“Se tiro le somme posso dire questo: di due persone con cui faccio conoscenza una mi chiede se sono il Pirelli delle gomme e una se sono il Pirelli delle Lettere. Quanto al resto, vengo pervicacemente citato tra i giovani scrittori”. Con queste parole, Giovanni Pirelli concludeva, nel 1960, una nota autobiografica pubblicata in una miscellanea di scrittori italiani, che offre, nello spazio di poche righe, un’efficace sintesi di un personalissimo percorso politico e culturale. Nato nel 1918, figlio primogenito di Alberto e nipote di Giovanni Battista, fondatore di una delle più importanti aziende industriali italiane, Giovanni Pirelli era il successore designato alla testa dell’azienda paterna, e così probabilmente sarebbe stato se la partecipazione alla seconda Guerra mondiale – come sottotenente degli Alpini, prima sul fronte francese e poi nei Balcani (Albania e Montenegro) e, dopo un mal tollerato distacco a Berlino presso il commissariato alle migrazioni del Ministero dell’interno, in Russia e di nuovo in Francia – non avesse provocato una profonda crisi morale e intellettuale, e un distacco dalla guerra fascista inizialmente accettata come prova non eludibile di una raggiunta maturità personale: una crisi che passa dallo smarrimento di fronte all’impreparazione militare al disincanto per la scoperta della vera natura del regime, fino all’approdo all’antifascismo come unica strada possibile per il riscatto dalla condizione di sfacelo morale e materiale in cui il fascismo aveva precipitato il Paese. L’esperienza della guerra, a cui aveva partecipato animato inizialmente dal forte senso del dovere inculcatogli dall’educazione familiare, lo porta a simpatizzare sempre più apertamente con le classi lavoratrici e con i partiti politici che le rappresentano. Caduto il fascismo, Pirelli riesce a sfuggire alla deportazione in Germania; per un breve periodo lavora nell’azienda paterna, ma all’inizio del 1945 si unisce alla 90ª Brigata Garibaldi Zampiero, dove ricopre l’incarico di Commissario di brigata con il nome di battaglia “Pioppo”. La partecipazione alla Resistenza consolida un orientamento intellettuale e politico che lo rende sempre più distante dall’ambiente aziendale e dal ruolo dirigente al quale appare destinato per la sua appartenenza familiare. Iscrittosi al partito socialista nel 1946, Giovanni abbandona definitivamente l’azienda paterna dopo il 18 aprile 1948, colpito dall’asprezza dei toni assunti dalla campagna elettorale e anche dalle accuse di “diserzione” dai suoi doveri di solidarietà di classe, mossegli con particolare virulenza dagli organi di stampa della destra.

Il vessillo delle Brigate Garibaldi

Con il trasferimento a Roma e poi a Napoli per frequentare i corsi dell’Istituto di studi storici fondato da Benedetto Croce, Pirelli inizia il ricco e variegato percorso politico e culturale ricostruito recentemente in un volume che raccoglie gli atti del Convegno promosso nel 2014 dalla Fondazione Isec con la collaborazione della Soprintendenza archivistica della Lombardia (Giovanni Pirelli intellettuale del Novecento, a cura di Mariamargherita Scotti, Milano, Mimesis, 2016). Gli otto saggi che compongono il volume (arricchito da un’appendice di scritti di Pirelli) ripercorrono nel dettaglio le varie tappe e alcuni momenti di particolare rilievo di questo percorso: in particolare, Alberto Saibene ricostruisce la fitta rete di legami familiari entro la quale si svolge la vicenda privata di Giovanni e il retaggio di un’educazione borghese nella quale la consapevolezza di una posizione sociale preminente resta ancorata a un solido senso di responsabilità sociale, mentre Rachel Lowe dà conto delle diverse fasi della crisi del giovane sottotenente degli Alpini, con un ampio scavo sui diari personali, inediti, redatti durante la guerra e sul carteggio familiare, specialmente con il padre Alberto, raccolto alcuni anni fa in un volume curato da Nicola Tranfaglia (Un mondo che crolla. Lettere 1938-1943, Milano, Archinto, 1990). Molto utili per comprendere la molteplicità di relazioni personali e politiche intrecciate da Pirelli dopo l’abbandono dell’azienda paterna, sono due saggi dedicati, il primo, di Pablo Rossi Doria, alla ricostruzione dell’amicizia con Eugenio Luraghi, singolare figura di manager colto e con una spiccata vocazione letteraria, e il secondo, che introduce anche il corredo iconografico del volume, dedicato al rapporto con Renato Guttuso, di Clara Amodeo.

