Era d’estate. L’11 di agosto del 1938, con una circolare di Buffarini Guidi, sottosegretario al ministero dell’Interno, guidato da Benito Mussolini, si richiede a tutti i prefetti di compiere “con priorità assoluta, esatta rilevazione degli ebrei residenti nelle province del Regno”. Il termine è di 10 giorni. La perentoria comunicazione faceva seguito alla pubblicazione del Manifesto della razza sul numero 1 della rivista La difesa della razza, precedendo di pochi giorni l’annuncio pubblico del censimento degli ebrei italiani e stranieri presenti sul suolo nazionale da parte della Direzione generale per la demografia e la razza (Demorazza) appena costituita in seno al dicastero.

La ricostruzione di tutti i passaggi e le fasi che caratterizzarono l’impianto dei provvedimenti razziali, dai prodromi “scientifici”, politici, anagrafici ed etnici, fino alla successiva, graduale – ma repentina – emanazione dei testi legislativi in materia, è la prima prospettiva attraverso la quale orientarsi nella lettura del libro, compatto e completo, di Carlo Brusco, già magistrato e Presidente di sezione della Corte di cassazione, che ha dedicato al tema grande parte dei suoi studi tecnico-giuridici.

È interessante riscontrare nel volume che tra gli intellettuali ideologicamente impegnati nel fascismo era prevalsa fino al ’38 un’interpretazione “spirituale” del razzismo, fondata cioè su fattori storici e culturali. Oltre all’interpretazione esoterica di Julius Evola che immaginava l’esistenza di varie razze spirituali, di tale teoria era sostenitore, tra gli altri, Giacomo Acerbo, alto esponente del regime: “il dato puramente fisico o somatico (…) farebbe della politica della razza un capitolo della zootecnia”. Ma la politica razziale del fascismo riguardo agli ebrei, da quell’estate, aveva bisogno non di evidenziare diversità culturali, quanto di rimarcare superiorità e inferiorità tra gli uomini. E per attuare di conseguenza i provvedimenti discriminatori verso gli ebrei, il versante del razzismo “biologico”, fondato esclusivamente sul primato sanguinis e fino ad allora minoritario, ebbe la meglio. Col Manifesto della razza si andò dunque in cerca delle caratteristiche specifiche della razza italica, cioè se si potesse configurare un sottogruppo autonomo “ariano-mediterraneo”, arrivando però alla conclusione che gli italiani erano parte del gruppo “ariano-nordico”!

Per tornare all’aspetto discriminatorio, Brusco sottolinea più volte l’inversione di significato al positivo impressa al termine “discriminati”, che nella terminologia fascista non indica gli ebrei sottoposti alle limitazioni del diritto personale e di cittadini sancito dai provvedimenti razziali, bensì quelli che ne erano parzialmente esentati, vale a dire, appunto, “discriminati” (per essere mutilati, invalidi o parenti di caduti in guerra o per la causa fascista, oppure decorati almeno con croce al merito di guerra, o iscritti al Pnf fin dagli anni tra il 1919 e il 1922, o ancora per “eccezionali benemerenze”). Altra espressione coniata dal regime e diffusa nel comune parlare fu “arianizzazione”: quella cioè che veniva concessa ad alcuni ebrei, a insindacabile giudizio del cosiddetto Tribunale della razza (in realtà una commissione ristretta). In molti casi si trattò del riconoscimento di relazioni adulterine di madri ebree con padri naturali “ariani”, in quanto la differenza era dettata dalla paternità più che dalla maternità, confermando così anche una discriminazione (in senso proprio, stavolta) di genere. Evidenziato che tutta la documentazione prodotta da questo organismo è andata perduta o distrutta, probabilmente nei giorni della caduta del regime, è necessario aggiungere che l’attività del Tribunale è stata valutata, vox populi, come il risultato di un vasto mercimonio che coinvolse ampi strati del regime, con l’ausilio delle dichiarazioni di testimoni compiacenti. D’altro canto, rileva l’autore del libro, l’alta percentuale di accoglimento delle richieste di arianizzazione è stata interpretata pure, in particolare da chi fece parte della commissione, come un tentativo di “alleggerimento” dell’intento persecutorio delle leggi razziali.

Altre sezioni del volume pubblicato dalle Edizioni Gruppo Abele affrontano analiticamente ulteriori angolazioni, come l’impatto delle leggi razziali nella cultura giuridica italiana, le posizioni della Chiesa, il confronto con quanto avvenne nel resto d’Europa, gli sviluppi nella Repubblica sociale, le conseguenze nella scuola e nell’università, nello spettacolo e nello sport, nei riguardi degli ebrei stranieri sul territorio italiano (soprattutto austriaci e ungheresi fuggiti dal nazismo). Esemplare, tra questi ultimi, la vicenda del calciatore Arpad Weisz, già titolare della nazionale d’Ungheria e poi tra i massimi allenatori del tempo, vincitore di ben tre scudetti con Ambrosiana Inter e Bologna: costretto a lasciare l’Italia entro sei mesi dall’approvazione della prima legge emanata (D.L. 7.9.1938 n. 1381), si rifugiò in Olanda continuando con successo la sua professione fino all’invasione nazista. Nei Paesi Bassi si realizzò la più alta incidenza di ebrei sterminati (l’80%) e Weisz – al quale è stata dedicata una mostra al Museo Ebraico di Bologna, in occasione del Giorno della Memoria 2018 – fu deportato ad Auschwitz con tutta la famiglia: moglie e figli uccisi nelle camere a gas tre giorni dopo l’arrivo, lui schiavizzato fino alla morte avvenuta il 31 gennaio 1944.

Era d’estate: Questa mattina ho scritto a tutti i prefetti per avere un quadro dettagliato e aggiornato in tempo reale delle presenze nei campi abusivi o teoricamente ‘regolari’ di rom, sinti e caminanti, per procedere, come da programma, a chiusure, sgomberi, allontanamento e ripristino della legalità”, ecco il post su Facebook del Ministro dell’Interno che il 16 luglio annunciava la circolare che detta i tempi per la ricognizione “da far pervenire entro 15 giorni all’ufficio di Gabinetto”. Era l’estate del 2019.

Daniele De Paolis, giornalista