“Se ammazzano Mussolini non ci arresterete più… Abbasso Mussolini… Mussolini carogna… Io me ne frego del re e del duce”. Sono solo alcune delle frasi profferite e degli sberleffi messi in atto da 27 prostitute di tutta Italia, schedate come donne di sentimenti antifascisti all’interno del “Casellario Politico Centrale”, dal 1894 grande schedario dei sovversivi, particolarmente zelante durante il ventennio fascista.

Non sono partigiane e nemmeno eroine le “Puttane antifasciste nelle carte di polizia”, oggetto della ricerca dello storico e giornalista Matteo Dalena che apre la collana “Quaderni storici di ANPI Provincia di Cosenza – sezione Paolo Cappello”, arricchito dalla prefazione di Giovanna Vingelli, sociologa dell’Università della Calabria, e da un saggio di Alessandra Carelli sulle “Terre di confino”.

Sono donne di strada, meretrici incappate negli articoli del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza e sottoposte a misure di moralità per esercizio della prostituzione clandestina. Perseguite in via amministrativa, all’atto del fermo queste donne reagiscono, oppongono ai militi viva e tenace resistenza, si sbracciano, urlano e colpiscono con forza i simboli del regime. E per questo vengono diffidate o ammonite, recluse o mandate al confino fino a cinque anni in terre desolate. «Sono donne che con il loro stesso essere, pensare, agire, rappresentano una sfida al regime che le vuole unicamente fattrici, cioè madri o, al limite, ancelle del vizio negli appositi locali di meretricio. Prima donne, poi puttane e, insieme, antifasciste, al tempo periferia della periferia del genere umano», spiega Dalena.

Corpi sfibrati, ispezionati, medicalizzati all’interno di manicomi o sifilicomi. Come Maria Degli Esposti, “prostituta antifascista senza fissa dimora” della provincia bolognese, che nello schedario dei sovversivi entra con la sua “espressione fisionomica da ebete”. Per i funzionari di polizia che la interrogano in questura, a Bologna, ai primi di marzo del 1928 «reca in volto i segni dell’idiozia – scrive Dalena –. Probabilmente glielo dicono in faccia mentre compilano la sua scheda». Denunciata per offese al capo del governo, viene condannata a 7 mesi e 10 giorni di reclusione. È mancante di pudore, dedita agli alcolici, violenta: sembra possedere, cioè, le principali caratteristiche della “prostituta nata” fissate da Cesare Lombroso. All’inizio del 1929 Maria viene destinata per tre anni al confino nella colonia di Gavoi (Nuoro). Di lei si perdono le tracce per ben 8 anni, fino a quando, il 17 marzo del 1937, la prefettura di Bologna fa sapere che Degli Esposti Maria “antifascista, demente”, si trova ricoverata nell’ospedale psichiatrico provinciale di Cagliari, affetta da “demenza paranoide con prognosi favorevole” e non se ne prevede la prossima dimissione.

Maria Degli Esposti è solo una delle 27 donne, prostitute clandestine oppure tollerate, seguite da Matteo Dalena nei loro movimenti, nei loro frammenti emozionali, nelle loro gestualità per come sono emerse dalle fonti di polizia. Una ricerca che, secondo la sociologa Giovanna Vingelli, va a collocarsi “sui bordi, nelle periferie teoriche e metodologiche della Resistenza, negli incerti frattali delle esperienze umane, nelle pieghe della storia e dei documenti, nella rilettura dei corpi e delle emozioni”. In questo senso accoglie una delle lezioni del femminismo: il racconto come momento di condivisione di esperienze e denuncia sociale, esso stesso resistenza, che scardina dall’interno il discorso ufficiale accogliendo le voci delle oppresse.

Maria Pina Iannuzzi, Presidente dell’ANPI provinciale di Cosenza