L’esperienza della canzone collettiva dei canzonieri studenteschi seppe alimentare “l’immagine di una canzone facile, orecchiabile, estremamente politicizzata, fatta da dei compagni, con spettacoli gratuiti, produzione di dischi al di fuori da manovre speculative” e soprattutto seppe creare un pubblico, nuovi circuiti di fruizione musicale e spazi di condivisione.

Claudio Bernieri

Stormy Six, la formazione nel 1973 (quella degli album da Guarda giù dalla pianura a Un biglietto del tram). Da sinistra: Antonio Zanuso, Franco Fabbri, Luca Piscicelli, Umberto Fiori, Tommaso Leddi, Carlo De Martini. La foto è di Ghigo Agosti.

Agli albori del ’68. Sono anni in cui una certa canzone diventa esperienza politica, spazio pubblico per la partecipazione di tutti al bene comune: “Una sorta di colonna sonora”, scrive Aldo Giannuli, che commentava quasi in tempo reale i vari avvenimenti, saldandoli fra loro in una visione unitaria [Giannuli, Bombe a inchiostro, p. 437]. La Lega del Vento Rosso, il Canzoniere di Lotta Continua (con Pino Masi, Alfredo Bandelli e Renzo Nissim) formatosi originariamente nell’ambito del Potere Operaio pisano, la Commissione musicale, poi Commissione artistica, del Movimento Studentesco producono dischi e canzonieri con lo scopo di raccogliere attorno alle canzoni intere folle. Da educare e con cui condividere valori comuni da tramandare. Diverse di queste edizioni portano la dicitura “parole e musica del proletariato”: la massa ispiratrice di quei canti, il popolo produttore di cultura, nell’ideale romantico di quella rivoluzione proletaria.

Funzione della canzone popolare era di esprimere la volontà di lotta delle masse, incoraggiandole all’unità e combattività. Contribuire ad accrescere la loro consapevolezza e coscienza di classe, individuando amici e nemici. Linguaggio e forma musicale dovevano essere adeguati al livello di comprensione di tutti, permettendo una facile riproduzione della canzone e dunque una maggiore diffusione dei contenuti. Di qui la battaglia contro la musica pop, musica reazionaria accusata di occidentalizzare i Paesi aggrediti dall’imperialismo. O di schiavizzare schiere di giovani che, attratti dai grandi successi, cadevano vittime dell’acquisto di radio, radioline, televisori, apparecchiature sempre più perfezionate e costose.

Tra i gruppi più suggestivi di questo periodo spicca Stormy Six, per un certo tempo attivo nell’ambito della Commissione musicale del Movimento Studentesco. Qui avviene, infatti, l’incontro tra Franco Fabbri e Umberto Fiori, Carlo De Martini e Tommaso Leddi che, insieme a Luca Piscicelli e Antonio Zanuso de Gli Stregoni, costituiranno il nucleo di base del gruppo. Artefice di una nuova idea di canzone, in alternativa a quella leggera: «la “musica leggera” era ciò che noi non eravamo – scrive Franco Fabbri – era, con estrema chiarezza e senza sfumature, la musica contro la quale si stava costruendo quella che noi ascoltavamo e suonavamo». [Fabbri, Album bianco, p. 25].

Milano, città in febbrile fermento musicale, tra il ’65 e il ’66 è lo scenario privilegiato per la nascita di nuovi gruppi giovanili. Il contesto in cui Stormy Six muove i primi passi, però, non è quello popolare del Nuovo Canzoniere Italiano e neppure quello intellettuale del Piccolo Teatro. Ma è quello delle band studentesche, delle feste di compleanno dei rampolli della Milano bene, dove a suonare è «il complessino yé-yé nel quale apparivano alcuni dei più bei nomi, anzi dei più bei cognomi, della Milano dell’industria, dell’editoria, delle professioni», cresciuti ingurgitando dosi massicce di musica beat britannica e americana [Fabbri, p. 39]. Vincitori del primo Festival studentesco di Milano al Palalido, si esibiranno nei locali più alla moda del momento: il Piper, il Voom Voom.