Una più completa esposizione della vicenda politica e intellettuale di Giovanni Pirelli compare nel denso saggio della curatrice, Mariamargherita Scotti, che parte da una riflessione sulle carte dell’Archivio personale, di cui ha curato il riordino, per ripercorrerne le tappe più significative: il difficile inizio del lavoro di ricercatore, intrapreso a partire dalla frequentazione dell’Istituto di studi storici e intrecciato in modo spesso contraddittorio con la vocazione letteraria, che lo accompagnerà per tutta la vita; il lavoro di narratore, con la pubblicazione nei Gettoni, la collana di letteratura diretta da Elio Vittorini per Einaudi di due romanzi brevi (L’altro elemento, romanzo d’esordio, del 1952 e L’entusiasta, del 1958), ai quali si affiancheranno anche altri lavori, tra cui alcuni racconti per bambini; la partecipazione alle iniziative culturali del PSI, come esponente della sinistra del partito, amico e interlocutore di Raniero Panzieri e di Gianni Bosio, che lo vorrà al suo fianco, come componente del Consiglio di amministrazione delle Edizioni Avanti!, dirette dallo stesso Bosio, e successivamente, dopo la rottura con il PSI, come animatore delle Edizioni del Gallo; la passione per la musica, che lo porterà nel 1960 a dare vita, con Angelo Ephrikian, alla casa discografica Arcophon, specializzata nella ricerca sulla musica italiana del ’600 e del ’700, nonché a una feconda collaborazione con Luigi Nono, insieme al quale sceglierà i testi per A floresta è jovem e cheja de vida, opera del compositore veneziano “per nastri magnetici, clarinetto, voci, lastre di bronzo”, dedicata al FLN vietnamita e presentata per la prima volta alla Fenice di Venezia nel 1966.

Dalla poliedricità dell’azione culturale di Pirelli emerge, nel saggio introduttivo, anche quella che forse ne costituisce l’elemento di maggiore interesse: una contaminazione dell’interesse storico con quello letterario che ha come esito più originale e fecondo l’appassionata ricerca del documento e della testimonianza privata e del rapporto che tramite essi si stabilisce tra le storie personali e i grandi eventi collettivi che segnano i destini di intere collettività umane. Si tratta di una vocazione alla ricerca condotta con fini e metodi che, tra l’altro, avvicinano l’attività di Pirelli a quella svolta a partire dalla fine degli anni 40 da Gianni Bosio e dal gruppo riunito attorno alla rivista “Movimento operaio”, e che produce il suo risultato più maturo con la raccolta Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana, edita in collaborazione con Piero Malvezzi, e pubblicata nel 1952 da Einaudi, seguita due anni dopo dalle Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea.

Gianni Bosio (da https://www.iedm.it/wp-content/gallery/gianni_bosio/bosio_ascolta_profilo.jpg)

Il lavoro di redazione delle Lettere e la successiva fortuna sono ricostruiti con acume critico nel saggio di Gabriella Solaro, che documenta la scrupolosa attività preparatoria e l’acribia filologica di un lavoro di raccolta di testi che, per la loro particolarità, ponevano specifici e importanti problemi, a partire dai rapporti con familiari, amici e compagni di lotta, ancora profondamente segnati da un’esperienza recente. Meritevole di particolare attenzione è poi la storia, emblematica del clima politico e intellettuale dell’Italia degli anni 50, del documentario tratto dalle Lettere, prodotto e diretto da Fausto Fornari nel 1953. Proiettato al festival di Venezia nell’agosto dello stesso anno, il lungometraggio (sulla cui realizzazione i due curatori avevano espresso non poche perplessità, superate anche in virtù dell’autorevole parere di Cesare Zavattini) vinse il premio della sua categoria.

Malgrado ciò, e malgrado lo straordinario successo di pubblico del volume, il documentario (visibile qui di seguito e oggi reperibile in rete: https://www.youtube.com/watch?v=TAbyEHBO9gk)

non circolò nei circuiti commerciali per la resistenza dei distributori, subendo un vero e proprio boicottaggio a causa della forte connotazione politica.

La stessa matrice ideale e lo stesso impianto della ricerca effettuata sugli epistolari resistenziali, si riscontra nelle raccolte di testimonianze dedicate da Pirelli alla rivoluzione algerina: i Racconti di bambini d’Algeria. Testimonianze e disegni di bambini profughi in Tunisia, Libia e Marocco, pubblicate nel 1962 da Giulio Einaudi, e le Lettere della rivoluzione algerina, curate in collaborazione con Patrick Kessel, pubblicate l’anno seguente dallo stesso editore. A questi due lavori e agli altri numerosi interventi e iniziative di Pirelli a sostegno della causa algerina è dedicato il saggio di Tullio Ottolini, che si sofferma, tra l’altro, sull’amicizia con Franz Fanon e sull’impegno di Pirelli per diffondere in Italia il lavoro dello psicoanalista e rivoluzionario antillese, naturalizzato algerino, sfociato nella cura, sempre per Einaudi, di un’antologia postuma degli scritti, nel 1972.

Franz Fanon

Come già detto, il volume è completato da una raccolta di scritti di Pirelli, tra i quali si segnalano, oltre a prefazioni e scritti autobiografici, il sapido resoconto della visita all’Esposizione universale di Bruxelles, pubblicato sul numero del 4 agosto 1958 della rivista aziendale della Pirelli, con lo pseudonimo di “Franco Fellini”; il diario del viaggio compiuto in Egitto in compagnia di Renato Guttuso, nello stesso anno, e un inedito del 1960, destinato al numero del Menabò, la rivista letteraria diretta da Italo Calvino e Elio Vittorini, dedicato al fenomeno della letteratura industriale: la storia del saggio, respinto da Vittorini, è ricostruita nel saggio di Giuseppe Lupo, che dà conto anche delle schermaglie tra i due direttori e di un dialogo non sempre facile tra questi ultimi e l’autore.

Giovanni Pirelli morì a Sampierdarena, il 3 aprile 1973, per i postumi di un incidente d’auto. Il giorno successivo, si tennero i funerali, presso la sede dell’ANPI, luogo di ricongiunzione ideale dei numerosi fili che si intrecciarono nella poliedrica e operosa esperienza umana, culturale e politica del figliuol prodigo della borghesia industriale milanese.