Libertà, fondato insieme a Carlo Rosselli e Fausto Nitti dopo la rocambolesca fuga dal confino di Lipari, a causa dell’aggravarsi della tubercolosi contratta in prigione. Ad aprile fu sottoposto a un’operazione talmente complessa che ne scriverà così a Rosselli: “è un’operazione bestiale, per buoi e cavalli, non per un cavaliere di razza fenicia, quale sono io” (27 aprile); in estate una seconda operazione, sostenuta, come la prima, grazie all’aiuto finanziario di Rosselli (restituito, nel dopoguerra, alla vedova Marion), protrasse ulteriormente il periodo di inattività, trascorso in Svizzera, a Davos, nei pressi della frontiera con l’Austria.

Lontano dalla politica attiva, di certo in una condizione estranea al suo temperamento di uomo d’azione, Lussu si dedicò alla scrittura, con un impegno pari a quello profuso nell’attività clandestina. Prima dell’intervento chirurgico completò il manoscritto di Teoria dell’insurrezione, poi pubblicato nel 1936 per le Edizioni di Giustizia e Libertà: un libro a cui teneva moltissimo, e che aveva anteposto alla stesura di quello sulla prima guerra mondiale che il maestro e amico Gaetano Salvemini gli aveva più volte e fino a quel momento senza successo sollecitato. Nel corso della convalescenza, in un angolo tranquillo della Svizzera e mentre le nubi dell’imminente conflitto si addensavano sul Vecchio continente, nacque Un anno sull’Altipiano, giustamente considerato uno dei libri più belli mai scritti sul conflitto 1915-18 (“Tra i libri sulla Prima Guerra Mondiale, scrive Mario Rigoni Stern nella prefazione all’edizione Einaudi del 2000, Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu è, per me, il più bello”): il racconto epico, ironico e drammatico, ma sempre estremamente coinvolgente, del periodo compreso tra il giugno 1916 e il luglio 1917, quando la Brigata Sassari, di cui il pluridecorato capitano Lussu era uno dei più popolari ufficiali, venne spostata frettolosamente sull’Altopiano di Asiago per prendere parte ai combattimenti seguiti alla “Spedizione punitiva” intrapresa dall’esercito austriaco con il sostegno di alcune divisioni germaniche. Il libro uscì in Francia nel 1938, per le Edizioni italiane di Coltura, la casa editrice del Partito comunista, diretta, all’epoca, da Giorgio Amendola; per avere la prima edizione italiana occorreva attendere la Liberazione, nel 1945, quando Un anno sull’Altipiano fu incluso nella prestigiosa collana dei “Saggi” delle edizioni Einaudi.

Ricorre dunque quest’anno l’ottantesimo anniversario della prima pubblicazione del libro, un anniversario che si sovrappone in modo significativo al centenario dell’ultimo anno di guerra, e, per molti aspetti, costituisce un correttivo alle retoriche delle commemorazioni, spesso distanti dalla realtà degli eventi che vengono celebrati. Giunge pertanto estremamente opportuna la pubblicazione di una serie di contributi di diversi autori dedicati al libro di Emilio Lussu, curati e introdotti, con uno testo ampio e suggestivo, da Jacopo Onnis, per la casa editrice Ediesse di Roma (L’Altopiano: Emilio Lussu ottant’anni dopo, Roma, 2018).

Nel volume sono esaminati, da diversi punti di vista, i significati, le vicende, la fortuna di una delle opere più singolari e affascinanti del ’900 italiano, a partire dal riconoscimento del contributo essenziale che il libro di Lussu ha offerto nel delineare una lettura del conflitto 1915-18 liberato dalla retorica nazionalista attraverso la quale il fascismo in primo luogo si era appropriato della memoria della Grande guerra, facendone un proprio mito di fondazione.

