COVER - giovanni-con-i-miei-occhi-di-iolanda-stella-corradinoÈ la storia di uno degli oltre settecentomila soldati italiani deportati nei lager nazisti dopo l’armistizio di Cassibile del settembre 1943. Una storia dolorosa, drammatica, che lascia aperto il varco, però, a qualche pagina d’altro sapore, un nocciolo d’umanità e di speranza che nonostante tutto non viene meno. Iolanda Stella Corradino racconta, in base ad un lunga intervista, la vicenda di Giovanni Napolano: diciottenne quando si arruola nella Marina Militare Italiana, viene sequestrato a Pola dai tedeschi dopo l’8 settembre. Internato per due anni a Magdeburgo e poi finalmente liberato, torna nella sua Qualiano, presso Napoli, dalla famiglia. “Ero un uomo diverso da quello che due anni prima era arrivato a Magdeburgo da Pola – afferma – dalla nave-scuola in cui mi esercitavo come marinaio. Ero troppo giovane per comprendere allora quanto quei due anni di prigionia mi avessero cambiato”. In quel tempo assiste ed è vittima di una doppia violenza: quella della guerra in sé e quella della crudeltà, che spesso sfocia nel sadismo, dei nazisti. Ne derivano pene e atrocità che vanno ben oltre la fatica spesso disumana dei lavori forzati.

La vita di Giovanni si squaderna pagina dopo pagina con un colpo di teatro iniziale – il furto della sua giovinezza – e il lieto fine di un felice ritorno, il matrimonio, un’esistenza interrotta naturalmente nel settembre 2014, a casa, nella sua Qualiano, dove viveva con la famiglia e il figlio. “Voi non capite da cosa fuggono questi poveri disgraziati. Non potete capire perché voi non avete mai patito la guerra e la fame insieme”. Sono le ultime sue parole citate nel volume, riferite ai barconi che attraccano a Lampedusa. Oggi, a due anni di distanza, suonano come un monito davanti ai conflitti che infuriano ed alle nuove ondate di disperati.

E della guerra c’è il marchio di fuoco in ogni parte del libro: “In guerra non c’è tempo per i sentimenti e per seppellire un compagno, un amico. È parte della barbarie della guerra stessa: ci riduce allo stato animale, si pensa a salvare se stessi e solo poi, con gli anni, ho avuto il tempo di ritornare con la mente a quei momenti che oggi preferirei non ricordare ancora”. Eppure, proprio dopo il messaggio drammatico di queste parole, si apre uno spiraglio, appare – seppur fioca – una luce: “Prima di essere trovato e ricondotto nel campo, conobbi una giovane donna in quel negozio (…). Mi persi nei suoi occhi in un vicendevole annegamento”. “Sarà strano, ma aver stretto una sorta di relazione con quella ragazza mi mantenne legato alla realtà, desideroso di tornare alla vita vera”.

Iolanda Stella Corradino – classe 1985, al suo primo lavoro editoriale – tesse la storia, alternando le testimonianze di Giovanni alle sue essenziali considerazioni. L’esito è quello di una lettura breve, densa, emozionante, antiretorica; arricchita da un’appendice di documenti e immagini e da un breve scritto di Salvatore, figlio di Giovanni, che nel titolo evoca un antico proverbio africano e racconta di una incontrovertibile verità: “Un anziano che muore è una biblioteca che brucia”.