Il primo 45 giri Oggi piango, firmato da Mogol, Monti, Arduini, Mariot, Lame, registrato per la Bluebell, li scaraventa nell’effervescente mondo dell’industria discografica e dello star system, visto che poco dopo saranno gruppo spalla dei Rolling Stones, in arrivo in Italia:

Oggi piango perché ti voglio troppo bene/ Oggi piango per te

Poi, qualcosa interviene a cambiare la loro rotta: le morti inspiegate, gli scontri sociali, le rivalità politiche, il clima acceso di quell’autunno caldo portano a galla la voglia di prendere parte, con le canzoni, alla storia tormentata del Paese.

Già nell’album di esordio Le idee di oggi per la musica di domani (1969, First), con il basso di Claudio Rocchi, spiccava Sotto i portici di marmo, canzone profetica che, nella prima strofa, sembrava presagire la stagione delle bombe, i morti che di lì a poco cadranno nella deflagrazione della strage di Piazza Fontana:

Noi invece/ci incontrammo/sotto un portico di marmo/con i fiori/che spiravano la nebbia di quei morti/e parlavamo/della vita

Ma è soprattutto con La manifestazione (L’unità, 1972) che Stormy Six inaugura il suo viaggio nella canzone politica. Pur non essendo un racconto di fatti d’attualità, pur descrivendo una manifestazione generica, nasceva da uno sguardo attento alla realtà e alla difficile situazione politico-sociale di quel momento storico: «ero troppo giovane nel ’62 – dice Fabbri – per essere presente quando a Milano fu schiacciato da una camionetta della polizia Giovanni Ardizzone (…) e nemmeno sarei stato proprio lì, in via Larga, il 12 dicembre del ’70 quando nel primo anniversario di piazza Fontana un candelotto lacrimogeno avrebbe ucciso Saverio Saltarelli (…). Né ero a Pisa nell’ottobre del ’69, quando un altro candelotto uccideva Cesare Pardini, durante una manifestazione antifascista. Ma (…) quell’elenco di morti reali e possibili (…) è lì a suggerirmi il testo. [Fabbri, p. 86].

Racconta di una e di migliaia identiche manifestazioni in cui volano pietre, il fumo si leva e si deve cercare un riparo per non morire uccisi:

Sulla strada, alla manifestazione/e gridando con la forza di chi ha ragione/camminavi sotto l’ombra di una bandiera/e gridavi: “Viva la Rivoluzione”./Ma lontano/uno squillo di tromba/una pietra che vola/e la strada è già vuota.

Stormy Six cominciava a identificarsi come un gruppo di opposizione, in parte anche per l’effetto imprevisto scatenato dalla canzone Leone dal nome del suo protagonista, e dall’interesse dei responsabili della trasmissione Alto Gradimento. Erano divertiti dal fatto di poter mandare in onda un ridicolo sberleffo al nuovo Presidente della Repubblica, Giovanni Leone appunto, senza che i dirigenti della Rai potessero rivalersi.

Leone non ha paura, tentazioni non ne ha

Ad Alto Gradimento spopola anche un pezzo lieve, romantico e country-pop: Alice nel vento

Alice nel vento mi guarda e sorride/ poi fugge lontano là sulla collina/, nei lunghi capelli ha una rosa e una viola/ il chiaro di una lucciola negli occhi ha…

Ma sono altre le tematiche che si imporranno: la storia d’Italia, per esempio, vista da un’ottica ribaltata: le violenze sulle popolazioni del Sud, terra invasa; il brigantaggio come forma di resistenza; le lotte sociali che avevano sconvolto e sconvolgevano il Paese; la riscoperta della musica popolare e l’idea di ricercare un suono tutto italiano.