Da questo punto di vista, Un anno sull’Altipiano è un libro antifascista, ma in modo differente rispetto a Marcia su Roma e dintorni, pubblicato pochi anni prima, nel 1933, e più esplicitamente finalizzato alla battaglia politica contro il regime. Lo spiega lo stesso autore, nella poche righe che introducono il racconto: “Il lettore – avverte Lussu – non troverà in questo libro, né il romanzo, né la storia. Sono ricordi personali, riordinati alla meglio e limitati a un anno, fra i quattro di guerra a cui ho preso parte […] Io mi sono spogliato anche della mia esperienza successiva e ho rievocato la guerra stessa così come noi l’abbiamo realmente vissuta, con le idee e i sentimenti d’allora. Non si tratta quindi di un lavoro a tesi: esso vuole essere solo una testimonianza italiana della grande guerra”.

In effetti, chi voglia trovare nel libro una esplicita dichiarazione di antimilitarismo, resterà deluso. Quando Lussu afferma di avere voluto rievocare la guerra così come essa era stata vissuta, si riferisce anche (ma non solo) al se stesso di allora, al giovante interventista di sentimenti confusamente democratici, dal quale il narratore del presente, il combattente antifascista, in un gesto di estraniazione letterariamente molto efficace, prende una distanza che non è però condanna o abiura, come sottolinea nel suo saggio Marco Revelli, perché ciò sarebbe stato fuori del fine esplicitato, di far rivivere “le idee e i sentimenti di allora” sulla base di ricordi personali, e, aggiungiamo, avrebbe grandemente nociuto al risultato artistico: quel risultato che fa di Un anno sull’Altipiano, come scrive Alberto Asor Rosa, “un racconto epico alla moderna”.

Emilio Lussu

E come ogni epica, la narrazione si svolge sullo sfondo corale di un popolo in armi, estraneo, ancor prima che ostile, alle ragioni della guerra proposte dalle classi dirigenti, e sideralmente distante dal patriottismo sciovinista che i comandi cercarono di instillare nei combattenti e nella società civile. Nelle molte pagine che raccontano l’abnegazione, lo spirito di sacrificio, la pacata rassegnazione al proprio destino, ma anche l’eroismo e le ribellioni dei fanti-contadini e degli ufficiali subalterni, traspaiono le vicende della Brigata Sassari, costantemente presente nel racconto anche se mai esplicitamente citata da Lussu. Questi, peraltro, iniziò il suo percorso militante a partire proprio dall’esperienza della guerra e dalla convinzione che lo spirito di solidarietà e la volontà di emancipazione maturato nella comune esperienza della trincea avrebbero gettato le fondamenta del futuro riscatto politico e sociale della Sardegna, di cui, scriveva lo stesso Lussu anni dopo, la Brigata aveva costituito la “riserva rivoluzionaria”.

Opera non a tesi, dunque, ma non per questo opera neutra o limitata a una sia pure efficace aneddotica: per quanto la narrazione si presenti semplice, lineare e profondamente antiretorica, Un anno sull’Altipiano è un libro che si apre a diversi piani di lettura. Pur senza lanciarsi in dichiarazioni di principio, ma anzi lasciando spazio alla narrazione e alla memoria – sulla quale, con riferimento ai racconti familiari, si sofferma tra gli altri Mariangela Sedda, nel suggestivo scritto che conclude il volume – Lussu esprime un’inequivoca condanna della guerra, sia quando descrive il patriottismo di facciata dietro il quale si nascondeva l’incompetenza e il cinismo degli Stati Maggiori, emblematicamente rappresentati nella figura del generale Leone – sulla quale si sofferma il contributo di Angelo Guglielmi – sia nei diversi episodi dove emerge il conflitto, ora latente ora esplicito, tra le alte gerarchie e i combattenti, in una forma aggiornata della lotta di classe che, dai campi e dalle fabbriche, si prolunga fino sul campo di battaglia, sperimentando le prime forme di comando totalitario sulla collettività (non solo militare, se si considera anche l’irreggimentazione della società civile attuata nei quattro anni di guerra) dalle quali avrebbe tratto ispirazione il fascismo al potere. Per questi aspetti, non resta che rinviare il lettore ai pregnanti contributi di Manlio Brigaglia, il grande maestro recentemente scomparso, di Goffredo Fofi, di Maria Giacobbe, di Antonio Gibelli, di Angelo D’Orsi e di Giovanni De Luna: quest’ultimo, tra l’altro, nel suo scritto pone in rilievo l’assoluto valore storiografico dell’opera lussiana, ricordando come essa sia stata antesignana di una narrazione della Grande guerra, risultata poi prevalente in occasione del centenario, basata su “una storiografia dal basso: lettere, epistolari, diari, una scrittura legata alle classi subalterne che racconta la guerra dalla parte dei soldati”. Tutto il contrario della storiografia del passato “ingessata, militare, geopolitica”, per usare la definizione dello stesso De Luna, che, peraltro, pur depotenziata, ha continuato a esercitare la sua influenza nel dopoguerra, e continua a farlo oggi: come ricorda Angelo D’Orsi, infatti, ancora nella trascorsa legislatura l’opposizione dei vertici militari ha impedito l’approvazione di un disegno di legge volto a riabilitare i soldati fucilati per sentenze dei tribunali militari o più frequentemente, attraverso giudizi sommari, in base a una logica ferocemente repressiva.