L’album L’unità, pensato già a partire dal ’71 e pubblicato nel ’72 per la First, sulla base di ricerche accurate delle fonti e una ricca documentazione storica tratta dal volume Il brigantaggio meridionale di Aldo De Jaco (1969), era una riflessione sulla storia d’Italia che in quel momento festeggiava la ricorrenza dell’unificazione. Un processo evidentemente doloroso e carico di conflitti ancora irrisolti, di problematiche che emergevano chiaramente nel momento in cui l’impresa di Garibaldi veniva letta dalla parte di chi, al Sud, si era trovato a subire un’invasione, con la conseguente repressione di ogni rivolta o manifestazione popolare. Così, la canzone Garibaldi:

E parliamo di Garibaldi/E dei suoi garibaldini/Venuti per far giustizia/ A noi poveri contadini

Una canzone che risentiva certamente di quella lettura critica del Risorgimento e del garibaldinismo avviata tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo da libri come, oltre a quello di De Jaco, Proletari senza rivoluzione di Renzo Del Carria (1966) e romanzi come L’eredità della priora di Carlo Alianello (1963) da cui la Rai trarrà uno sceneggiato nel 1979. La colonna sonora e il toccante canto di battaglia Brigante se more, saranno composti da Eugenio Bennato.

Siamo briganti e facciamo paura/e con il fucile vogliamo cantare/ E adesso cantiamo una nuova canzone/tutte le persone la devono imparare/noi combattiamo per il Re Borbone/ e la terra è nostra e non si deve toccare

O da film come Bronte (1971), diretto da Florestano Vancini. Racconto dei fatti di Bronte nell’agosto 1860 quando, per il possesso delle terre, esplose una rivolta popolare. Saccheggiati diversi edifici e trucidate sedici persone, per ristabilire l’ordine, Giuseppe Garibaldi inviò il generale Nino Bixio a dichiarare lo stato d’assedio e imporre pesanti sanzioni economiche alla popolazione. Poco dopo un tribunale di guerra giudicava circa 150 persone e ne condannava cinque all’esecuzione capitale. Verrà poi appurata l’innocenza dei condannati.

Il film Pontelandolfo era una trasposizione in musica del resoconto parlamentare sulla repressione, da parte dei bersaglieri piemontesi, di un’insurrezione popolare avvenuta nel beneventano. La canzone avanzava un’interpretazione completamente rovesciata di quei fatti, giustificando la ribellione delle plebi, in lotta contro l’oppressione piemontese:

Arrivano all’alba i bersaglieri/e le case sono tutte incendiate/le dispense saccheggiate, le donne violentate,/le porte della chiesa strappate, bruciate/ma prima che un infame piemontese/rimetta piede qui, lo giuro su mia madre,/ dovrà passare sul mio corpo/. Pontelandolfo la campana suona per te/per tutta la tua gente/per i vivi e gli ammazzati/per le donne ed i soldati/per l’Italia e per il re.

Sciopero, invece, riportava l’attenzione su un altro fatto tragico, legato alla misera realtà del lavoro operaio: gli operai di Pietrarsa, all’officina di Portici, di fronte al ridimensionamento voluto dallo stato unitario, protestavano nel cortile della fabbrica per difendere il loro posto di lavoro. I bersaglieri piemontesi, inviati per bloccare la protesta, sparavano sulla folla ammazzando cinque persone. La canzone, a ritmo di swing mescola il tono leggero della scrittura musicale con la drammaticità dei fatti narrati con effetto destabilizzante:

Quelli sono briganti/dice il direttore sono delinquenti/e per farli ragionare signor maggiore/bisogna picchiare,/bisogna sparare./Cinque ore di sciopero/e cinque morti all’officina di Portici/ quattro ore di tempo per parlare/la quinta ora per farsi ammazzare

Si rendeva necessario, dunque, fare i conti con la storia passata e riconoscere nel Risorgimento italiano visioni diverse, interpretazioni non condivise.

Brigantaggio, repressione, eccidio di contadini nel meridione, uccisione di operai, unità d’Italia, questi i contenuti principali della prima parte del disco, cui si univano brani sull’attualità come, oltre a La manifestazione, Suite per F&F sulla nostalgia e il ricordo degli scioperi studenteschi.

Suite per F&F:

«Quello che vogliamo caratterizzi le nostre canzoni – diranno – è un forte senso della storia, il bisogno di collegare i dati del presente ad altri più lontani; e la scelta di questi dati storici è “classica”, cade sui nodi del Risorgimento e della Resistenza, della questione meridionale e della locomotiva operaia settentrionale». [Màdera, Ma non è una malattia, p. 148].

Proposito che sarà messo in atto anche in alcuni dei dischi successivi.

Dal punto di vista dell’espressione musicale, il concept album L’unità era il frutto della ricerca di suoni e ritmi propri della tradizione popolare italiana, trovati prendendo spunto dall’attività del Nuovo Canzoniere Italiano come anche dal folk revival angloamericano. Le sonorità dell’album, infatti, si arricchivano di strumenti popolari come fisarmonica, fiati e mandolino. Il disco verrà recensito molto positivamente e riconosciuto come il segno della vitalità del rock italiano. La censura Rai, invece, lo inserirà tra i prodotti musicali da mandare in onda previo colloquio con la direzione [Fabbri, p. 104].

Se l’avversione alla canzonetta sanremiana o da Cantagiro fu uno dei tormentoni dell’avventura musicale di Cantacronache in quel lontano 1958, agli albori del 1972 anche Stormy Six si trovava a fare i conti con l’evasione musicale. Su spinta della casa discografica First, il gruppo verrà, infatti, invitato a partecipare alla trasmissione Un disco per l’estate con un brano, intitolato Sotto il bambù, inizialmente scritto da un cantautore della medesima scuderia editoriale. Il testo non c’entrava nulla con il percorso di impegno intrapreso da tempo. La casa discografica, evidentemente, era poco propensa a sostenerlo e, anzi, puntava a una svolta più commerciale. Ma il gruppo ne rielaborò una versione più metaforica mettendo in scena tre protagonisti: Mussolini (il pirata), Nixon (il mercante) e Mao (il profeta). Risultò troppo politicizzata, così, per accontentare i discografici e i dirigenti Rai, e per ottemperare alle norme del contratto editoriale, di Sotto il bambù ne verrà registrata una versione talmente innocua da entrare nella classifica di gradimento dei bambini:

La strada però era già segnata e in occasione delle elezioni politiche del 1972 Stormy Six prenderà parte alla campagna elettorale del Pci del Veneto, suonando prima dei comizi, in occasione delle feste dell’Unità. Sarà un ritorno a un’idea di canzone come pubblico servizio, spazio di condivisione di ideali comuni. Ma anche e soprattutto come fonte alternativa «fuori dal controllo dello Stato – dirà Fabbri – dei partiti di governo (del partito di governo: c’è un monocolore Dc guidato da Andreotti), dei grandi centri di potere» [Fabbri, p. 109].

«Il pubblico di studenti e operai (non pochi) che viene a sentirci – scrive Fabbri – vede sul palco gente come loro. Gente di Milano: dove c’è stata la bomba di piazza Fontana, dove hanno buttato giù Pinelli dalla finestra, dove è morto Saltarelli, dove Feltrinelli è scoppiato sul traliccio, dove hanno ucciso il commissario Calabresi, dove succedono le cose». [Fabbri, p. 109].

Il clima politico in attesa delle nuove elezioni era già piuttosto acceso e sarà, poi, la vittoria di un governo di centro-destra con Giulio Andreotti come primo ministro in carica fino al giugno 1973, a disattendere molti propositi di cambiamento e ad acuire certi malesseri mai sopiti:

«L’11 marzo – scrive Franco Fabbri – al termine di una manifestazione per la liberazione di Valpreda, un pensionato, Antonio Tavecchio, è stato ucciso da un candelotto lacrimogeno. Il 16 giugno, prendendo a pretesto una manifestazione della Maggioranza silenziosa, la polizia ha assediato e sgomberato la Statale, in una vera e propria battaglia con decine di feriti e centinaia di arresti. Il questore Allitto Bonanno è stato sentito gridare: “Questa volta li facciamo fuori tutti” (…). Il 12 dicembre la manifestazione per l’anniversario della strage di piazza Fontana viene proibita, ma si svolge ugualmente, con scontri prolungati e la città in stato di assedio. Sarà pure l’inizio degli anni di piombo, ma il piombo sembra venire (per ora) sempre dalla stessa parte». [Fabbri, p. 111].