Proprio per questa capacità di anticipare i tempi e di gettare uno sguardo lungo sulla narrazione della Grande guerra, non si può non concordare con il giudizio di Walter Barberis, secondo il quale “la vera fortuna letteraria di Lussu inizia dopo le tempeste del ’68, quando tutte le testimonianze critiche sulla Grande guerra diventano patrimonio culturale e non solo bandiera da impugnare sotto il profilo politico”: a questo proposito, è appena il caso di ricordare, con Giovanni De Luna, che proprio il 1968 è l’anno di pubblicazione, presso l’editore Laterza, di Plotone di esecuzione, di Enzo Forcella e Alberto Monticone, l’opera che per la prima volta portò a conoscenza degli studiosi e del grande pubblico la realtà dei processi e delle fucilazioni nel periodo 1915-1918.

Un altro indizio della modernità di Un anno sull’Altipiano è fornito dall’interesse che questo libro ha destato come possibile soggetto cinematografico: se ne trova ampia testimonianza nei contributi di Giaime Alonge e di Raffaele La Capria, oltre che nei brani delle interviste di Mario Monicelli e Francesco Rosi. La cinematografia era stata particolarmente incline a declinare in termini pacifisti la memoria della Grande guerra, spesso ispirandosi a opere letterarie: lo ricorda Goffredo Fofi, citando, tra gli altri, due film degli anni 30: West Front 1918 di Georg Wilhelm Pabst, tratto dal romanzo Quarto Fanteria di Ernst Johannsen e All’Ovest niente di nuovo di Lewis Milestone, dall’omonimo best seller di Erich Maria Remarque. Un anno sull’Altipiano offrì spunti per diversi film: tracce significative di esso si trovano in Orizzonti di gloria (1957) di Stanley Kubrik (che trattò per i diritti, senza successo, come ricorda Francesco Rosi) e in La Grande Guerra di Mario Monicelli, del quale è riproposta una gustosa intervista, dove il regista racconta di essere andato a trovare Lussu per avere l’autorizzazione a utilizzare nella sceneggiatura firmata da Age e Scarpelli alcuni spunti tratti dal libro, e di essere stato messo sbrigativamente alla porta dalla moglie Joyce. A Lussu non piacque invece Uomini contro, di Francesco Rosi, l’unica riduzione cinematografica esplicitamente ispirata a Un anno sull’Altipiano. Lo considerò un’alterazione del suo lavoro, come ammette lo stesso Rosi: “Lussu non fu contento del risultato. Mi disse che il film era diverso dal suo diario e che io il libro l’avevo scomposto. Tanto che lui non ritrovava la sua opera”.

Subire molte interpretazioni e passare attraverso diverse letture, alcune anche sfocate o deformanti, o, più semplicemente, distanti dalle intenzioni originarie dell’autore, è peraltro il destino di tutte le opere che attraversano indenni il trascorrere del tempo, il mutamento dei modi di pensare e i capricci delle mode, sollecitando sentimenti, umori e passioni di generazioni diverse in momenti storici differenti. Anche per queste ragioni, LAltopiano: Emilio Lussu ottant’anni dopo è più di un invito alla lettura: è un modo per ricordare che lo smilzo volume del 1938 è un classico, ovvero, secondo una suggestiva definizione di Italo Calvino “un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”.