E poco dopo sarà un giovane universitario, Roberto Franceschi, a morire per le pallottole degli agenti, sparate durante un’assemblea studentesca all’Università Bocconi di Milano.

Compagno Franceschi, composta da Franco Fabbri per il Movimento Studentesco a pochi giorni di quel funerale diventerà un inno da piazza, cantato e diffuso di città in città. Una canzone che per molti versi si potrebbe accomunare a Per i morti di Reggio Emilia per il senso di denuncia esplicito nel testo, per l’eco che ebbe la trasmissione orale di quell’assassinio, ancora una giovane vittima uccisa per mano delle forze dell’ordine:

Compagno Franceschi sarai vendicato/dalla giustizia del proletariato/nel cuore nel canto di chi lotterà/il Compagno Franceschi vivrà/Più di vent’anni di dittatura /sotto il governo della DC/e ancora dobbiamo vivere/senza lavoro né libertà/la nostra lotta avanza sicura /il Fronte Unito trionferà /il Governo degli assassini sa già/che nessuno ci può fermar…

E mentre il linguaggio si faceva più aspro e diretto, la canzone Compagno Franceschi, incentrata proprio sull’idea del compagno vendicato, era la ripresa di uno stilema proprio delle canzoni del repertorio partigiano. Pur nel racconto di un fatto di attualità, la canzone diventava un punto di raccordo con la storia passata del Paese, un ponte che si univa alle altre canzoni in memoria dei Caduti, dei compagni da ricordare, vittime di uno stato repressivo e fascista. Uno Stato in cui le ragioni del potere avevano la meglio su quelle della politica e dove il mantenimento del consenso diventava la regole generale di questa nuova “razza padrona” [Scalfari, E., Turani, G. 1974], una borghesia di Stato che stava compiendo un’inarrestabile ascesa nelle istituzioni e nella corsa al potere.

Le riforme mancate e la crisi petrolifera del 1973 condurranno presto l’Italia in uno stato degenerativo, di scioperi, di diseguaglianze sociali ed economiche.

Non a caso in quell’anno Stormy Six usciva con Guarda giù dalla pianura, raccolta di canzoni folk di protesta, omaggio a Woody Guthrie, che ne fu iniziatore, e a quanti ne seguirono le orme. Da Mikis Theodorakis, Alejandro Gómez Roa, Ewan Mac Coll, a Fausto Amodei con la sua Per i morti di Reggio Emilia. Occorreva tornare a far sentire la voce della contestazione:

Nel 1974 si svolgeva il primo referendum dell’Italia repubblicana, per abrogare la legge Fortuna-Baslini sul divorzio, approvata poco prima. Era il momento in cui la Dc, nel tentativo, arcaico e arretrato, di abrogare quella legge, sconfitta, sembrò perdere la sua egemonia. E il Pci risultava come il principale difensore dei valori della democrazia. Di lì a poco la strage neofascista di Piazza della Loggia, e quella dell’Italicus getteranno l’Italia nel terrore.

Si cominciava a guardare al partito di sinistra come una possibile guida per il Paese. Il Pci guadagnava consensi nelle elezioni amministrative del 1975 con una campagna elettorale impostata sulla “volontà di cambiare” e sulle capacità di ben governare a differenza dei predecessori.

La sinistra conquistava 29 province, un successo senza precedenti che rompeva il tradizionale schema di voto degli italiani, non più spaventati del nuovo e del cambiamento. Su questo cambiamento, però, incombeva la bomba a orologeria del clima sociale, fortemente scosso da continui scontri a opera di nuovi gruppi clandestini, autori di atti di violenza e di azioni terroristiche.

Stormy Six erano ancora la colonna sonora di questo tormentato film sulla storia sociale e politica del Paese. Le loro canzoni, rievocando momenti di storia passata, vicende partigiane, personaggi della Resistenza, dialogavano con la realtà presente, mostrando quanto la storia si ripetesse e quanto ricordare il passato fosse necessario per comprendere le violenze attuali.

L’album Un biglietto del tram (1975, L’Orchestra), uno dei più riusciti di musica politica mai prodotti in Italia, concepito come un continuum musicale, merita un ascolto per intero:

Ci sono canzoni come Dante di Nanni, dedicata al giovane gappista che, la notte del 17 maggio 1944, resistette alla cattura da parte della polizia fascista, a seguito di un attentato a un’antenna radio. Solo alla fine, stremato, dovette arrendersi, ucciso a soli diciannove anni. Il ricordo di questo giovane diventava un monito, un richiamo alle responsabilità, alla difesa delle libertà democratiche. Dante di Nanni era ancora vivo:

Trent’anni son passati, da quel giorno che i fascisti/Ci si son messi in cento ad ammazzarlo/E ancora non si sentono tranquilli,/perché sanno che gira per la città, Dante di Nanni:

La cantano anche i Gang:

Ci sono canzoni come Un biglietto del tram, scritta a ricordo dei quindici martiri di Piazzale Loreto, trucidati dai nazifascisti per rappresaglia il 10 agosto 1944. Prelevati dal carcere di San Vittore e portati in Piazzale Loreto, furono fucilati da un plotone di esecuzione. Ma chi ricorda più quel fatto?

Non bastava un biglietto,/un biglietto del tram/per tornare in piazzale Loreto?

Canzoni che diventeranno inni di piazza, intonati durante gli scioperi nelle fabbriche, nelle manifestazioni, nei comizi, a misura di una nuova generazione di giovani che nella canzone andava cercando una “rassicurazione storica e di bandiera ideologica” [Màdera, Ma non è una malattia, p. 30]. Canzoni che conquisteranno una valenza epica. Incoraggiavano, di nuovo, all’azione politica. A vincere, come nella battaglia di Stalingrado quando, il 2 febbraio 1943, si arrestava l’avanzata dei nazisti in Unione Sovietica.

Fatto evocato dalla canzone Stalingrado: erede delle canzoni di lotta, uscita in prossimità delle Giornate antifasciste militanti dell’aprile ’75:

Fame e macerie sotto i mortai/Come l’acciaio resiste la città/Strade di Stalingrado di sangue siete lastricate/Ride una donna di granito su mille barricate/Sulla sua strada gelata la croce uncinata lo sa/D’ora in poi troverà Stalingrado in ogni città

La fabbrica, invece, raccontava gli scioperi nel nord Italia poco prima della caduta del regime fascista, un episodio preparatorio che avviava il processo resistenziale e che, nel violento dissenso delle proteste, manifestava una forte natura politica, di rifiuto. Ma soprattutto la voglia di reagire all’oppressione fascista e all’inutilità della guerra che aveva provocato solo morte. La narrazione di un fatto legato alla storia passata del Paese suggeriva di nuovo molteplici affinità con il presente, celebrando, nel desiderio di rivalsa di allora e nella meritata vittoria dei lavoratori sulla boria delle camicie nere, la voglia di tornare a scacciare i nuovi fascisti e prepotenti a suon di scioperi e mattonate:

Il cinque di marzo del quarantatré/nel fango le armate del duce e del re/gli alpini che muoiono traditi lungo il Don./Cento operai in ogni officina/aspettano il suono della sirena/rimbomba la fabbrica di macchine e motori/più forte è il silenzio di mille lavoratori./E poi quando è l’ora depongono gli arnesi/comincia il primo sciopero nelle fabbriche torinesi. […] Arriva una squadraccia armata di bastone/fa dietro-front subito sotto i colpi del mattone/e come a Stalingrado i nazisti son crollati/alla Breda rossa in sciopero i fascisti son scappati.

E poi 8 settembre, che ricostruiva il clima inquieto all’indomani della firma dell’armistizio e l’orrore che si mostrava agli occhi dei soldati, incerti se salvare la pelle o tornare a combattere tra le fila dei partigiani. Ritornava la stessa tematica, la difesa dei valori della Resistenza e il ricordo del sacrificio di giovani vittime:

In un paese è passata in divisa la morte:/la gente in cerchio sul sagrato,/nella piazza sale un grido soffocato./Ammazzati come cani,/un cartello appeso al collo:/“PARTIGIANI”.

O la struggente Gianfranco Mattei, dedicata al chimico e docente partigiano che, per aver realizzato sofisticati ordigni esplosivi, venne sorpreso e rinchiuso in carcere. Picchiato e torturato dalle SS, sceglierà di suicidarsi, impiccandosi nella sua cella, per non tradire i propri compagni.

Il 20 giugno 1976 le elezioni politiche disattesero le istanze di rinnovamento. Il Pci ottenne il suo più grande successo di sempre ma ciò non bastò a superare la Democrazia Cristiana. I partiti di sinistra, infatti, non riuscirono a ottenere la maggioranza relativa alla camera, mentre la Dc usciva dalle consultazioni con diverse percentuali di voti in più e con la possibilità di dare vita a un nuovo governo, che di nuovo aveva ben poco, affidando, infatti, la carica di Primo ministro a Giulio Andreotti.

Gli Stormy Six pubblicavano gli album Cliché (L’Orchestra, 1976) e L’Apprendista (L’Orchestra, 1977). E viaggiavano, si esibivano nei migliori festival rock e folk di tutta Europa, collaboravano con teatri, istituzioni, registi cinematografici, partecipavano alla stesura di colonne sonore, come per Pinocchio Bazaar, un musical diretto da Gabriele Salvatores e interpretato dalla compagnia del Teatro dell’Elfo. Sarà poi la volta di Macchina maccheronica (1980), vincitore del premio della critica discografica tedesca come miglior album rock dell’anno, relegando al secondo posto i Police. Nella canzone L’Apprendista vi era una critica alla società moderna che condannava a un’esistenza da non-uomini, ma piuttosto da praticanti:

E corri, corri, corri,/è subito arrivato,/lavora il ferro al tornio/in un seminterrato,/così si chiude il cerchio/ti mettono il coperchio,/la vita l’ha già vista,/non l’uomo, l’apprendista

In Il barbiere, in un ’Italia scassata e feroce, si contestava il servizio militare:

Mentre l’Italia si gratta la scabbia,/urla in sette dialetti,/noi dividiamo il silenzio e la rabbia,/il leninismo e i fumetti. Tutti a cantare tra il muro e le brande/quaranta merli più le mutande/ dentro la stessa gabbia.

Infine Al volo (L’Orchestra, 1982), album in cui la creatività si mescolava a coraggio e voglia di sperimentare, senza mai perdere di vista il racconto del Paese, i suoi problemi e le assurdità.

Il gruppo tornerà a riunirsi per alcuni concerti importanti, negli anni Novanta, negli anni Duemila. A cantare con Ivan della Mea, con Moni Ovadia, al Canzoniere della Lame di Bologna.

Innovativi, sperimentatori, sempre originali, tra le migliori esperienze musicali che siano state capaci di reinventarsi restando fedeli ai propri valori e all’indipendenza creativa, pur nelle diverse formazioni nel corso degli anni. Mescolando psichedelia, beat, canzoni folk-rock, canzoni politiche, canzoni d’autore, musica progressive sinfonica o pop elettrico. Sicuri e ben consapevoli anche nelle scelte commerciali, tanto da condividere la causa di Rock In Opposition (RIO), movimento musicale, avant-prog, fondato in Europa alla fine degli anni Settanta, in opposizione alla musica commerciale dell’epoca e in generale alle logiche di marketing delle case discografiche. Non etichettabili, liberi. Così liberi da risultare straordinariamente incondizionati: «Noi non ci avviciniamo a niente – scriverà Franco Fabbri -: sono gli altri che girano come dei pazzi» [Fabbri, p. 267].

Chiara Ferrari, coautrice del documentario Cantacronache, 1958-1962. Politica e protesta in musica, autrice di Politica e protesta in musica. Da Cantacronache a Ivano Fossati, edizioni Unicopli